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ALMANACCO SICILIANO DELLE MORTI PRESUNTE



Autore Roberto Alajmo
Prezzo  
Pagine  
Data di pubblicazione 1997
Editore Edizioni della Battaglia
Collana


ventinove sette ottantatré

Sentì il citofono suonare e guardò l'orologio. Erano da poco passate le otto. Scese le scale e arrivò in portineria.

Fuori, la luce forte di luglio raccontava di un'altra bella giornata troppo calda. Nel buio della portineria c'era quello squarcio di luce che gli pareva ancora più forte del solito. Man mano che lui avanzava, lo squarcio si ingrandiva. Sulla soglia c'era il portiere che lo salutò. Lo salutarono anche i carabinieri della scorta. Lui ricambiò i saluti, naturalmente. Ma era sovrappensiero: varcata la soglia per poco non si fermò a lasciarsi stordire dalla luce. Anche un attimo prima di salire in macchina stava pensando che quella luce era davvero troppo forte.

[…] In una stagione storica quale quella che stiamo attraversando, segnata da una crescente volontà di cancellazione della memoria del passato, quasi che la memoria fosse una pioggia acida che impedisce ai "radiosi" frutti del presente di germogliare, egli [Roberto Alajmo, n.d.c.] è uno di quelli che si ostinano a ricordare, che si sono assunti il peso di non dimenticare.

Ricordare è essenziale e sempre scomodo.

"La memoria delle morti violente", ha scritto Renate Siebert, "costringe al confronto con la possibilità che esse avrebbero potuto essere evitate. Il ricordo del sacrificio di queste vite pone questioni di responsabilità, offre parametri di giudizio sul corso degli eventi". Nelle quarantadue microstorie del libro, Alajmo con un linguaggio sommesso e minimalista restituisce alla morte violenta quello sguardo interno, intimo, dalla parte delle vittime, che non trova spazio nell'asettica aridità dei rapporti di polizia e nella deriva retorica delle commemorazioni ufficiali.

L'evento finale non si annuncia quasi mai con il rullare di tamburi ed il clangore delle armi consentendoti di metterti all'erta e di prepararti: mai, neppure quando - come accadde a Carlo Alberto Dalla Chiesa o Paolo Borsellino - sei una vittima predestinata.

La morte si insinua, con uno scarto improvviso di luce e di suoni, nella vita.

Forse è proprio così che si muore a Palermo: con un fiotto di pensieri e di immagini normali che slittano verso il buio, come la pellicola di un film che si inceppa aggrovigliando, in uno stridio di suoni e di colori confusi, una storia in corso che si vorrebbe poter raccontare.

E l'ultima immagine è quella "normale" del sorriso del killer sconosciuto che si avvicina chiamandoti per nome, come accadde a Paolo Giaccone, o quella dei fiori che stavi innaffiando quando "da dietro le sbarre della cancellata spuntò la canna di un fucile, ma corto, di quelli che sparano informa di rosa", o della luce "davvero troppo forte" da cui si sentì investire Rocco Chinnici in quell'assolata giornata di luglio, poco prima di salire in macchina, quando improvvisamente si fece buio.

Una specie di Varanasi - postfazione di Roberto Scarpinato



Last modified Tuesday, January, 08, 2013