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Cosa nostra
Storia della mafia siciliana



Autore John Dickie
Prezzo E 20,00
Pagine p. 565
Data di pubblicazione 2005
Editore Laterza
Collana  


Di questo libro non so se privilegiare l'accuratezza dello storico o la scorrevolezza del narratore.
Andrea Camilleri

Aprendo il libro a pagina 223 si legge di quando un bandito siciliano spiega che cosa è la mafia a un giovane studente che il bandito chiama "duttureddu". Il succo è questo. Se uno con una pistola convince un uomo a inginocchiarsi, piegandone la volontà, l'uomo con la pistola è solo "un cretino con la pistola". Se invece un uomo convince un altro uomo a inginocchiarsi dopo averlo persuaso spiegandogli perché è bene che lo faccia, allora "se Vossia si è inginocchiato io sono un mafioso. Se Vossia rifiuta di inginocchiarsi io lo devo sparare, ma non è che ho vinto: ho perso, duttureddu". Il duttureddu in questione è un allora giovanissimo Andrea Camilleri. Probabilmente nessuno ha scritto una storia della mafia precisa e asciutta come la relazione finale della commissione d'inchiesta Franchetti-Sonnino del 1876. Ora, cambiati i tempi, gli stili narrativi e le informazioni a disposizione, abbiamo un altro strumento per capire che cosa significa avere a che fare con un centro di potere così invadente, longevo e dinamico. Alcuni diranno che se uno non è siciliano (figuriamoci poi se è addirittura inglese) non può capire la mafia. O che un altro libro sull'argomento non serve. Sul primo punto: Sonnino e Franchetti erano toscani. Sul secondo: almeno per come è scritto vale la pena. Il ritmo narrativo fa arrossire certe sceneggiature sulla mafia. Nostrane.
Dario Olivero, La Repubblica, 17.2.2005

 

Cap. 5 - La mafia si insedia in America 1900-1941
Paragrafo “L’America di Cola Gentile”, pagg. 222-223

Un materiale aneddotico suggerisce che già da qualche tempo Gentile cercava di mostrarsi in questa luce lusinghiera. C’è un uomo che afferma di aver passato nel 1949 un intero pomeriggio conversando con lui, e rievoca non senza affetto la condiscendente benevolenza di Gentile, il quale durante tutto il loro incontro gli si rivolse con l’appellativo di “duttureddu”. L’uomo in questione, all’epoca un giovane studente, racconta che il vecchio uomo d’onore spiegò la sua concezione della mafiosità con un apologo:
”Duttureddu, se io entro qua dentro, Vossia insacchetta una pistola, me la punta, io sono disarmato, mi dice: Cola Gentile, inginocchiati. Io che faccio, mi inginocchio. Questo non significa che Vossia è un mafioso, perché ha fatto inginocchiare Cola Gentile. Vossia è un cretino con una pistola in mano. Vengo io, Nicola Gentile, disarmato qui dentro. E lei è disarmato. Io le dico, duttureddu, guardi, io mi trovo in una situazione. Devo chiederle di inginocchiarsi. Lei dice: ma perché? Duttureddu, glielo spiego. E glielo spiego e riesco a persuaderlo che Vossia si deve inginocchiare. Vossia si è inginocchiato, io sono un mafioso. Se Vossia si rifiuta di inginocchiarsi, io le devo sparare, ma non è che ho vinto: ho perso, duttureddu.”
A quanto pare, anche parlando di se stesso in termini puramente ipotetici a Gentile riusciva difficile immaginarsi senza una pistola in mano. Il “duttureddu” era Andrea Camilleri, che ora in Italia è un fenomeno letterario. I suoi romanzi polizieschi, scritti in una prosa pastosa e ironica, abbondantemente miscelata di dialetto siciliano, sono in testa alla lista dei best seller. Non c’è modo di controllare in maniera indipendente l’attendibilità della memoria di Camilleri riguardo a quest’incontro. Ma essa ci dice comunque che il vecchio gangster Cola Gentile, malgrado tutti i suoi sforzi di esibire un animo nobile, sulla questione del nesso tra la violenza e il mestiere del mafioso è sincero.
Nell’autobiografia riconosce che “Tutti i capi sono feroci. Se non si è feroci non si diventa capi”.



Last modified Friday, February, 14, 2014