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Federico II di Svevia



Camilleri – È con cuore trepidante che sto accingendomi a incontrare una fra le più affascinanti e prestigiose figure del medioevo siciliano e no: l’imperatore Federico II di Svevia. L’imperatore è, almeno fisicamente, perfettamente rispondente alle descrizioni che di lui diedero i cronisti dell’epoca: di media statura, piuttosto tozzo, rosso di pelo. Eccellenza, io sono qui per chiederle...

Federico interrompendo, parla senza particolare accento – Come vorresti colloquiare, tu?

Camilleri – Perdoni, eccellenza, non afferro.

Federico – Vuoi parlare con me in italiano, in volgare, in latino, in germanico, in greco, in francese o in lingua saracina?

Camilleri – Se non ha nulla in contrario, in italiano o in volgare: sa, anche per facilitare, vero, la comprensione degli ascoltatori...

Federico – E sia.

Camilleri – La ringrazio ad ogni modo per l’interruzione: essa mi offre il destro per entrare subito in argomento. Dunque. L’impressionante numero di lingue da ella parlate...

Federico – ... e scritte...

Camilleri – ... e scritte, certo... Dicevo, l’impressionante numero di lingue da ella parlate si può paragonare alle diverse facce di un prisma e questo prisma è un po’, come dire, il simbolo di una personalità così complessa e a volte, mi perdoni eccellenza, così contraddittoria, da risultare, per noi posteri, in definitiva sfuggente, imprendibile...

Federico accento siciliano – Ca quale sfuggente! Ca quale imprendibbile! Tutto chiaro e lampante! Non ne avete occhi per leggere, voi posteri? "Magnifico, liberale e magnanimo": parole di Pandolfo Collenuccio. "Nobilissimo signore": e sto citando l’anonimo scrittore del Novellino. "Stupore del mondo": che sinceramente è un poco esagerato ma che comunque l’ha scritto Matteo Paris. E non ti dico quello che il mio logoteta, Pier della Vigna...

Camilleri – Mi perdoni se oso interromperla. Lei sta accusando i posteri, ma la frase: "Se Federico fosse stato uno schiavo non sarebbe valso duecento dirham," l’ha scritta un suo contemporaneo, Sibt ibn al-Giawzi.

Federico – Contemporaneo sì, ma arabo. Non vale.

Camilleri – Allora glene cito uno non arabo: "Fu un uomo scaltro, astuto, avaro, lussurioso e iracondo." E ancora, parole di un altro ariano: "Fu uomo scellerato e turpissimo."

Federico – Fuori i nomi.

Camilleri – Eh no. Non posso, eccellenza. Il suo Pandolfo Collenuccio scrive che ella seppe essere "severissimo vendicatore" ... quindi, capirà. Ora, dopo dotto scambio di citazioni, se ella volesse rivelarci, al di là della iconografia ufficiale, chi in realtà fu, pur sotto molteplici apparenze, Federico II di Svevia...

Federico – Figlio mio, che ti devo dire, segnati si nasce.

Camilleri – Non mi riesce, vero, di penetrare...

Federico – Tu lo sai che età aveva mia madre Costanza quando si accorse di aspettarmi? Cinquant’anni passati, aveva! Notti intere senza chiudere occhio, passò, santa donna!

Camilleri – Temeva, data l’età non più giovanile, per la salute propria o per quella del nascituro?

Federico – Ma che vai a pensare? Temeva mio padre, temeva, che di natura sua era sospettosissimo e magari si metteva in testa che quel figlio mia madre se l’era fatto fare da un qualche giovane di stalla! E difatti, quando finalmente ce lo disse, mio padre divenne verde e si mise a guardare mia madre di malocchio, Per levare le cose di mezzo, dovette farsi avanti quel sant’uomo dell’abate Jachino a certificargli che mia madre era gravida di lui, senza discussione!

Camilleri – Mi scusi, ma l’abate Jachino come faceva a ...

Federico – Ma era un santo, no? Che vogliamo metterci a discutere, ora, la parola santa e incontrovertibbile dell'abate Jachino? Comunque, quando venne il momento che dovevo nascere, mia madre fece costruire un recinto all’aperto – siamo nel 1194 – e ci fece portare dentro lì, alla presenza di tutti, sgravò.

Camilleri – Sulla pubblica piazza?

Federico – Sissignore, sulla pubblica piazza.

Camilleri – Non riesco a vedere lo scopo di tutta questa messinscena.

Federico – Ora vengo e mi spiego. Perché, egregio, mia madre era una gran testa fina. Primo: sgravandosi alla presenza di tutti nessuno poteva pensare che si trattava di un parto suppostizio. Secondo: avendo mio padre allato, nessuno doveva permettersi di pensare che il figlio non fosse di mio padre. Mi sono spiegato? E così mia madre credette di tagliare le malelingue.

Camilleri – E naturalmente...

Federico – ... non ci riuscì. Ci fu lo stesso chi mi disse figlio di mulinaro, figlio di campiere, figlio di falconiere. Ma se persino mio suocero, un giorno, mi chiamò figlio di boja!

Camilleri – Sì, sarà, ma non vedo cosa c’entri tutta questa storia, indubbiamente interessantissima, con la mia domanda circa le molteplici apparenze...

Federico – Ci accucchia e come, benedetto figlio! Ma se già al momento della mia nascita io ero per gli uni uno e gli altri altro! Ci godono, certi siciliani, sopra queste cose! Ci scrivono sopra libri, romanzi e rappresentazioni! E perciò cosa mi vieni a contare sul "prisma" e sulla natura "diversa e contraddittoria"? Ero segnato, ero!

Camilleri – Allora, se permette, muoviamoci sopra un terreno certo. Tutti, e ripeto, indistintamente tutti i suoi biografi la descrivono come un uomo lussuriosissimo. Sono costretto ancora a citare.

Federico – E tu cita, cita.

Camilleri – Riccobaldo da Ferrara: "Federico fu molto amante degli amplessi femminili, pertanto possedeva un gregge di graziose donne." Benvenuto da Imola: "Federico aveva sempre con sé un gregge di bellissime ragazze."

Federico – Posso fare una domanda?

Camilleri – Certo, eccellenza.

Federico – Tu sei siciliano?

Camilleri – Eccellenza sì.

Federico confidenziale – E come stiamo a donne?

Camilleri – Be’... malgrado io non possa più dirmi giovanissimo, è vero ... Io ancora ... non mi posso proprio lamentare ... L’altro giorno una tedesca ...

Federico interrompendo – Ma lo vedi? Anche tu! Ma come fa un imperatore a imperare sui siciliani se non è il più potente, sì, proprio in quel senso lì, di tutti? Altrimenti ti mettono sotto i piedi, ti chiamano mezza cartuccia, ti dicono senza denti per mangiare la grazia di Dio!

Camilleri – Ma non le pare di avere esagerato? Tre mogli. Un gregge, addirittura, di belle ragazze. Due harem!

Federico – Tre. Uno era itinerante. ma tu non lo devi dimenticare che nel mio impero c’erano anche gli arabi! E gli harem, figlio mio, erano per dare polvere negli occhi degli arabi!

Camilleri – E la violenza che esercitò a una sua nipote?

Federico – Appunto, era un’esercitazione. Quella fu polvere negli occhi ai greci, che in queste cose di incesto...

Camilleri – Ora capisco. Allora quel vizio turpe di cui l’accusò Niccolò da Curbio fu sempre per i greci, vero?

Federico – No, quello fu per la gente della mia razza. Il mio impero era composito, egregio amico. Lo vedi che non capisci? Io di razza tedesca, ero. E mi sono trovato in mezzo a siciliani, arabi, pugliesi, calabresi e greci! Cosa vuoi che m’interessassero tutte queste donne!
Camilleri – Mi pare di capire che ella vuol sostenere insomma che il suo vero interesse non erano le donne ma qualcosa di più spirituale, di più alto. Forse la poesia? Fu sotto il suo regno infatti che una stragrande fioritura di poeti...

Federico – Fioritura! E secondo te io che ero allora, concime? Ma per me potevano anche non essere nati. E invece no, mi crescevano attorno come funghi, senza che io, mi devi credere, dicessi né ai né bai.

Camilleri – Be’, in fondo, deve essere stato bello avere a che fare con tanti poeti...

Federico, sorpreso – Ca quali poeti?!

Camilleri, altrettanto sorpreso – Ma quelli della scuola siciliana, no ? Oddo, Giacomino, Ciullo...

Federico – Perché, tu li chiami poeti, quelli? Un momento e ti faccio il conto. Dunque, Giovanni di Brienne, che fu pure mio suocero, era uomo di guerra e re; Jacopo da Lentini era notaio imperiale; Pier della Vigna era cancelliere e ministro; Giacomo Pugliese era un alto funzionario di corte; Rinaldo d’Aquino era conte e falconiere; Percivalle Doria era vicario imperiale; Guido delle Colonne era capo dei giudici; Stefano Protonotaro era appunto il primo notaro dell’impero; Ruggerone da Palermo era uno che se lo incontravi solo, di notte, era meglio che cambiavi strada ... Con una mano ti mostravano l’ultima composizione poetica e con l’altra ti chiedevano promozioni, aumenti di stipendio, trasferimenti, collocazioni a riposo anticipate ... E guai se ti passava per la testa, sinceramente, di dire che il contrasto di Ciullo ti piaceva di più della canzonetta di Mazzeo! C’era pericolo che scatenavi una guerra civile! Poeti! Ma non mi fare ridere, va’! E quindi fu la stessa storia con le femmine, anche lì se non eri il più bravo di tutti non eri niente. Perciò, almeno come poeti, si sentissero tutti eguali, feci costruire, a Enna, una torre ottagonale, coi sedili tutti gli stessi, torno torno. Lì ci riunivo, di tanto in tanto tutti questi poeti che se la spassavano a leggersi le loro poesie...

Camilleri – Una sorta di salotto letterario ante litteram

Federico – Sì, questa cosa qui. E magari io ci leggevo le mie poesie. Che piacevano a tutti. Mi devi credere, non mi sto vantando. Quando Rinaldo ne leggeva una delle sue, se ne veniva Ruggerone a dire che quella rima lì non ci azzeccava, che quel verso zoppicava... e quando Jacopo ne attaccava una delle sue, Percivalle principiava a fare una bocca come certi pesci buttati a riva... Ma quando leggevo io, tutti muti. Impalati. E, alla fine, un diluvio di applausi. Io domandavo, guardandomi attorno: "C’è nessuno che vuole fare qualche osservazione a questa mia poesia?" E quelli, in coro: "Ma no... è perfetta... cosa andate a cercare, Maestà... è sublime... che scherziamo?" Ne ho scritte tante. Non so se tu ti ricordi. Quella che cominciava: "Poi che ti piace, Amore" e quell’altra che faceva: "Dolze mio drudo, e vaténe..."

Camilleri – Ricordo perfettamente. Sono su tutti i libri di testo.

Federico – Mi fa piacere. Ci sono pure quelle degli altri?

Camilleri – Sì.

Federico – Ah.

Camilleri – A questo proposito, eccellenza, vorrei onestamente avvertirla che molti dubbi i posteri hanno sollevato sulla vera paternità di queste composizioni poetiche...

Federico – E come ti sbagli?! Appena muovo un passo, zac! escono fuori i dubbi sulla paternità. Non ti ho detto che si nasce segnati? Avanti, che si dice delle mie poesie?

Camilleri – Che ella se le è fatte scrivere da un negro...

Federico – Un arabo?!

Camilleri – Mi perdoni, è un nostro modo di dire. Chiarisco. Dicono che ella se le è fatte scrivere da una altro con lo scopo, appunto, di primeggiare anche in questo campo.

Federico – Nein, nein. Scusami: no e no. Ci ho perso la vista, a scriverle! Tu le hai dovute imparare a memoria, a scuola?

Camilleri – Sì.

Federico – Ci godo. Vai avanti con le tue domande.

Camilleri – Ella un attimo fa ha avuto la compiacenza di ricordare Enna: Sono tanti gli storici che si son posti la domanda sul perché ella, pur possedendo meravigliosi palazzi, che so, a Palermo o a Messina, avesse spesso e volentieri preferito ritirarsi in questa città che certo non eccelleva sulle altre. Qualcuno ha suggerito un’ipotesi, come dire, hölderlinianamente poetica. Enna, che come tutti sanno sorge a quasi mille metri d’altezza, è frequentemente nebbiosa, gelida, umida, aperta ai venti. Non sembra insomma una città siciliana. E quindi ella, come appunto l’Iperione di Hölderlin, non potendo, per ovvi motivi, al "Caucaso andare", volle crearsi in Enna un suo Caucaso casalingo, una proiezione siciliana della sua patria tedesca. È vero? Ha colto nel segno, il sensibile storico?

Federico – Ca quale Caucaso e Caucaso! Io questo Hölderlin, che deve essere un poeta delle parti mie, ho avuto la fortuna di non conoscerlo. Ci mancava solo lui... Ma ho letto le poesie di un altro poeta, greco, che di nome faceva Callimaco, e tu lo sai come questo poeta chiamava Enna?

Camilleri – In questo momento, vero, mi sfugge...

Federico – La chiamava "ombelico della Sicilia", la chiamava. Vedo dalla tua faccia che non capisci. Dove si trova, figlio mio, l’ombelico?

Camilleri – Al centro del...

Federico – Appunto, al centro del corpo. Enna, egregio amico, (diventa di colpo misterioso, sillabando) è e-qui-di-stan-te. Chiaro? Ma come, ancora non capisci? Ma lo sai che ogni città siciliana, appena mi ci fermavo per uno o due giorni, ma che dico? anche per cinque minuti, si credeva autorizzata a sentirsi meglio delle altre perché, diceva, era stata "prescelta"? E così Messina si sentiva meglio di Palermo, Catania meglio di Trapani, Siracusa meglio di Girgenti... Liti, rivolte, mezze guerre: una babilonia, figlio mio. Lo sai a che punto arrivarono un giorno i messinesi? No? Te lo dico io. Per dimostrare che erano i meglio di tutti, un giorno se ne uscirono a dire che la Madonna in persona aveva scritto una lettera allo stratego della città, una lettera con tanto di bollo e proveniente da Gerusalemme, nella quale si sosteneva che Messina era la città più bella del mondo e che Palermo, al confronto, era cacca. Ed ebbero il coraggio di farla vedere all’urbi e agli orbi, la lettera! E il vescovo di Messina, che si pensava fosse una persona seria, al quale la lettera venne messa sotto gli occhi dall’autorità, la prese, se la guardò calmo calmo e alla fine disse che per lui non c’era dubbio: quella era la calligrafia della Madonna. Cose da pazzi! Un vescovo! Certo che a Enna c’era freddo e neve e vento e umido, ma che potevo fare? Lì dovevo starmente, così nessuno mi poteva dire che preferivo una città invece che un’altra! È la stessa storia dello zoo!

Camilleri – Già, infatti gli storici asseriscono che la sua passione per gli animali esotici...

Federico – Sì, passione! Una volta il sultano d’Egitto mi mandò in regalo una pantera. Io, che non sapevo che farmene, la mandai in regalo a Parma. Madre santa! Subito Palermo reclamò un dromedario. E io, dai il dromedario. E Catania volle un leone, Siracusa un leopardo e Cremona un elefante e quello un orso bianco e questo un pavone e quest’altro un girifalco... Ecco come nascono le storie: io quello zoo me lo tenevo solo per fare i regali... A me l’odore delle bestie mi faceva senso, pensa un po’! E invece il destino...

Camilleri – Perdoni, eccellenza! Ella ha pronunciato, or ora, una parola fondamentale al fine della conoscenza della sua personalità. La parola è: destino. Credette ella veramente negli astri e negli oroscopi? Perché resta il fatto incontrovertibile che alla sua corte ebbero onori e potere due eminenti astrologi, Michele Scoto e Maestro Teodoro i quali...

Federico – Certo che c’erano, Tu conosci i versi che mi dedicò Guglielmo di Figueira? "Un tal signor merita ben la signoria / ché egli sa ben ciò che si conviene / ed è tanto dotto nell’Arti e nell’Astronomia / che vede e conosce prima ciò che dopo avviene." Questa è, amico caro, la chiave.

Camilleri – Dunque l’astrologia...

Federico – ... non c’entrava per niente. Fai mente locale all’ultimo verso della poesia che ti ho appena detto: "Conosce prima ciò che dopo avviene." Vedi, figlio mio, i siciliani, prima ancora di nascere, sanno che niente sanno, niente hanno visto e niente hanno sentito. È questo benedetto vizio dell’omertà. Però i siciliani, che hanno fama di non parlare, se tu sai come prenderli, parlano. A mezza voce, cifrati, voltando la testa dall’altra parte, parlano. E tu, che sei un imperatore e devi sapere come vanno le cose nel tuo impero, che fai? Cerchi di farli parlare. Ma quando quelli hanno parlato, come fai per evitare che si ritrovino due giorni dopo dentro un fosso, e con la lingua tagliata? Dici che quelle cose lì te l’hanno dette le stelle, e hai salvato capra e cavoli. Michele Scoto e Maestro Teodoro servivano insomma a dire oscuramente quello che i siciliani mi dicevano chiaramente. Quali astri! Quale astrologia!

Camilleri – Questa è una sottile spiegazione, indubbiamente. Però i cronisti affermano che ella seguì i dettami dell’astrologia anche in situazioni, come dire, molto intime. "La prima notte che l’imperatore si coricò con sua moglie Isabella di Brienne, egli non volle conoscerla carnalmente prema dell’ora conveniente, che gli era stata segnata dagli astrologi", così scrive testualmente Matteo Paris.

Federico – Perché, tu l’hai conosciuta com’era fatta Isabella di Brienne?

Camilleri – No, io no.

Federico – E allora che parli a fare?

Camilleri – Dicono, eccellenza, che ella spesso cedette a una certa crudeltà di carattere, e di ciò fanno colpa alla sua ascendenza teutonica... per tutti, portano l’esempio di Pier della Vigna, che ella fece morire di cattiva morte...

Federico – Crudeltà! Ascendenza teutonica! Queste sono tutte chiacchiere e tabaccherie di legno! Perché i siciliani che sono, tutti santi?! Chi era questo Pier della Vigna prima di diventare amico mio? Niente, polvere era. E io, che lo pensavo amico, lo feci diventare il mio più fidato consigliori – mi scuso del lapsus: consigliere – e gli misi ai piedi tutto quello che voleva ... Di lui mi fidavo come della mia ombra. E invece, appena lo mandai al concilio di Lione, quello si mise d’accordo col papa che era mio nemico. Cosa potevo fare, dimmelo tu che sei siciliano, anche per l’orecchio della gente, cosa potevo fare di uno che si diceva amico in faccia e faceva il Giuda alle spalle? E allora che è l’amicizia? Pezza per i piedi? Mi devi credere, figlio mio: mentre lo torturavano, erano più le lacrime mie che quelle sue. Lascia perdere, va’!

Camilleri – Comprendo come quest’ultima domanda l’abbia turbata profondamente, eccellenza. E vorrei chiederle, dato che ancora ci restano trenta secondi...

Federico – Ma tu la domanda più importante, figlio mio, me la vuoi fare o non me la vuoi fare?

Camilleri – Ne sarei felice, se solo riuscissi a sapere cosa aggrada...

Federico – Ma figlio mio, chiedimi del mio trattato De arte venandi cum avibus

Camilleri – Quello sulla caccia coi falconi?

Federico – Quello, sì, quello!

Camilleri – Ma vede, eccellenza, oggi non si va più a caccia coi falconi ... Il suo trattato è, come dire, un po’ troppo specialistico e non credo che ai nostri ascoltatori ...

Federico – Trent’anni ci ho messo a scriverlo! Ma tu l’hai letto?

Camilleri – Io veramente non…

Federico accento italiano – Guarda qua: "Ciascun volo è una frazione di movimento circolare, e le penne poste più avanti descrivono un volo più ampio. Così accade, secondo le leggi della meccanica..."

Camilleri – Eccellenza il tempo a nostra disposizione...

Federico – ... che la puleggia maggiore sollevi un peso più grande. Le parti di cerchio che compiono le singole penne sono di circonferenze equidistanti, e quella che fa la parte di un ambito maggiore...

Camilleri – Eccellenza...

Federico, in raptus – ... e più è distante dal corpo dell’uccello più è necessaria a sollevarlo o a spingerlo e riportar giù, come afferma Aristotele...

Tecnico, brutale dialetto romano – Aho, e che famo? Dottò, io chiudo...

Camilleri – Chiudi, chiudi pure, ma piano...

Federico – ... nel libro De ingeniis levandi pondera che un cerchio maggiore fa sollevare un peso più grande e ciò è pur vero in quanto lo stesso uccello, sia esso falco o aquila o comunque... (Dissolve.)
 

Andrea Camilleri
da: AA.VV., Nuove interviste impossibili, Milano, Bompiani 1976 – pagg. 60-69

(Testo mai andato in onda in radio)




Last modified Saturday, November, 24, 2012