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E il cinema incontrò Pirandello

Il film “Il fu Mattia Pascal” di L’Herbier non è il primo film tratto da un’opera di Pirandello. In Italia tra il 1919 e il 1921 ne vennero girati ben 7 tra i quali sono da ricordare “Il Viaggio” diretto da Gennaro Righelli, poi “Lo scaldino” che ebbe come regista un giovanissimo Augusto Genina e “La Rosa” diretto da Arnaldo Frateilli, scrittore e critico che di Pirandello era molto amico. Di tutti questi film si sono perse la tracce: quel gran buco nero che ha inghiottito buona parte della produzione italiana ha inghiottito anche essi.

POETA VISIVO
QuandoPirandello seppe che L’Herbier aveva il progetto di girare “Il fu Mattia Pascal “fece subito dichiarazioni entusiaste nelle quali diceva di essere stato molto deluso dall’arte muta, vale a dire in soldoni, dai film che erano stati tratti da opere sue, e che si aspettava molto da un regista come L’Herbier del quale aveva apprezzato molti film. Ma quello che è importante è una frase, e cioè che il cineasta saprà mettere nel film ciò che nel romanzo non è stato detto. In realtà è la concessione di una liceità di adattamento assai larga.
D’altra parte L’Herbier era molto stimato dai letterati dell’epoca, era considerato una sorta di poeta del cinema. Qui bisogna dire una cosa credo fondamentale, cioè che L’Herbier produce questo film per conto dell’Albatros che è una società di produzione costituita da cineasti esuli russi, i quali hanno una precisa idea del cinema basata sull’invenzione visiva e su una grande libertà creativa. L’Herbier con questo gruppo si trova benissimo e a suo agio, tanto è vero che dichiara di voler fare de “Il fu Mattia Pascal” una grande fantasmagoria su basi realistiche. E mi sembra che tiene fede a questo proposito, anche se alcuni critici hanno notato, per esempio, una certa diversità narrativa tra primo e secondo tempo. Ma L’Herbier si è giustificato benissimo difendendo questa scelta come voluta.
Quando poi Pirandello vide il film rimase forse più entusiasta di quando aveva fatto le dichiarazioni iniziali, tanto è vero che scrisse a L’Herbier una lettera così piena di elogi che veramente, dicono, L’Herbier divenne rosso per la vergogna. Ora Pirandello non era un tipo dall’elogio facile, questo va detto. Io non vorrei parere polemico verso certa parte della cultura italiana, però alcune cose bisogna pur dirle. Il fatto è che i critici, anche amici di Pirandello, che si trovarono a percorrere la strada che lui stava percorrendo, non si accorsero che Pirandello in realtà faceva un’altra strada.
Pirandello era perfettamente dentro tutte le ricerche d’avanguardia che in quel momento avvenivano in Europa. Noi lo consideravamo già unoscrittore paludato, severo, eccetera. Mentre lui in realtà non aveva fatto altro con “Il fu Mattia Pascal”, come con “Sei personaggi in cerca d’autore”: voglio dire cercava di rompere avanguardisticamente tutto quello che erano gli schemi del postnaturalismo che ancora l’Italia culturale si portava dietro. Allora un’apparizione come quella di madama Pace all’interno dei “Sei personaggi” è un fatto che tu non sai dire se sia più surrealista che Dada ,ma certo non appartiene alla cultura teatrale italiana di quel momento, che riconosce a Pirandello un’innovazione ma non ne capisce la qualità e come questa si innesti in tutto il movimento europeo ed extraeuropeo.
Se c’è uno scrittore noir è proprio lui. E Pirandello ha anche il senso del macabro a livelli non indifferenti. È una reazione, una cartina di tornasole da quando lui si guadagnava il pane collaborando col «Corriere della Sera» dove manda una novella che poi diventerà “Ma non è una cosa seria”, suscita le reazioni indignate dei lettori, e un’altra addirittura Albertini il direttore del «Corriere» si rifiuta di pubblicarla. Ed è quella, dove quell’altissima personalità muore e c’è questa veglia funebre e a un tratto scoreggia, il morto. Questo proprio è il macabro nero di Pirandello.

IL FILM
Io sono convinto del “Feu Mathias” di L’Herbier. Credo che se dovessi fare un film, certo i tempi sono mutati, difficilmente lo saprei vedere in un modo diverso. Quello continua a essere un lavoro contemporaneo. Tanti film muti sono decaduti in brevissimo tempo. In fondo quando andiamo a vedere tutta la produzione, tiriamo un consuntivo, che ci resta delle pellicole pirandelliane? Ci resta “Il fu Mattia Pascal” e ci resta “Acciaio” di Walter Ruttmann tratto dal racconto “Giuoca Pietro!” e ti fermi. Perché anche il film con la Garbo… meglio dimenticarli che ricordarli.
Sembra forse un paradosso ma il ritorno del Mattia Pascal è ciclico. Non bestemmio se dico che è rivissuto attraverso certi film di Antonioni? O certi film della Nouvelle Vague francese? Voglio dire, come tutte le cose che durano nel tempo, subisce delle modificazioni e degli adattamenti. Ma quella che è la forte radice, quella rimane sempre la stessa.

Andrea Camilleri

(Pubblicato su l'Unità, 28 giugno 2009)

Il testo è tratto da un intervento video di Andrea Camilleri a cura di Cristiano Governa, in occasione della proiezione del film «Feu Mathias Pascal» di Marcel L’Herbier (1925) al festival "Il Cinema Ritrovato" (Cineteca di Bologna)


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011