home page




Cominciamo dai banchetti dei falsi

In questi ultimi tempi si è fatto un gran parlare dell’emergenza Napoli. Alte Autorità di governo si sono riunite a Napoli, dopo un balletto sul tema «esercito sì, esercito no», e hanno deciso di mandare mille poliziotti in più. Hanno agito come agisce la Protezione civile quando straripa un fiume, invia duecento vigili del fuoco, qualche tenda a chi ha perso la casa, poi il fiume torna negli argini e l’emergenza è finita. Le Alte Autorità hanno creduto e operato come se a Napoli ci fosse un’emergenza momentanea, mentre a Napoli l’emergenza è cronica. Non si risolve né con l’esercito né con mille poliziotti né con gli attacchi ai «santuari» della camorra. Distrutto un santuario, ne verrebbe immediatamente eretto un altro, perché il problema è certamente costituito da chi abita in quei santuari, ma anche e soprattutto dai moltissimi che quel santuario hanno contribuito a erigere.
In Sicilia usiamo dire che «lu pisci feti da la testa», e a Napoli per sessant’anni la testa ha puzzato assai, una classe politica corrotta e corruttibile (certo, ci sono state eccezioni, ma rare) ha lasciato che certi reati fossero declassati al punto tale da diventare manifestazioni folcloristiche.
Vi ricordate le evoluzioni dei motoscafi blu dei contrabbandieri di sigarette applaudite dai turisti quando riuscivano a battere quelli della Finanza? Le avete mai contate le bancarelle con i falsi Vuitton, i falsi coccodrillini, i falsi Rolex, i cd contraffatti che fanno tanto Napoli? Perfino un mio romanzo è stato contraffatto! Quali provvedimenti sono stati presi per eliminare le bancarelle che quotidianamente gridano l’elogio dell’illegalità?
Uno sì, e da film comico: una multa salata ai turisti i quali, tra l’altro non sanno di comprare un prodotto falso. Cornuti e mazziati. Voglio dire che il vero virus del degrado è costituito, a mio avviso, dalla microcriminalità che è un virus assai contagioso e mutante. E’ su di essa che la camorra oggi costruisce i suoi santuari. Chi la pratica la microcriminalità? Si tratta per lo più di giovani e non più giovani che vivono sopra quella esilissima linea di confine che separa a Napoli ( e in tutto il Sud) la legalità dall’illegalità: un giorno spacciano o scippano, ma il giorno dopo sono pronti a lavorare in un’officina, o dovunque si possa avere la fortuna di trovare un lavoro. Si tratta di piccoli criminali di complemento, non di criminali in servizio permanente effettivo.
Rappresentano la manovalanza che viene di volta in volta reclutata dalla camorra: certi firmano la «ferma», come si diceva una volta per il servizio militare, ma i più preferiscono tenersi a disposizione. E’ quest’ultimo il grande ventre molle della camorra sul quale bisognerebbe agire. Come? Col procurare lavoro. Anche creandolo a spese di regioni più ricche. E’ dovere di uno Stato moderno, se vuole salvare la parte più intelligente e disperata di sé. Mi è capitato di leggere in questi giorni due libri su Napoli scritti da due napoletani. Il primo è «Gomorra» di Roberto Saviano che è uno straordinario docuromanzo, l’altro è «Sfregio» di Francesco De Filippo. Il protagonista di «Sfregio» è un giovane che proviene proprio dalla manovalanza della quale parlavo. Egli, dopo esperienze che sempre più lo fanno affondare nell’inferno di Gomorra, riesce in qualche modo a restituirsi a una vita pulita. Non è un romanzo consolatorio, anzi è duro, crudo, spietato, è una sorta di monologo, di notevolissimo livello, «detto» in un napoletano tanto spigoloso quanto avvinghiante. Le Alte Autorità, oltre a leggere rapporti di prefetti e di questori e tabelle statistiche, farebbero bene a dare un’occhiata anche a libri come «Gomorra» e «Sfregio».

Andrea Camilleri

(Pubblicato su La Stampa, 9 novembre 2006)


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011