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Avviso ai mascoli siciliani

La sentenza A/37-03 di quella che una volta si chiamava Sacra Rota e che ora si chiama semplicemente Rota Romana non va pigliata sottogamba. Almeno da noimàscoli siciliani. Ma mi scappa di fare un breve inciso. Se oggi mi trovo aparlare di una sentenza mentre prima me ne sarebbe fagliato il coraggio, è percolpa della Rota stessa che, non definendosi più sacra, si è, come dire,abbassata di livello, si è portata sullo stesso piano di un qualsiasi tribunale italiano le cui sentenze, come ognun sa, possono essere discusse, criticate e stravolte, a torto e a ragione, da porci e cani. Chiuso l’inciso. Cosa dice la sentenza? Dice che gli òmini siciliani, datosi che la natura li ha dotati di una prepotente e straripante mascolinità («esagerata supremazia della mascolinità sicula»), quando si maritano lo fanno con un segreto proposito, quello cioè di rimandare a casa sua la mogliere che non si rivelasse all’altezza delle aspettative. Quasi tutte le reazioni alla sentenza da parte di mascoli siculi sono state negative, hanno parlato di stereotipi e di abusati luoghi comuni. Un mio amico mi ha detto che forse i parrini hanno letto Brancati senza afferrarne l’ironia; un altro, al telefono, quasi non riusciva a parlare soffocato dalle risate. Ebbene, credetemi, c’è poco da ridere. A mia non me la contano giusta.
Vogliamo provare a ragionarci sopra tanticchia? Anzitutto: chi è andato a contare ai parrini della Rota di Roma (scritta così pare una cosa da gioco del lotto, ma non è colpa mia) questa faccenda della supremazia mascolina? Non certo gli òmini siciliani, ma le loro mogliere, le fimmine. Si tratta, credetemi, di una congiura fimminina. Se io vado a rileggermi il Pitrè, e precisamente il 25° volume della «Biblioteca delle tradizioni popolari siciliane», trovo che il capitolo dedicato alla famiglia inizia con queste testuali parole: «Forte è nei siciliani il sentimento della famiglia. Il padre tiene il governo assoluto e indiscusso di essa; la madre governa la casa, ne prende il maggiore interesse e comanda sui figli, quasi per facoltà del marito, cui essa obbedisce ed ama anche quando egli non lo meriti». (Il corsivo è mio). E qualche rigo dopo si legge: «la donna fa al marito sacrificio pieno di sé, della sua vita, dei suoi servigi». Ecco come stavano le cose fino a qualche tempo fa. Poi è venuto il progresso, ci sono state due guerre mondiali, sono arrivate le pellicole americane dove le fimmine fanno cose che gli omini manco saprebbero fare e noi, poveri mascoli siculi, per non farci dire retrivi, incivili, abbiamo cominciato a lasciar correre. E chiudi un occhio oggi sulla fimmina diventata capufficio o dirigente, chiudi l’altro sulla fimmina diventata industriale, richiudine uno sulla fimmina diventata giudice, ora ci ritroviamo a tanto. Lo scopo della congiura, di questo ignobile complotto, è solo quello di riconquistarsi la libertà sottraendosi a quei doveri che loro imponeva la tradizione. Tra i quali, mi pare giusto ricordarlo, c’era quello di continuare ad amarci anche quando non ce lo meritavamo. E così si sono inventate questa storiella del maschilismo esagerato (esiste un maschilismo nella norma? E in questo caso, sarebbe andato bene alle mogliere?) per poterci loro impunemente ripudiare. Come hanno fatto a crederci i parrini che le femmine, da Eva in poi, le conoscono bene?

Andrea Camilleri

(Pubblicato su La Stampa, 30 gennaio 2005)


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011