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Elogio del crimine



Autore Karl Marx
Prezzo € 3,00
Pagine 24
Data di pubblicazione 22 febbraio 2007
Editore nottetempo
Collana i sassi


Il delinquente rompe la monotonia e la banale sicurezza della vita borghese.
La preserva dalla stagnazione e suscita quell'inquieta tensione senza la quale anche lo stimolo della concorrenza si smorzerebbe.

Questo testo, scritto da Marx fra il 1860 e il 1862 e aggiunto dai curatori alla “Teoria del plusvalore” nel quarto volume de Il Capitale, è qui presentato da solo per la sua sorprendente e attuale originalità. Il ragionamento è semplice: cosí come il filosofo produce idee e il poeta versi, il criminale, non solo produce crimini, ma tutto un apparato importantissimo ed essenziale alla società: il criminale è infatti l’origine del diritto penale e del professore di diritto penale, dell’apparato poliziesco e giudiziario, del sentimento morale e tragico, dei trattati e dei legislatori... Ponendo il criminale al centro della vita politica, culturale, morale e sociale, Marx scrive in poche pagine una critica brillante e feroce della società, rivelando un’insospettata ironia.


Il Rinascimento e l’orologio a cucù
Prefazione di Andrea Camilleri

L’antichissimo detto popolare “non tutto il male viene per nuocere” nel primo settecento ebbe a subire un duro colpo ad opera di un medico inglese, Bernard de Mandeville, che, tra un paziente e l’altro, si dilettava a scrivere acute osservazioni sulla società del tempo. Nel suo saggio intitolato La Favola delle api, ossia vizi privati, pubblici vantaggi, del 1714, sostenne la tesi che un vizio privato come l’egoismo (con tutti gli annessi e connessi che da esso derivavano, fino alle azioni criminali alle quali di necessità quel vizio conduce) era la forza propulsiva che portava a un pubblico vantaggio, cioè al benessere e al progresso, mentre l’altruismo operava in senso inverso, vale a dire che faceva da deterrente ai processi di sviluppo ed era assolutamente negativo.
Quindi il detto popolare andava riscritto: “il male porta sempre bene”. Siccome a quel tempo si amavano molto le tesi paradossali (tanto per fare un esempio, è di pochi anni dopo la Modesta proposta di Swift dove, usando un tono da serio economista, l’autore proponeva di utilizzare i bambini poveri come cibo per i ricchi), anche il saggio di Mandeville venne intruppato con gli altri.
Ma non doveva poi essere tanto paradossale se un economista come Adam Smith ne restò in qualche modo influenzato.
Naturalmente Marx non poteva trascurare il saggio di Mandeville e infatti si muove dalle sue conclusioni (ciò che in questo mondo chiamiamo il male, tanto quello morale quanto quello naturale, è il grande principio che fa di noi degli esseri sociali, è la solida base, la vita e il sostegno di tutti i mestieri e di tutte le occupazioni senza eccezione/…/; è in esso che dobbiamo cercare la vera origine di tutte le arti e di tutte le scienze…) per arrivare ad una sorta di sintetico esame del crimine e del delinquente come elementi fondamentali per lo sviluppo della “forza produttiva".
L’elenco che Marx fa, con singolare, inattesa ironia, di tutti coloro che da un fatto criminale traggono beneficio materiale, dai poliziotti ai criminologi, dagli avvocati ai giudici e ai giurati, dai fabbricanti di serrature ai periti chimici, è tanto lungo quanto indiscutibile, ma forse andrebbe aggiornato. Temo però che i tempi nei quali viviamo porterebbero troppa acqua al mulino di Marx.
Il travolgente progresso scientifico della seconda metà del novecento ha infinitamente allargato le possibilità e le varietà (direi persino le qualità) del crimine e quindi ha esponenzialmente elevato il numero di coloro che attorno al crimine ruotano, sia come complici sia come avversari. Porto qualche esempio: si pensi a quanti e variati crimini oggi si possono commettere attraverso il telefono o meglio attraverso Internet (pedofilia, pornografia, vendita d’armi e di veleni, spaccio di droghe, truffe, ecc.)
E quanta facilità di spostamento da una parte all’altra del mondo c’è oggi per un criminale. E quante truffe si fanno attraverso le televendite? E a proposito di televisione: non se ne fa un uso criminale quando attraverso di essa si mostrano false prove per scatenare una guerra?
Lasciamo perdere, l’elenco si allungherebbe a dismisura.
Infine, c’è un’affermazione di Marx che tra tutte è quella che ho trovato più stimolante ed è quando sostiene (sempre sulla falsariga di Mandeville) che il delinquente produce “arte, bella letteratura, romanzi e perfino tragedie”. Che produca romanzi non c’è dubbio e un Marx redivivo certamente gongolerebbe davanti all’odierno diluvio di romanzi polizieschi, noir, gialli, horror, giudiziari, spionistici e via di questo passo.
E confesso che mi piace assai di più questa concezione attiva e produttiva di quella sterilmente estetizzante di De Quincey nel suo L’Assassinio come una delle belle arti, del 1827.
Mentre leggevo proprio queste righe sul delinquente come produttore d’arte, m’è tornata prepotentemente alla memoria una splendida immagine cinematografica. Il volto intensissimo e l’espressione ironica e divertita di Orson Welles nel film Il terzo uomo di Carol Reed (1949) quando dice a Joseph Cotten una battuta divenuta leggendaria. E’ suppergiù questa:
Prendi, per esempio, l’Italia. Ha avuto secoli di guerre, morti, sangue, rovine, assassinii, e cosa ne è venuto fuori? Il Rinascimento. Prendi la Svizzera. Secoli di pace, tranquillità, serenità, armonia…E cosa ne è venuto fuori? L’orologio a cucù.
Carol Reed, il regista, ha raccontato che quella battuta non era compresa nel copione e che il giorno nel quale dovevano girare la scena Welles si presentò con un foglietto sul quale si era appuntato quelle parole che gli erano venute durante la notte. Reed ne rimase entusiasta e gliele fece dire.
Dopo aver letto queste righe di Marx sul rapporto tra criminalità e arte sono certo che anche lui, Marx, le avrebbe dette con la stessa espressione e lo stesso tono di Orson Welles.
 



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