home page




Andrea Camilleri, io e la Rai



Regia Alessandra Mortelliti
Soggetto Annalisa Gariglio, Alessandra Mortelliti
Fotografia e montaggio Rosa Pugliese
Produzione Palomar
Edizione Gianni Monciotti
Distribuzione RAI Radio Televisione Italiana
Anno di produzione 2014
Prima proiezione Bif&st, Bari, 11 aprile 2014
Prima visione Tv Rai 1, 13 settembre 2015
(nell'ambito delle iniziative per il novantesimo compleanno)
Durata 95'


La figura di Andrea Camilleri scrittore, inventore del celebre Commissario Montalbano e autore di numerosi romanzi storici tradotti in tutto il mondo, è ormai nota a tutti, o quasi. Se ne è parlato, dibattuto e scritto a lungo e in forme e modalità diverse. Ma il mondo di Camilleri, uomo dalle infinite conoscenze negli ambiti più diversi, teatrale, cinematografico, artistico, è il risultato di una vita lavorativa assolutamente e incredibilmente “prismatica” trascorsa tra la cattedra presso l’Accademia Nazionale d’Arte Drammatica “Silvio D’Amico”, le lezioni presso il Centro Sperimentale di Cinematografia e la lunghissima carriera in RAI, dalle sue origini fino agli anni ‘80. Ed è proprio attraverso il racconto del suo rapporto con la RAI che prende vita questo documentario, mettendo così in luce un Camilleri sicuramente meno conosciuto al grande pubblico ma altrettanto affascinante.
Dopo un concorso statale andato male per motivi politici, la sua carriera inizia come funzionario in Radio, arrivando a specializzarsi in fonologia e sperimentazione radiofonica, successivamente diviene delegato alla produzione all’interno del secondo canale televisivo, poi regista e addirittura maldestro ed esilarante portavoce dell’ufficio censura. Nell’esercizio di queste innumerevoli attività e ricoprendo i ruoli più disparati, Camilleri percorre trent’anni di televisione italiana.
Attraverso una lunga chiacchierata, lo scrittore siciliano ci parla di una televisione che fu, dove, seppur tra difficoltà di carattere censorio e politico, la “buona” e “bella” televisione era la priorità di tutti coloro che ci lavoravano e dove la sperimentazione era all’ordine del giorno.
Il racconto di Camilleri procede con estrema precisione in maniera cronologica, e in questo percorso si incontrano Raffaele La Capria e Francesca Sanvitale, Gino Cervi del Commissario Maigret e Simenon, le messe domenicali celebrate negli studi di via Teulada, le ballerine con abiti troppo succinti, ed Eduardo De Filippo, il tenente Sheridan, Beckett e Pirandello…
Ma Camilleri non tralascia il lato più prettamente tecnico del mezzo televisivo, di cui era un esperto, e ci regala ad esempio un esilarante racconto sull’invenzione della “taglierina” che dava la possibilità di fare i primi e rudimentali montaggi.
Ed essendo come sempre la tv specchio del proprio tempo, il racconto di Camilleri, accompagnato da foto ed immagini di repertorio, diventa a sua volta specchio dell’Italia di allora e degli eventi che hanno caratterizzato quegli anni, la Presidenza di Giovanni Leone, l’elezione di Papa Giovanni XXIII, l’Anno Santo del 1950, lo sbarco sulla Luna, la rivoluzione studentesca del ’68 e tanto altro ancora…
Fino ad arrivare ad una sua personalissima e divertita riflessione – che parte dal mistero della transustanziazione – sul medium tv nel rapporto tra realtà e finzione.



Andrea Camilleri con Umberto Orsini e Carlo Hintermann

C'ero una volta alla Rai

Anno 1954: un bel giorno vengo chiamato a sostenere l'esame orale per il concorso Rai e la domanda cui rispondo al professor Apollonio riguarda i rapporti intercorrenti tra Jacques Copeau, André Gide e la Nouvelle Revue Française. Apollonio si alza, mi dà la mano e commenta: «Credo di interpretare il senso della commissione dicendole che questa discussione interessante la proseguiremo a Milano, dove terremo i corsi per quelli che sono stati ammessi». Il che sta a significare, appunto, che sono stato ammesso.
Così comincio ad aspettare questa cartolina, questo precetto che mi convochi a Milano, ma non arriva niente. Passano i mesi. Accetto un altro lavoro e dopo qualche tempo mi ritrovo in una cena davanti al dirigente Rai Gennarini. «Vuole sapere cosa è successo, Camilleri? È successo che abbiamo chiesto informazioni politiche ai carabinieri e quelle che sono arrivate fanno di lei se non Stalin qualcosa di un gradino più giù». Al tempo la Rai aveva come presidente l'ingegner Guala, che di lì a poco si sarebbe fatto frate trappista: figuratevi se poteva ammettere un comunista facinoroso come ero io, perlomeno agli occhi di un maresciallo dei carabinieri di un paese piccolo come il mio.
Un po' meno di due anni dopo squilla il telefono: «Sono Cesare Lupo, direttore del Terzo programma radio della Rai: vuole sostituire la nostra funzionaria addetta ai programmi che va in maternità? Le farei un contratto di sei mesi per mezza giornata di impegno». Lo ringrazio, accetto ma mi sento in dovere di informarlo che al concorso non ero stato preso "perché comunista". E lui mi rispose «Chissenefrega».
Così entrai e, a forza di contratti semestrali, passarono dieci anni prima dell'assunzione.
L'apertura della Seconda rete televisiva fu affidata in blocco a tutti coloro che fin lì avevano fatto parte del Terzo programma radio. Mentre il primo canale si rivolgeva a tutti, il secondo avrebbe dovuto essere più di nicchia, pensato per un pubblico più attento alla cultura. Tra i funzionari c'era un grande organizzatore, Maurizio Ferrara, che ebbe l'idea di sveltire le operazioni creando la figura di un funzionario che facesse da produttore sul campo, il delegato alla produzione. Eravamo tre delegati: lo scrittore Raffaele La Capria, la scrittrice Francesca Sanvitale e il sottoscritto, che sarebbe diventato scrittore solo molti anni dopo. Inaugurammo il Secondo canale con una grossissima produzione: l'originale televisivo La trincea, tratto da un racconto di Giuseppe Dessì su un episodio di guerra della Brigata Sassari. Il giorno prima della messa in onda trasmettemmo a circuito chiuso la prova generale. Invitai ad assistervi mio padre, che aveva fatto parte della Brigata Sassari e ci teneva moltissimo. Alla fine tutti facemmo i complimenti al regista Vittorio Cottafavi. Anche papà, che si era molto commosso, si congratulò con lui, ma aggiunse, con voce tremante, «Se mi posso permettere, tutte le mostrine delle divise sono sbagliate: non sono della Sassari ma della Aosta Cavalleria». Vittorio se lo portò nella sala costumi, confabularono mezz'ora, papà fece dei disegnini, lavorarono nottetempo e così il Secondo canale evitò di inaugurare i suoi programmi con una gaffe colossale.


Andrea Camilleri in riunione con, fra gli altri, Umberto Orsini e Laura Betti

EDUARDO E I FUOCHI D'ARTIFICIO
Gli intellettuali di destra o sinistra, in quei primi anni Sessanta, avevano un atteggiamento nei riguardi della televisione che variava dall'indifferenza al disprezzo: non volevano averci a che fare. Eduardo, aderendo all'invito per la ripresa televisiva di otto sue commedie, ruppe un muro. Ed era un grande intellettuale di sinistra, prima ancora di essere il grande commediografo che sappiamo. Eduardo aveva intuito prima degli altri l'importanza della televisione, la possibilità di far arrivare il proprio messaggio anche in quei tantissimi paesini dove non c'era un teatro e neanche un cinema. Insomma, la produzione era delicatissima e doveva filare liscissima.
«Caro Camilleri, in televisione c'è la censura e io lo so benissimo —mi avvisò—: quindi dovete usarmi la cortesia di farmi sapere quali sono le parti censurate prima ancora di entrare in sala prove». Ne Le voci di dentro c'era questa battuta: "Prima le feste si facevano con un prete, un sacrestano e quattro vecchiette che cantavano dietro, e venivano una meraviglia; mò si fanno con un ministro e quattro sottosegretari: una schifezza".
L'ufficio censura aveva chiamato per farla tagliare, ma io non glielo avevo detto. Così, vado in studio talmente nervoso che sbatto contro una porta, mi rompo gli occhiali e assisto alla prova senza vedere praticamente niente. Eduardo è seduto accanto a me. Riprovano la scena "incriminata" due, tre, quattro volte. Io muto: il coraggio non ce l'avevo e gli occhiali neanche. A un certo punto lui si volta verso di me e fa: «Camilleri, ma non vi sembra un po' troppo lunga sta battuta?»; «Eh, un po'...»; «Allora tagliamola». Io che non sono credente ringrazio tutti i santi lo stesso, dentro di me. Scendiamo in ascensore, dopo la registrazione, e Eduardo mi fa: «Io la battuta ve l'ho tagliata, ma voi perché non me l'avevate detto?», «Non potevo, ero senza occhiali, minorato, come facevo a discuterne... Ma poi a voi, Eduardo, chi ve l'ha detto?», «La faccia vostra me l'ha detto! Non avete idea della faccia che facevate, e ho capito che vi avevano detto di tagliarla». Gli pagai il caffè.
Sempre ne Le voci di dentro c'è un personaggio, lo zio, che comunica col mondo solo attraverso i fuochi d'artificio da un soppalco. Alla prova generale, nel finale lo zio accende una fontana luminosa: tutto bene. Alla registrazione, lo zio accende lo zolfanello, e succede il finimondo: non era una fontana, ma un furgarone. Sale a venti metri, si apre a ombrello, rimbalza sul soffitto: un cataclisma. Urlano, scappano tutti. Il razzo si va a infilare in una catasta di sedie di paglia della scenografia, dalla regia non vedo più niente, solo fumo. Terrorizzato, pensando che ci sarà sicuramente qualche ferito, mi precipito giù e al centro dello studio trovo immobile Eduardo con le mani dietro la schiena che mi fa: «Caro Camilleri, la televisione è in mano ai preti e ai piemontesi: non distinguono una fontana da un furgarone». E si allontana tristemente nella nebbia.

UN PARADISO FATTO A PEZZI
Dalla Pro Civitate Cristiana di Assisi ricevemmo l'incarico di mettere in scena il testo teatrale vincitore del loro concorso drammaturgico biennale. Il copione era un delirio mentale: si passava da un albergo di Perugia al paradiso come se niente fosse. L'allestimento comportava dunque problemi immani. Le scenografie erano di Silvano Falleni, grandissimo scenografo che non finì mai una scenografia in vita sua. Si doveva trasmettere in diretta, ormai il Radiocorriere l'aveva stampato. Ma Falleni si era rifiutato di fare il paradiso, perché il Radiocorriere non l'aveva citato, giustificandosi col fatto di non averlo mai visto, il paradiso. Allora con l'aiuto del primo cameraman, che idea una soluzione dipingendo nuvolette a mano a coprire i tubi Innocenti, riusciamo comunque ad allestire un paradiso.
Alla prova generale, nel pomeriggio che precede la rappresentazione serale in diretta, Falleni è latitante. Cinque minuti prima mi avvertono che gli ospiti della produzione vorrebbero assistere. Incautamente, acconsento. Entrano cinque cardinali, una decina di vescovi, uno stuolo di alti prelati. Il teatro si riempie completamente di preti e suore. In quel preciso momento entra Falleni, guarda il paradiso e urla «oh che l'è quel troiaio lì?». Nel frattempo il regista televisivo era scomparso, di fronte alle difficoltà della ripresa: s'era dato, e io ero stato convocato di corsa nel pullman di regia. Ricompare Falleni dopo due minuti sul palcoscenico con un martello e fa un salto per rompermi il paradiso. Avevo retto abbastanza: quando vedo Falleni che prende a martellate il paradiso, parto, attraverso bestemmiando come uno scaricatore di porto tutto il teatro, gli do un cazzotto in faccia, gli levo il martello, scorgo due carabinieri in un angolo e ordino «arrestatelo!». E quelli lo portano via. Mi volto e non c'è più anima viva in sala. Le mie bestemmie avevano fatto scappare tutti. Era rimasta in platea solo mia moglie, incinta col pancione, che piangeva disperata.

IL MONSIGNORE E IL MAGLIONCINO
In tv ho fatto non solo il regista, lo sceneggiatore o il produttore, ma anche un mestiere ingrato: l'ambasciatore dell'ufficio censura. Quello che doveva comunicare agli artisti le decisioni della commissione. Venne in Italia Abbe Lane, per esempio, ed ebbe l'ordine di esibirsi con lo sguardo sempre tassativamente fisso alla telecamera, senza mai voltarsi di schiena per ovvie ragioni. C'era poi una ballerina molto bella, Zizì Jeanmaire, che cantava e ballava con un maglione che le arrivava appena all'inizio delle gambe. Mi telefona il Vaticano, che interveniva sempre pesantemente, e un monsignore mi chiede di allungare il maglioncino. Lo vado a riferire. Lei sorride e lo allunga di due dita. Tutto bene. Dopo la trasmissione della puntata, risquilla il telefono ed è lo stesso monsignore: «Lo sa che c'è un problema, Camilleri? La signora alza le braccia, il maglioncino si solleva e tutti guardiamo lì...». Decidemmo che non era il caso di dirle di ballare senza sollevare le braccia.


Andrea Camilleri con Gianrico Tedeschi e Lia Zoppelli

UNO 007 IN AEROPORTO
Durante gli ultimi episodi di Maigret, di cui ero delegato alla produzione, c'era una scena in cui il commissario doveva uscire dall'aeroporto e veniva aggredito. A Fiumicino ci assegnarono un'uscita secondaria non aperta al pubblico per girare tranquillamente. Una comparsa doveva fare tre salti, puntare la pistola su Gino Cervi e tentare di portargli via il portafoglio. Il regista Mario Landi, ancora a luci spente, non soddisfatto dall'azione fa provare varie volte la scena alla comparsa, sempre più cattivo nella rapina. All'ennesima prova, al terzo balzo, contemporaneamente si apre la porta e spunta dall'aeroporto un elegante signore quarantenne. In una frazione di secondo si vede questo che con la pistola puntata e con un'eleganza estrema alza la sua ventiquattrore, la sbatte in testa al finto aggressore, tira fuori un revolver enorme e lo punta in faccia alla comparsa. Tutta la troupe salta fuori mani in alto urlando «cinema, cinema! Film!». E il signore: «Oh yes, sorry», e si rimette la pistola in tasca. Era un autentico 007.

TUTTO FA SPETTACOLO
Ogni domenica veniva trasmessa la Santa Messa in diretta dalla Cappella di via Teulada nella sede Rai alle otto del mattino. Un venerdì pomeriggio vedo le luci accese in questa cappelletta e il prete che dice messa. Finita la funzione, chiedo spiegazioni al direttore di produzione e mi dice che avevano registrato la messa «perché domenica non abbiamo la disponibilità delle telecamere». Questa fa il paio con la storia di quel cameraman che, dovendo riprendere il Papa e volendo fare una bella inquadratura, gli disse «Santità mi scusi, finga di pregare». Orbene: il miracolo della transustanziazione, cioè la trasformazione del pane e del vino nel corpo e nel sangue di Cristo, avviene hic et nunc, no? In quel caso era avvenuto sì il miracolo, ma il venerdì: quello che avrebbero visto i telespettatori la domenica non era più un miracolo, ma la rappresentazione di un miracolo. E questo è il destino della televisione, la sua fortuna o la sua sfortuna: tramutare qualsiasi cosa in spettacolo. Perfino il miracolo.

Andrea Camilleri

(I brani e le foto sopra riportati sono stati pubblicati su La Repubblica il 13.4.2014)




Camilleri: mai pensato alla tv scrivendo Montalbano
(La Repubblica - RNews, 14.4.2014)



Andrea Camilleri presente alla proiezione al Bif&st, accanto a Ugo Gregoretti
(foto da La Repubblica, 11.4.2014)



Last modified Thursday, March, 04, 2021