home page





From Palermo to America

L'iconografia commericale dei limoni di Sicilia

Catalogo della mostra (Palermo, 28 marzo-30 aprile 2007)



Autore Antonino Buttitta, Salvatore Lupo, Sergio Troisi
Prezzo E 35,00
Pagine p. 214
Data di pubblicazione 2007
Editore Sellerio
Collana  


Al principio del Novecento gli agrumi siciliani vengono esportati in tutto il mondo. Nasce un peculiare linguaggio commerciale (nonché un'arte del packaging avanti lettera), applicazione ingenua e sorniona al tempo stesso di sofisticati modelli pubblicitari creati di regola nel Nord Italia. La mostra From Palermo to America documenta l'allargamento e l'approfondimento della ricerca iconografica pubblicitaria. Grazie anche al coinvolgimento di numerosi collezionisti siciliani, si è ampliata la raccolta delle locandine commerciali, degli "scacchetti" o "fazzoletti" (le veline che avvolgevano i frutti), dei traforati metallici utilizzati per marcare" le cassette degli agrumi e delle relative matrici di carta; e sono venuti alla luce reperti ulteriori, quali i listini delle aste agrumarie di New York, New Orleans, Amburgo, in cui si ritrovano in forma più stilizzata le varie "marche" degli esportatori siciliani. Il catalogo comprende testi di Antonino Buttitta (sul mito del limone siciliano dal punto di vista dell'antropologia simbolica), Salvatore Lupo (sulla storia economica della produzione ed esportazione degli agrumi di Sicilia) e Sergio Troisi (sulla retorica impiegata dall'iconografia commerciale agrumaria); e ripropone la nota dello scomparso Hans Sternheim pubblicata in "Dove fiorisce il limone" nel 1983, preziosa testimonianza in merito alle pratiche lavorative del settore.


Una Sicilia di carta per vestire i limoni

Fino al 1984 non sapevo che gli “scacchetti”, vale a dire quei foglietti quadrati di carta velina che avvolgevano gli aranci d’esportazione e recavano stampato a colori il marchio della ditta esportatrice, in origine venivano adoperati per incartare i limoni. Fu un bellissimo e illustratissimo libro a cura di Antonino Buttitta, magnificamente stampato da Enzo Sellerio, apparso proprio in quell’anno, a insegnarmi come stavano le cose.
In origine, dunque, fu il limone. I maggiori paesi importatori, dalla seconda metà dell’Ottocento, erano Inghilterra, Stati Uniti, Germania. Tanto per fare un esempio di quanto il mercato siciliano fosse importante, basterà dire che la Sloman di Amburgo, una società di navigazione, ogni cinque giorni mandava una sua nave a Palermo per caricare da diecimila a ventimila casse da 300-600 frutti ognuna che servivano solo per Amburgo e Brema. Ma settimanalmente partivano navi stracolme per Londra, Copenhagen, New York e altri porti inglesi e canadesi.
Ogni cassa, ai quattro lati, aveva i “pizzi”, cioè carte veline illustrate coi bordi merlettati, e talvolta anche le “frinze”, cioè striscie di carta colorata. Aperta la cassa, appariva subito la “fodera”, un foglio di carta velina col marchio dell’esportatore che ricopriva interamente la prima fila di limoni. Ogni limone della prima fila era incartato nel suo “scacchetto”. Le file sottostanti, no. Ma per evitare che i compratori si facessero l’errata idea che i limoni delle altre file fossero meno buoni, una scritta generalmente in inglese rassicurava che tutti i limoni di quella cassa erano ottimi “da cima a fondo”. Il perché di tutte queste variopinte decorazioni è presto detto: servivano a impreziosire il prodotto, a farne una cosa quasi da regalo, a renderlo più attraente quando veniva battuto all’asta nei mercati. E in occasione delle aste, nella sala di vendita venivano esposti i cosiddetti “cromi”, che erano delle vere e proprie locandine pubblicitarie.
I primi scacchetti che sono arrivati fino a noi risalgono all’inizio del Novecento ed erano naturalmente in bianco e nero. Poi si cominciò a fare lo stesso con le arance. A metterli in fila, questi scacchetti rappresentano una straordinaria narrazione per immagini della nostra storia, del nostro gusto, della nostra evoluzione sociale. La guerra di Libia del 1911-12 trova un puntuale richiamo in uno scacchetto della ditta Rocco Barbera: su uno sfondo di minareti, palme e nostri soldati avanzanti, in primo piano un bersagliere regge a due mani il tricolore sabaudo che una sorta di odalisca inginocchiata bacia devotamente. Tra il cappello piumato del bersagliere e i lontani minareti campeggia l’immancabile scritta “Uniform quality fromn top to bottom”. Il tutto incorniciato da festoni di limoni. Ma altre ditte non esitano a riportare negli scacchetti materiali pubblicitari della Fernet Branca, della Bertelli, della Zenith, oppure sculture di Mario Rutelli o manifesti di Cappiello destinati ad altri prodotti. Alcuni scacchetti addirittura venivano appositamente stampati a seconda del paese nel quale era diretta l’esportazione, altrimenti non si spiega come, in Sicilia, ci fossero limoni chiamati Sant George, Wiliam Tell, Siegfried e Brunhilde.
Con l’avvento della stampa a colori, molti scacchetti, soprattutto quelli per le arance, s’apparentarono, per lo sfavillìo dei colori appunto, alla cassata siciliana. Comparvero persino decorazioni dorate. Chi non fu tentato di farsi una raccolta di scacchetti nel periodo del loro maggiore fulgore, verso gli anni Cinquanta? Io, personalmente, emigrato a Roma, arrivai a possederne un centinaio. Avevo uno scacchetto che credo rarissimo, non rappresentava niente, erano alcuni colori vivacissimi messi l’uno accanto all’altro a formare un disegno astratto. Ogni tanto, quando la nostalgia si faceva più forte, li mettevo in fila sul tavolo. Li guardavo e mi ritrovavo tra i colori e gli odori della Conca d’Oro.
Una ventina d’anni fa, ci condussi mia moglie. Dissi al tassinaro di seguire una certa strada che portava a una collina dalla quale si dominava la Conca. Poco prima d’arrivare alla sommità, pregai mia moglie di chiudere gli occhi. Appena capii che eravamo al punto giusto, dissi al tassinaro di fermare e a mia moglie di guardare giù. Lei guardò e mi domandò, un poco stupita, cosa c’era da vedere. Allora mi sporsi a guardare anch’io. Non c’era più un albero di limoni o d’arance. Solo una grigia distesa infinita di case.

Andrea Camilleri
(da La Repubblica, 25.2.2007)


”Così nasce la prima pubblicità”
Lo zio Sam in pantaloni a righe bianche e rosse, in giacca blu con le code, il tessuto ricamato di stelle, il volto alla Lincoln, due gambe da trampoliere, un piede in Sicilia l'altro in America. Il global di ieri, il global di oggi negli agrumi firmati "Lo Cicero Brothers. Paternò Oranges, Messina Lemons", cassette di frutta che viaggiano nella storia, nell'arte, nel design. Si racconta di marchi, manifesti, vecchie réclame e packaging sempreverdi da fine Ottocento al 1940 i in From Palermo to America, un libro curato dall'antropologo Antonino Buttitta (Sellerio, 194 pagine, 88 euro) che adesso viene ripubblicato in occasione di una mostra dallo stesso titolo che si inaugura a Palermo il 28 marzo. Mille immagini, locandine, “scacchetti”, veline, traforati metallici che servivano a vestire e rendere più appetibili i limoni da esportazione si potranno ammirare nell'esposizione curata da Enzo Sellerio a Palazzo Ziino, fino a fine maggio.
Professor Buttitta, Borges scriveva: «Il poetico si ritrova nei dettagli». Per trovare il poetico ha cercato i dettagli nelle carte che avvolgevano i limoni?
"L' esportazione dei limoni è cominciata proprio così. Prendevi un foglio, lo traforavi, lo dipingevi, toglievi il foglio, trovavi un quadro. I limoni venivano sistemati in queste veline. È una delle prime forme di comunicazione pubblicitaria, è il packaging di ieri: da un lato mostrava il marchio, dall'altro garantiva l'integrità del prodotto».
Per un mercato transoceanico “From Palermo to America”, come suggerisce il titolo della mostra?
«Sì, gli uomini di ieri consumavano simboli come quelli di oggi. La sfera simbolica di un prodotto suscita il pensiero mitico, per questo le immagini usano archetipi indigeni: il ciclope, il fauno, Diana, la sirena, san Giorgio, perfino Dante. Ma anche il carretto siciliano con i suoi rossi, i suoi gialli sfavillanti, oppure le gondole veneziane sul mare blu».
A ogni luogo di destinazione dei limoni corrispondeva un'immagine, un'icona che lo caratterizzava e rappresentava. Un'immagine che diventava pubblicitaria. È cosi?
«Sì, certo. Per l'America la Statua della Li­bertà, per l'Inghilterra il Principe di Galles e il suonatore di cornamuse, per l'Europa del Nord Guglielmo Tell o Brunhilde, per la Germania Sigfrido, per il Messico Zorro. E poi i temi universali: i bimbi, la purezza, il nudo, la natura, la coppia, l'amore, l'oriigine della vita».
Il libro riporta un frammento di 'Abd Ar-­Rahmàn, poeta musulmano: «Gli aranci superbi sembran fuoco ardente su rami di smeraldo. Il limone pare avere il pallor d'un amante che ha passato la notte dolendosi per l'angoscia della lontananza». Anche questo fa parte della storia simbolica del limone?
«La storia simbolica comincia molto lontano. In Sicilia la coltivazione degli agrumi viene introdotta dai Berberi nel Medioevo. I berberi erano islamici, venivano dal Maghreb. In Sicilia questa simbologia attraversa la cultura dei traforati, delle veline, dei profumi. Scriveva Floridia, studioso di agrumicoltura: "Tutto in questi alberi incanta gli occhi, soddisfa l'odorato, eccita il gusto e nutre il lusso e le arti"».

Ambra Somaschini
(da La Repubblica, 25.2.2007)



Last modified Wednesday, July, 13, 2011