home page




L'intervento del Prof. Giuseppe Marci

Colgo l’occasione per suggerire agli organizzatori di questa simpatica serata di organizzare anche un convegno su Andrea Camilleri, perché è evidente da come si stanno sviluppando i lavori che c’è una gran voglia di parlarne. Ed è un peccato dover limitare tutto ciò che può essere detto su un maestro della letteratura qual è Andrea Camilleri. Per quanto mi riguarda, vado per titoli. Vorrei innanzitutto ringraziarlo. Non sono un lettore della prima ora, ma quasi. In questi 15 anni in cui ha accompagnato la mia attività, ma se posso dirlo senza retorica soprattutto la mia vita, rendendola più piacevole con la qualità della sua scrittura, ma anche più profonda, per tutti i motivi che sono stati detti e che aiutano noi lettori a riflettere. Io voglio anche dire qui che non sono arrivato casualmente alla lettura di Andrea Camilleri, ma sono arrivato su suggerimento di un altro scrittore, di Sergio Atzeni, compagno di avventura nella collana della Sellerio; Sergio  quando lesse le prime storie di Camilleri, ci disse “Questo è mio fratello”. E noi lo abbiamo preso a poco a poco come un fratello maggiore, dal quale imparare: Atzeni le qualità della scrittura, noi più semplicemente le nostre riflessioni sulla letteratura. Atzeni vedeva la qualità della lingua, e noi tutti. La lingua, tutti lo sanno, quella diversa dalla lingua canonica, può costituire una barriera. Può rappresentare un confine, che impedisce l’accesso. Ma i confini sono anche i luoghi attraverso i quali poi, invece, l’accesso viene garantito, sono i luoghi attraverso i quali si passa. E noi attraverso la lingua di Andrea Camilleri, a poco a poco abbiamo aumentato la conoscenza di quello straordinario mondo che è il mondo della Sicilia, della cultura siciliana, della grande cultura siciliana data dai suoi scrittori; non sto qui a farvi l’elenco ma Andrea Camilleri è l’ultimo di una sequenza prestigiosa che voi avete ben presente. Io sono arrivato qui nel cuore della notte accompagnato da un taxista simpaticissimo. A un certo punto ha parlato di Camilleri “Vede, nel sedile dove è seduto lei è stato seduto tante volte Andrea Camilleri”. E poi ha dato di Camilleri una definizione, che se io dovessi essere invitato a quel Convegno che vi invito ad organizzare utilizzerei come titolo del mio intervento. “E’ un uomo popolare, non nel senso che è conosciuto da tanti –il che è anche vero- ma nel senso che si siede al bar e parla, ha il gusto di stare con la gente”.

Badate, questo non  è soltanto il ritratto di un uomo, è la definizione di uno scrittore. E’ uno scrittore popolare perché ha voglia di raccontarci le storie e noi le comprendiamo, e ci sfida con quella lingua impossibile che poi invece diventa la lingua che noi impariamo a poco a poco, e comprendiamo essere l’unica esattamente adeguata per rappresentare quelle visioni del mondo che nella sua opera sono contenute. Ho detto che avrei fatto solo dei titoli; quindi un ultimo, un ultimo titolo, credo che mi sia consentito. Montalbano: mi ha tirato in ballo per tutta l’italia con la storia di una somiglianza con il suo commissario Montalbano. Alla fine io ho cominciato a crederci, ma non tanto sull’aspetto fisico, quanto per una cosa che è stata detta qui stasera e molto bene, cioè su una caratteristica generazionale. Beh, Montalbano è esattamente un mio coetaneo, ma soprattutto è uno che ha un atteggiamento che in pieno condivido. Soprattutto su una cosa della quale mi piacerebbe molto dialogare con chi ha affrontato questo argomento, in una sede che ci consenta più spazio di quanto stasera non ne abbiamo. La mia generazione, quella che viene chiamata comunemente la generazione del ’68, la generazione del commissario Montalbano, certamente ha combattuto una battaglia di rottura contro tutte le regole; ma poi quelli che sono rimasti coerenti e fedeli con quegli ideali, ripensandoli naturalmente nello sviluppo del tempo, confermando la loro adesione –parentesi: c’è un racconto di quelli del commissario Montalbano dove a un certo punto lui racconta di suoi colleghi di quelle battaglie, o compagni come allora si diceva che poi sono passati dall’altra parte- ecco ma io non sto parlando di quelli, sto parlando di quelli che poi hanno riconfermato la loro adesione a quegli ideali; bene, quelli hanno un senso dello Stato che è sempre più raro trovare in un Paese come il nostro dove, come è stato detto, ormai praticamente si fa coincidere il valore con l’interesse personale, per i più. Ed è un paradosso che proprio quelli, che erano i rivoluzionari, poi alla fine sono rimasti lì, a difendere l’idea dello Stato: Il Commissario Montalbano nel suo ufficio da investigatore.

Io concludo qui. Voglio soltanto fare gli auguri ad Andrea Camilleri. Dalle nostre parti, in Sardegna, si dice “A cent’annos” e poi si aggiunge un’espressione che suona “Saludi e trigu”, salute e grano, una civiltà contadina questo augura. Io credo che ad uno scrittore dobbiamo anche augurare “Gana”, e qui non c’è bisogno di tradurre, perché tutti quanti sapete cosa significa gana, e “Fueddus”, parole, molte parole, molti personaggi ancora.

 


 
Last modifiedWednesday, July, 13, 2011