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L'ansia del commissario

Contrariamente a quanto si crede, Salvo Montalbano, il commissario di stanza a Vigàta, "il centro più inventato della Sicilia più tipica", soffre di piccole e grandi ansie.

Contrariamente a quanto si crede, si diceva, perché il nostro eroe, il quarantacinquenne (quarantaquattro e dieci mesi, per l'esattezza) "Maigret" siciliano le sue ansie non le dimostra mai, si controlla facendo lo spiritoso e sorridendo anche quando interiormente suda per l'ansia.

D'altra parte, per l'attività che svolge l'ansia è deleteria; lui lo sa e la nasconde.

E così, per chi non lo conosce bene, Montalbano appare come un esempio tipico della Sicilia pigra e sorniona, della forza tranquilla che accomuna i gattopardi grandi e piccoli di questa terra, che sembrano non farsi scalfire da nulla ed è, quindi, difficile dall'esterno credere che, invece, il commissario Montalbano soffra d'ansia: quelle piccole, quasi ridicole, poi ce le ha tutte.

Un esempio? La paura di perdere il treno, per cui è capace, con le scuse più varie (si deve controllare o no?) di presentarsi in stazione un'ora prima della partenza del treno. Naturalmente, al momento in cui si mette in moto per la stazione sa benissimo che arriverà un'ora prima del necessario, ma l'idea che l'auto possa avere un guasto o di trovare un ingorgo stradale non gli dà pace finché non arriva in stazione. L’altra sua piccola, costante ansia, che è poi una variante della precedente, gliela procura il timore di arrivare tardi agli appuntamenti, così come, sempre per le stesse ragioni, gliela procurano le persone che arrivano tardi agli appuntamenti e che per questo motivo egli detesta.

Quando qualcuno, uomo o donna che sia, non arriva puntuale all'incontro fissato, l'ansia di Salvo Montalbano monta via via che passa il tempo, come le chiare d'uova per gli spumoni. Finché il ritardo è, comunque, contenuto nella decina di minuti, il commissario pensa a qualche piccolo contrattempo: ad una telefonata più lunga del previsto o ad un ingorgo stradale, ma se la persona attesa supera la mezz'ora di ritardo allora Montalbano pensa il peggio: si va dal grave incidente stradale al colpo apoplettico. Come tutti i gattopardi, piccoli e grandi, Montalbano è, infatti, profondamente pessimista con quella venatura malinconica, con quel fatalismo tragico che accomuna Siciliani e Spagnoli, che dalla vita non si aspettano mai veramente nulla di buono.

Anche fare un viaggio o dividere il tavolo del ristorante con qualcuno che non sa chi sia gli mette ansia, ansia che però gli passa subito quando, conosciuto l'occasionale compagno, si rilassa.

Non si deve in ogni caso mai dimenticare che, con una caratteristica di solito tutta femminile, il commissario, come viene sottolineato ne Il ladro di merendine, è totalmente meteoropatico: "La luce dell'alba prometteva giornata bona, il mare una tavola, il cielo chiaro senza nuvole. Montalbano, soggetto com'era al tempo che faceva, si sentì rassicurato circa l'umore che avrebbe avuto nelle ore a venire".

Quando, perciò, sta per piovere e tira un forte vento, è meglio non contrastarlo e lasciarlo in pace; ne sanno qualcosa i suoi più stretti collaboratori a partire da Mimì Augello, suo fido vice, con cui in quei giorni è particolarmente ingiusto, per finire al centralinista Catarella, che occupa quel posto, perché "anche se riferiva telefonate stralunate e improbabili, avrebbe sicuramente fatto meno danno che in qualsiasi altro posto".

Ne sa qualcosa anche Livia Burlando (trentatré anni compiuti), l'eterna fidanzata di Boccadasse, Genova, con cui a volte al telefono, e non solo, è frettoloso e scostante, quasi sgarbato: "Livia, t'avverto sta per piovere e tira vento... Lo sai. Con questo tempo divento di cattivo umore. Non vorrei che parola dietro parola…", anche se prima di sera arriva sempre a scusarsene: "Pronto, Livia, come stai?... Ti ho telefonato per chiederti perdono della mia cafonaggine…".

Delle grandi ansie di Montalbano, fanno parte, invece, quelle derivanti dal timore che per un intervento esterno possano saltare o essere dirottate le conclusioni delle sue indagini. Per questa ragione, per l'ansia che lo attanaglia all'idea che qualcuno o qualcosa possa rovinargli tutto il suo meticoloso lavoro, le indagini del commissario di Vigàta accelerano sempre verso la fine, quasi precipitano. Insomma, è un'ansia metafisica, la paura che la verità possa sfuggirgli.

In ogni caso, ci si deve ricordare che Salvo Montalbano è ansioso dalla nascita o, per lo meno, dalla primissima infanzia, dal momento in cui gli morì la madre, che lui ricorda solo come "un riflesso biondo", mentre si ricorda benissimo della "disperazione mattutina quando sapeva che non c'era sua madre in cucina a preparargli la colazione o, qualche anno dopo, la merendina per la scuola. Ed è una mancanza che non viene mai più colmata, te la porti appresso fino in punto di morte".

Da questa infanzia privata di un affetto fondamentale, da questo trauma mai realmente metabolizzato gli deriva con molta probabilità anche un'altra grande ansia: quella di veder morire qualcuno; non lo spaventa la morte, ma l'attimo prima, il trapasso da questa vita.

Tanto che quando, sempre ne Il ladro di merendine, viene informato che suo padre è grave, non si risolve ad andare a trovarlo, praticamente fugge perché "... a Montalbano i moribondi facevano spavento e orrore: non era certo di poter sopportare l'orrore e lo spavento di veder morire suo padre, sarebbe scappato via, al limite dei collasso".

E al professar Liborio Pintacuda, "un settantino sicco, nirbuso" che lo rimprovera di fuggire più che altro la realtà, di non voler crescere risponde: "... io non riesco a trovare il coraggio di andarlo a vedere, così, mentre se ne va. Non ce la faccio. La sola idea mi fa paura. Non avrò mai la forza di mettere piede nell'ospedale dove è ricoverato".

Al momento in cui non può più sottrarsi, perché gli mandano a dire che "Suo padre è allo stremo se vuole vederlo ancora vivo non perda tempo..." a Montalbano "tornò il dolore, sordo, come quando aveva saputo, aggravato dall'angoscia per quello che era suo dovere di fare, chinarsi sul letto, baciare la fronte di suo padre, sentire il suo alito secco di morente, taliarlo negli occhi, dirgli qualcosa di conforto. Ne avrebbe avuto la forza? In un bagno di sudore, pensò che questa era la prova inevitabile, se era davvero necessario che crescesse, come gli aveva detto il professar Pintacuda".

Visto che non gli resta altro che andare, fa un percorso accidentato per arrivare a Valmontana alla clinica in cui è ricoverato il padre, sperando in cuor suo di arrivare "troppo tardi", e quando, dopo quattro ore di auto, un medico della clinica Porticelli "un cinquantino serio serio in cammisi bianco" gli dice che il padre è morto da poco, Montalbano non può far a meno di ringraziare, ma non il medico, come quest'ultimo, stupito, crede, bensì il padre di averlo risparmiato.

Detto ciò, Salvo Montalbano, come tutti quelli che sono ansiosi dal- la nascita, riesce a trovare un accordo, a convivere con l'ansia, cosa che è, invece, impossibile quando l'ansia deriva da uno stato depressivo, quando non è più una manifestazione del temperamento, ma una malattia.

In ogni caso, molte delle sue ansie le placa a tavola e a letto, dove, in entrambi i casi, non si risparmia: né davanti a "una mezza chilata di triglie fritte croccanti" o alla pasta con i broccoli preparata dalla fida Adelina, né con Livia, a cui è fedele e di cui, da buon siculo, è geloso, soprattutto dell'intesa che si è creata fra lei e il suo vice Mimì Augello, col quale repentinamente si vendica, diventando:ingiusto, per poi subito dopo, razionalmente, pentirsene, e cercare un modo per dimostrargli la sua amicizia. Perché Montalbano dei Siciliani possiede, oltre che la gelosia, anche la lealtà e la voglia di capire gli altri e, soprattutto, il senso dell'amicizia, la vera amicizia siciliana, quella che "si basa sul non detto, sull'intuito: uno a un amico non ha bisogno di domandare, è l'altro che autonomamente capisce e agisce di conseguenza".

Ma non basta. La grande caratteristica dei Siciliani è, come scrisse Goethe, la capacità di capire il mondo stesso, che, a pensarci bene, non è altro che la somma di tre qualità: l'intelligenza, l'ironia e la pietà, e il nostro commissario, nonostante le sue ansie grandi e piccole, queste qualità le possiede tutte e le dimostra ad ogni nuovo caso, sempre nella sua lingua impastata di dialetto, che lo rende ancora più umano, e con "la sua morale fatalista ma non rassegnata", che ce lo rende più vicino e che, in fondo in fondo ci fa invidiare gli abitanti di Vigàta, perché, diciamoci la verità, davanti alla ferocia quotidiana della vita a chi non piacerebbe farsi difendere da uno come Salvo Montalbano?

Andrea Camilleri

(Testimonianza raccolta da Maria Alessandra Molza per il volume Racconti sull'ansia, Passoni editore, 1999/2003)


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011