home page





Autodifesa di Caino



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 8,00
Pagine 96
Data di pubblicazione 21 novembre 2019
Editore Sellerio
Collana Il divano n.323
e-book € 5,49 (formato epub, protezione acs4)


Il monologo che Andrea Camilleri aveva preparato per il suo ritorno al teatro. Una riflessione profonda sul Bene e il Male che chiama i lettori a pronunciare il verdetto.


«Signore e signori della corte... oddio, che ho detto? Della corte? Scusate, ho avuto un lapsus... Ricomincio.
«Signore e signori del pubblico, permettete che mi presenti: sono Caino.
«Forse non avete capito. Sono Caino.
«Caino, il primo assassino della storia umana...
«Mi meraviglio. Nei secoli scorsi, appena la gente sentiva il mio nome, mi copriva di insulti, di improperi e ora invece voi ve ne state tranquilli seduti al vostro posto...
«In effetti, solo negli ultimi centocinquant’anni, ne avete visti di morti...
«Vi siete fatti due guerre mondiali, una gran quantità di guerre locali, gli eccidi, gli stermini, i massacri, i genocidi, le pulizie etniche, le stragi, gli attentati, i femminicidi…».


«Perché sono un contastorie. In fondo non sono mai stato altro. Nella tradizione ebraica, e in parte anche in quella musulmana, esistono una miriade di controstorie che ci raccontano un Caino molto diverso da quello della Bibbia. Su queste abbiamo lavorato». Andrea Camilleri offre una versione di Caino lontana da quella consueta. È forse un Caino inventore della scelta, che va oltre il pentimento prendendo consapevolezza che «senza il male il bene non esisterebbe». Come il precedente Conversazione su Tiresia anche questo monologo avrebbe dovuto essere interpretato da Camilleri a teatro. L’appuntamento era per il 15 luglio 2019 alle Terme di Caracalla. Ma il grande scrittore è uscito di scena troppo presto.


Dio disse: «Ramingo per il mondo ma nessuno lo tocchi»
Nel preciso momento in cui avevo finito di seppellire mio fratello, sentii risuonare la voce di Dio.
«Caino! Dov’è tuo fratello Abele?».
La risposta mi venne da sé. Quasi senza pensarla:
«Che ne so, non sono io il custode di mio fratello».
Ma subito dopo, quelle parole non mi sembrarono mie. E stavo per confessare al Signore la mia colpa quando Lui continuò: «Che hai tu fatto?».
Volevo rispondere, ma la voce mi si strozzò in gola. Era troppo difficile parlargli della mia colpa. Fu allora che Dio disse:
«La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla Terra».
Caddi in ginocchio. Congiunsi le mani.
«Potrai Tu perdonarmi?».
Ad un tratto si materializzò davanti a me.
Mi guardò a lungo negli occhi. Non riuscii a sostenere il Suo sguardo, però quello sguardo provocò un cambiamento in me. All’interno della mia testa, dentro il mio cervello qualcosa mutò. Come se degli ingranaggi si fossero messi in movimento.
Capii che in me era penetrata la forza della Ragione.
Infatti prima che Lui potesse rispondermi continuai:
«Perché m’hai chiesto se l’ho ucciso dato che Tu avevi già visto tutto?».
«Volevo sapere se ti eri pentito, ma tu non ce l’hai fatta a parlare».
«È stato il pentimento che mi ha negato la parola».
«Devo sentirtelo dire» disse Lui fermo.
«Signore, ho ucciso mio fratello Abele, ma se Tu sai tutto sai anche che prima lui era intenzionato a uccidermi».
«Però non l’ha fatto».
«E questo che mi viene a significare? Avere pensato di uccidermi non è la stessa cosa che avermi ucciso?».
«No, non è la stessa cosa. Lui ha operato una scelta. Voleva ucciderti, poi ha scelto di lasciarti in vita. Avresti potuto fare lo stesso, ma tu hai fatto un’altra scelta. Questo finché vivrà il mondo sarà l’impegno dell’uomo: fare le giuste scelte».
Mentre mi parlava le mie membra cominciarono a tremare, e non potevo fermarle.
«Tu stai tremando» disse Dio «e così sarà fino alla fine dei tuoi giorni. E anche la Terra sulla quale poserai i piedi, tremerà».
«Qual è la mia pena, Signore?».
«Andrai ramingo e fuggiasco per il mondo».
«Signore» replicai io «ma chiunque mi incontrerà e mi riconoscerà come Caino potrà uccidermi?».
«No, dovrai a lungo espiare la pena vivendo. Nessuno dovrà ucciderti. Avvicinati a me».
Sempre in ginocchio mi mossi e arrivai davanti a Lui.
Mi mise una mano sul capo e poi la levò. Proprio dove aveva posato il palmo cominciò a spuntare un’escrescenza carnosa assai simile al corno di un animale.
«Ecco» disse Dio «ti ho messo sulla testa un segno di riconoscimento. Nessuno tocchi Caino. Tu morirai dopo la settima generazione o almeno tutti ti crederanno morto, ma il tuo corpo invece continuerà a vivere».
«Grazie, Signore».
«No, non ringraziarmi. Vivere per l’eternità sulla terra è il male peggiore che possa capitare. E ora levati dal mio cospetto».
Ecco, questo è stato il mio dialogo con Dio.

(Il brano sopra riportato è stato pubblicato sul Corriere della Sera il 20.11.2019)


Lo confesso, ho ucciso per legittima difesa
Io, come Dio col giardino dell'Eden, avevo curato, con una fatica del diavolo, è il caso di dirlo, un pezzo di terra facendone un orto stupendo, dove cresceva la più appetitosa verdura della Terra. Figuratevi quale fu la mia rabbia quando un giorno quest'orto venne invaso da una mandria di pecore di Abele che in un attimo lo devastarono mangiandosi tutto il raccolto. Io mi precipitai da Abele per fargli le mie rimostranze e con una certa veemenza, non lo nascondo, e anche con qualche insulto, non nascondo nemmeno questo, gli rinfacciai cosa avevano fatto le sue pecore. E lui serafico mi disse: «Va bene, allora mi ridai le pelli con le quali ti copri e mi restituisci anche la carne delle mie bestie di cui ti sei servito senza chiedermi il permesso».
Quindi come vedete i moventi per l'assassinio furono diversi. Non solo, Alialel mi era comparso in sogno a dirmi: «Ammazza Abele e sua moglie sarà tua. Calmana ti appartiene di diritto, perché siete nati e cresciuti nello stesso grembo». Ma dopo un po' che continuavo a protestare, Abele reagì di brutto. Mi mise le mani addosso, era più forte di me e poco dopo che ci eravamo avvinghiati, gli fu facile abbattermi. E poi mi montò sopra e cominciò a tempestarmi di pugni. A un tratto mi paralizzai. Lessi, atterrito, nei suoi occhi uno sguardo che mai avevo veduto prima, quella che voi oggi chiamate "volontà omicida". In quell'istante per la prima volta sulla terra venne concepito un assassinio.
Le sue pupille si trasformarono: prima divennero rosse per il sangue che gli era affluito, poi bianche come il ghiaccio, fredde, gelide.
Lo sguardo assassino di Abele. Egli in quel momento di certo voleva ammazzarmi. Se io lo avessi lasciato fare sarebbe stato lui il primo assassino della storia del mondo. Vedete, non è semplice come può apparire e cioè che io ero condannato al Male perché figlio di un diavolo e Abele destinato al Bene perché figlio di un arcangelo. No, il male è insito in noi nell'attimo stesso in cui veniamo al mondo. Ebbi appena la forza di sussurrare piangendo di risparmiarmi la vita. E lui si commosse e si levò da sopra di me. Mi aiutò a rialzarmi e qui commise un errore perché io presi la mano che mi porgeva e la strattonai con tutta la forza che avevo facendolo cadere a sua volta. Gli montai di sopra. Dopo quello che avevo letto nei suoi occhi ero certo che prima o poi mi avrebbe ucciso.
Abele e Caino s'incontrarono dopo la morte di Abele. Camminavano nel deserto e si riconobbero da lontano, perché erano ambedue molto alti. I fratelli sedettero in terra, accesero un fuoco e mangiarono. Tacevano, come fa la gente stanca quando declina il giorno. Nel cielo spuntava qualche stella, che non aveva ancora ricevuto il suo nome. Alla luce delle fiamme, Caino notò sulla fronte di Abele il segno della pietra e lasciando cadere il pane che stava per portare alla bocca chiese che gli fosse perdonato il suo delitto. Abele rispose: «Tu hai ucciso me, o io ho ucciso te? Non ricordo più: stiamo qui insieme come prima». «Ora so che mi hai perdonato davvero» disse Caino «perché dimenticare è perdonare».
Avete sentito? Era il vostro Borges. Uno di noi due doveva morire. Agii solo per quella che voi oggi chiamate "legittima difesa".

(Il brano sopra riportato è stato pubblicato su La Repubblica del 21.11.2019)



Last modified Friday, November, 22, 2019