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Il gran teatro del mondo



Autore Pedro Calderon De La Barca
Data Ripresa dal Parco di Villa Celimontana in Roma, trasmessa il 21 dicembre 1969 sul Secondo Programma della Rai (e ivi replicata l'11 aprile 1971)
Regia teatrale e televisiva Andrea Camilleri
Riduzione e adattamento Raffaello Lavagna
Scenografia Angelo Canevari
Personaggi e interpreti L'Autore: Voce di Nando Gazzolo, azione mimica di Pino Patti; Il Contadino: Loris Gizzi; Il Mondo: Gerardo Scala, Guglielmo Rotolo, Roberto Della Casa; Il Povero: Felice Leveratto; Il Re: Carlo Tamberlani; Il Ricco: Marco Mariani; La Bellezza: Elena Sedlak; La Legge di Grazia: Ginella Bertacchi; La Saggezza: Cesarina Gheraldi; Mimo: Alessandra Forcellini; Mimo: Claudi De Angelis; Mimo: Elisabetta Carta; Mimo: Leopoldo Migliorini; Mimo: Pino Sansotta


Il meglio del teatro barocco spagnolo del “siglo de oro”, versi raffinatissimi e fiammeggianti che evocano gli eterni sentimenti dell’uomo. È considerata un’autentica “commedia umana” quest’opera di Calderón, scritta con una vena poetica ai massimi livelli nel 1645, e si apre con Dio che mette in scena il mondo: nei panni di un “regista” distribuisce i ruoli agli uomini. Ognuno di loro dovrà recitare la sua parte al meglio perché alla fine Dio li giudicherà. È una delle opere teatrali più visionarie e fantastiche e insieme all’altro capolavoro di Calderón, La vita è sogno, l’espressione massima del teatro come specchio del mondo. Ma molti sono i temi che attraversano un’opera per certi versi modernissima, a cominciare dalle domande sul destino e il libero arbitrio.


L'Opera è stata pubblicata in DVD da Fabbri Editore e successivamente nella collana Il teatro distribuita con La Repubblica.


«Il gran teatro del mondo», quel gioco registico di Andrea Camilleri
Tra le tante imprese dello scrittore siciliano scomparso un anno fa, la trasformazione del classico di Calderón de la Barca in briosa parata delle diseguaglianze

Un anno senza Andrea Camilleri. Si moltiplicano le iniziative per ricordarlo. La sua eredità culturale è molto ricca. E include anche pagine meno frequentate. Un esempio può essere la regia che egli firmò per la televisione, più di cinquant’anni fa, de «Il gran teatro del mondo» di Pedro Calderón de la Barca. L’allestimento di Camilleri esalta quelle sfumature di fiera e sulfurea ironia che, pur percorrendo il testo come un sottofondo musicale, rischiavano di rimanere sotterranee, soffocate dal generale clima di austera solennità. Ma non solo. Regala pure vivacità al parlato dei personaggi, li mette in condizione di dispiegare per gli spettatori una ampia casistica di umane miserie, in una chiave quasi balzachiana, semplice. Indovinatissima proprio in questa chiave, la sua lettura risulta nuova, moderna, capace di comunicare con immediatezza sincera e spigliata. Mano particolarmente felice si coglie nella direzione degli attori, nel modo peculiare in cui Camilleri trasforma le loro battute in una specie di lunga cantilena ininterrotta, molto spagnola. Una tessitura severa. Scabra la messa in scena che fa da contrappunto alla complessità del testo. Un lavoro di pazienza sordo al luogo comune.
«Il gran teatro del mondo» di Calderón de la Barca è percorso così da brividi pirandelliani, sogghigni borghesi e sorprendenti torsioni buffonesche.
I protagonisti si trovano coinvolti in un singolare gioco di ruolo, di cui il Teatro diventa metafora assoluta. Con la riduzione e l’adattamento di Raffaello Lavagna, le bianche sculture sceniche di Angelo Canevari, le chiome degli alberi di Villa Celimontana di Roma, le luci di Giuliano Santi, Camilleri intreccia una rete fatta di suggestione, nella quale la trama di Calderón resta come impigliata, prigioniera, proiettata nel futuro, eppure assolutamente sé stessa. Curate da Camilleri sia la regia teatrale sia quella televisiva, lo spettacolo si conferma nella memoria come classico fra i classici. Spoglio e potente. Protagonista il dio-Autore, un’ombra mimica dietro un velario sospeso. La sua voce è quella di Nando Gazzolo.
La storia è nota. Il dio-Autore elegge il mondo a suo teatro personale. Decreta che vi si reciti la sua «teatrale festa giuliva». Saranno in scena uomini e donne. Per loro l’Autore ha scelto figure precise: il re, il ricco, il mendico, il contadino, la bellezza, la saggezza studiosa. La rappresentazione nascerà dal buio simile al caos e approderà al teatro che si nutre di luce. Saprà ciascuno ben interpretare la propria parte? Quelle che all’inizio si presentano come mere parvenze, ancora tutte da delineare e definire, manifestano poi le loro diverse identità sul «palcoscenico senza sipario del gran teatro del mondo». Ogni soggetto chiamato a recitare la propria parte, secondo il caso s’allegra o s’attrista.
Tra tutti, brilla ed è campione di umana gaglioffa simpatia il contadino, affidato da Camilleri a un grande Loris Gizzi. Prima ancora di conoscere il proprio compito, già paventa: «Faticare non è stato mai il mio miraggio». Si rassegna brontolando, farà quel che potrà. Ma, conoscendosi, prevede che sarà «un cattivo zappatore» e «un massaro ancora peggiore». Il suo destino si conferma gramo: gli tocca coltivare i campi con sudore e abnegazione ed è soggetto ai capricci del tempo atmosferico, dalle tempeste all’arsura. Anche una guerra può distruggere il suo raccolto. Le tasse, poi, lo vessano senza posa, che sia «il monarca, o dite magari il gerarca, il popolarca che comanda la barca». Ma lui ha i suoi piani. Non intende più soggiacere alle «stabilite tariffe». In barba al calmiere vuole arricchirsi, nasconderà perciò nei suoi granai il raccolto per fare aumentare i prezzi. In questo modo potrà vivere da «nababo» (sic!). L’Autore, del resto, è consapevole. Sa che, potendo scegliere, nessuno prenderebbe per sé la parte di povero o di lavoratore costretto a dura fatica.
Camilleri conduce con brio questa singolare parata delle diseguaglianze. Il mendico non si dà pace: «Solo per me la vita ha d’esser tragedia e perché per gli altri commedia?» In tutta coscienza ritiene di non meritare la propria disdetta. Ha gli stessi sentimenti degli altri, è fatto della stessa materia. Perché deve essere condannato a priori?
Il ricco, abbandonato a bagordi e gozzoviglie, lo scaccia con malagrazia, convinto che uno straccione non può dettare legge a un possidente. Questi vive circondato da amici e ipocriti che lo approvano comunque perché «dove c’è abbondanza non c’è mai di battimani mancanza». Anche la bellezza si cura solo di sé. Vampirescamente mira a ghermire le anime degli uomini, le inganna per annientarle. Nemmeno il re, chiuso nella sua gloria, ha risposte per il povero che gli chiede soccorso. Vagamente tediato, lo esorta a rivolgersi al suo ministro delle finanze. Il re è troppo occupato a «domare e a un sol fine legare tanti cervelli…»
Nel gran teatro del mondo, tutti partecipano alla «drammatica festa». Quando viene il momento di uscire di scena, un suono inaudito scuote l’intero palcoscenico. È un segnale. Andrea Camilleri ha scelto per questo l’avvio della Quinta Sinfonia di Beethoven. Tutti i personaggi devono lasciare il palcoscenico-mondo. Uno ad uno cadono nel rapido oblio di coloro che restano. Il re e la bellezza si dolgono molto per la fortuna perduta. Al contadino rincresce lasciare i propri figli in povertà, cosa che alimenterà il loro malanimo nei suoi confronti. Ma tant’è. La sua vita è stata una lotta costante contro disprezzo, rovi ed erbacce. Esce di scena spargendo semi invisibili. Un gesto quasi rituale di grande efficacia. Ora «il teatro si va spopolando». Il ricco e il mendico vengono chiamati insieme, l’uno disperato, l’altro sereno. Escono appaiati, schiena contro schiena, simili a facce di un Giano. Per ultima viene meno la saggezza.
Andando via, tutti devono lasciare costumi e attrezzi di scena. Anche il contadino viene separato dalla sua zappa. «Il villico!» esclama lui sornione, motteggiando affacciato sull’orlo dello straniamento: «Per dirla con quello stile pomposo e un po’ risonante usato in questa commedia…» Alcune lampade da campo vengono poggiate in terra. È il momento del giudizio. L’Autore usa giustizia e misericordia. Nel comporre la propria regia, Andrea Camilleri sembra avere presente un silenzioso metronomo. Un pendolo emozionale che oscilla con puntualità e costanza, costruendo con le parole e oltre le parole. Un virtuosismo di equilibrio e gusto che guarda lontano. Presagio di una prassi teatrale futura da costruire. L’audacia di una essenzialità che oggi, più che mai oggi, ci parla.
Rita Italiano (La Stampa, 14.7.2020)




Last modified Tuesday, August, 11, 2020