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Fatti Chiari

Giornali, radio, web, talk show. Come si racconta la notizia



Autore Giovanni Floris, Filippo Nanni, Pergentina Pedaccini
Prezzo Euro 24,00
Pagine 320
Data di pubblicazione 2005
Editore CDG - Centro di Documentazione Giornalistica
Collana


Con la Prefazione di Andrea Camilleri

È un caso se un articolo di giornale si legge tutto d'un fiato o se una trasmissione televisiva vi tiene incollati allo schermo? Gli autori di Fatti Chiari pensano proprio di no. Giovanni Floris, Filippo Nanni, entrambi giornalisti Rai e Pergentina Pedaccini, docente e studiosa di linguaggio, si sono posti l'obiettivo di fare luce sui piccoli segreti del saper comunicare quando l'obiettivo è quello di informare. Che si tratti di un articolo di giornale, di un pezzo radiofonico o della conduzione di un talk show la chiarezza del messaggio è sempre il fine da perseguire. Fatti Chiari è una guida analitica e puntuale per imparare a raggiungere questo fine.

 

Testo della presentazione del libro  presso l'Università La Sapienza di Roma, 13 marzo 2006

Nelle ultime righe della mia pseudo introduzione al libro “Fatti chiari” di Floris, Nanni e Pedaccini ho testualmente scritto:

“Recenti vicende mondiali infatti hanno dimostrato come l’informazione televisiva si sia pericolosamente trasformata da fabbrica del consenso in fabbrica del credere. Far credere, per esempio, giusta la guerra in Irak perché fondata su un certo presupposto e continuare a far credere giusta quella guerra anche quando il presupposto si è rivelato un falso assoluto, una menzogna”.

A supporto di queste mie parole, vorrei citare un passo dal saggio “Fisica e filosofia” del grande fisico tedesco Werner Heisenberg con l’avvertenza che il saggio è stato scritto nel 1958, quindi in tempi non sospetti:

Non possiamo chiudere gli occhi al fatto che è difficile per la gran maggioranza della gente farsi un giudizio ben fondato sulla giustezza di certe dottrine o idee generali. Quindi può essere che la parola “credere” non significhi per la maggioranza di quella gente “percepire la verità di qualche cosa”, ma viene piuttosto presa nel senso di “assumere questo a base della vita”. Si può facilmente intendere come questo secondo tipo di fede sia molto più fermo e stabile che non il primo e come possa persistere perfino contro un’esperienza diretta che la contraddica, senza restare scossa, perciò, da alcuna sopraggiunta conoscenza.

In altre parole, una volta creata la fede di comodo sulla giustezza della guerra in Irak, la sopraggiunta conoscenza che essa era basata su una menzogna non solo ha fatto persistere quella fede di comodo senza scalfirla, ma l’ha addirittura, in qualche modo, esaltata. Non credo infatti che sia un caso che Bush e Blair, i principali responsabili di quella guerra, sono stati rieletti a furor di popolo.

Visti i risultati, mai come in questo ultimi anni, mesi, giorni si è fatta sentire qui da noi la necessità, da parte dei detentori del potere politico, di un’informazione televisiva indottrinante e dogmatica, che si rivolga non alla ragione e all’esercizio dell’intelligenza, ma all’emozione, alla reazione più o meno incontrollata, alla risposta irrazionale. Anche nel nostro piccolo, infatti, c’è stato e continua ad esserci il tentativo di trasformare una competizione politica in uno scontro frontale, in una guerra tra bene e male, con la B e la M rigorosamente maiuscole, oppure in una sorta di faida tra chi odia e chi ama. Tutte cose, appunto, che richiamano a una fede ottusa, a una crociata tipo armata Brancaleone. Una volta un conduttore e giornalista principe della Rai disse chiaramente che il suo editore di riferimento era non la Rai, ma la Democrazia Cristiana. Poi, come tutti abbiamo modo di vedere seralmente, ha cambiato editore fino ad arrivare a concelebrare quella specie di atto di fede pubblico che è stato il rito del contratto con gli italiani. E anche quando questo contratto non è stato rispettato, non certo da parte degli italiani, molti hanno continuato a crederci, ed era proprio questo il fine che quella messinscena si proponeva.

Ma ciononostante, anche questo giornalista viene di tanto in tanto richiamato dal potere perché reo di dare la parola ai nemici non più avversari. Insomma, l’ideale giornalista televisivo d’oggi è Emilio Fede perché sbandiera soprattutto la sua fede. Ma è deontologicamente corretto per un giornalista manifestare le proprie idee politiche? Il recente articolo di fondo di Paolo Mieli sul “Corriere della sera” ha rinfocolato la questione. Io credo che sia un atteggiamento corretto in quanto esprime una personale, autorevolissima, valutazione che non trasforma automaticamente quel giornale in un foglio di partito. Del resto Montanelli, proprio su quel giornale, non aveva invitato a votare Democrazia Cristiana sia pure turandosi il naso? E’ semmai un giocare a carte scoperte, senza fare ricorso alla criptazione, al sottinteso, all’ipocrisia del non detto ma lasciato intendere. Naturalmente gli attacchi a Mieli sono stati violenti da parte dell’attuale maggioranza e dei suoi amici i quali al giornalista probo preferiscono il giornalista prono, il giornalista che non abbia soprattutto scrupoli morali.

Ho detto finalmente la parola indicibile: morale. Oggi è come un coro: che c’entra la morale con la politica? Son diventati tutti nipotini di Machiavelli. Eppure una politica disgiunta dall’etica produce inevitabilmente il frutto che prospera ai giorni nostri, quello che oppone la politica non più all’etica ma semplicemente agli articoli del codice penale.

A parte ciò, io sono convinto che oggi in Italia questo potere non veda di buon occhio ogni trasmissione televisiva, d’informazione, di fiction, di varietà, che induca minimamente a ragionare, a riflettere. Non lo dirò a voi che siete del mestiere, ma la televisione si rivolge non ai lettori, ma a un pubblico che può ascoltare e vedere ma che non è in grado di riascoltare e di rivedere, di tornarci su, come si può fare con un giornale o un libro. Quindi, per chi vuole creatori di fede e non giornalisti, è indispensabile che non ci si soffermi troppo su un argomento, che non si abbia la possibilità di sviscerarlo, ma esso deve essere invece fatto inghiottire dallo spettatore come un veleno dal gradevolissimo sapore.

Per questo i giornalisti che cercano di salvare la loro dignità personale e quella del loro mestiere vengono da questo potere politico demonizzati, additati al disprezzo.

Concludo con un fatto personale. Credo che le mie idee politiche io le abbia sempre dichiarate apertamente, ma quando Giovanni Floris mi chiese di scrivere la prefazione a questo libro, io accettai semplicemente perché ritenevo Floris un giornalista aperto, onesto, equilibrato. Negli ultimi tempi ho appreso che Floris invece è una sorta di bieco manipolatore di cervelli, apertamente schierato. Anche nell’incontro di qualche sera fa su “Matrix” tra Diliberto e il presidente del consiglio, quest’ultimo ha dichiarato che il pubblico di “Ballarò” non è equamente diviso, ma è composto solo da suoi avversari. Poi ha dimostrato la sua insofferenza abbandonando lo studio dove una giornalista gli stava rivolgendo domande che non gli erano gradite. Evidentemente gli vanno bene solo giornalisti consonanti o asettici e pubblici plaudenti. O convertiti sulla via di Damasco. Quindi, anche se nella trasmissione che Floris da gran tempo conduce niente è visibilmente cambiato, adesso a Berlusconi non va più bene. Perché?

Semplice. Perché è proprio questa la colpa di Floris: non è minimamente cambiato. Avrebbe dovuto invece più o meno scopertamente allinearsi, perché, dice il potere oggi in Italia, chi non è con noi è contro di noi. Come lo diceva anni fa, ai tempi del PNF che, per chi non lo sa, stava a significare partito nazionale fascista. Che aveva un motto, è bene ricordarlo, la cui prima parola era “Credere”. Appunto, credere a una fede di comodo.

Andrea Camilleri


 



Last modified Wednesday, July, 13, 2011