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I funzionari della Polizia di Stato

Analisi su una professione alla ricerca di identità



Autore a cura di Francesco Carrer
Prezzo E 14,00
Pagine 176
Data di pubblicazione 2006
Editore FrancoAngeli
Collana Criminologia


Lo studio della categoria professionale dei Funzionari della Polizia di Stato, promosso e realizzato con il contributo dell'ANFP (Associazione Nazionale Funzionari di Polizia), è stato presentato nel dicembre del 2005 presso l'hotel "Mediterraneo" di Roma alla presenza di Andrea Camilleri; il testo di questa discussione è stato pubblicato in anteprima su Micromega n.3 del 16 marzo 2006.
Partire da Montalbano per arrivare al Funzionario di Polizia rappresenta il grande stimolo intellettuale che Andrea Camilleri ha offerto nella sua prefazione all'opera a tutti quei funzionari che amano il proprio lavoro e si impegnano quotidianamente per il riconoscimento della dignità delle proprie funzioni.
Luigi Soriano

Le persone chiamate a svolgere una funzione di dirigenza o di comando hanno un'importanza basilare in ogni tipo di organizzazione, dalla più semplice alla più complessa, indipendentemente dalle sue caratteristiche. Ciò è ancora più evidente per una realtà quale una forza di polizia, chiamata a fornire risposte sempre più complesse nel pieno rispetto della democrazia e della razionalizzazione delle risorse.
Per quanto riguarda la realtà italiana, l'identità professionale del funzionario della Polizia di Stato, a partire dalla legge di riforma dell'Amministrazione della pubblica sicurezza del 1981, non è facilmente rappresentabile né per chi svolge questa professione né per chi la osserva dall'esterno. In particolare, guardando le responsabilità attribuite ai funzionari, dall'ordine pubblico alla sicurezza stradale, dalla gestione di risorse umane alle indagini di polizia giudiziaria, non appare facile delineare un unico modello di funzionario. A ciò si aggiunge l'eccessiva eterogeneità degli accessi al ruolo che, con la mancanza di regole certe, condivise ed inderogabili sulla progressione di carriera, non hanno consentito di creare una reale coscienza unitaria del gruppo di appartenenza.
Questa analisi, voluta dall'Associazione Nazionale Funzionari di Polizia e condotta con l'impiego di alcuni strumenti di ricerca quali il questionario, le interviste a testimoni privilegiati ed il focus group, si propone di analizzare la realtà in oggetto e di fornire alcune risposte che consentano la maturazione della categoria, a tutto vantaggio anche della polizia italiana e della sicurezza del Paese.
Arricchisce il testo il resoconto di un dibattito, organizzato a Roma dall'ANFP, tra funzionari di Polizia e Andrea Camilleri, nel corso del quale l'intreccio di questioni reali e letterarie diviene un'originale chiave di lettura del lavoro del Commissario di Polizia e dell'opera dello scrittore.

Indice
Andrea Camilleri, Prefazione
La dirigenza delle polizie: generalità e comparazione
(La classe dirigente della polizia italiana)
La ricerca
(Gli obiettivi e la metodologia; Il campione; Le risposte del campione; Le risposte degli intervistati; I dati del focus group)
Considerazioni conclusive
Giovanni Aliquò, Postfazione. Analisi di un male oscuro
Appendice. Perché faccio scomparire il commissario Montalbano
Riferimenti bibliografici
Allegato. Il questionario e le risposte.


Prefazione
di Andrea Camilleri

Questo complesso, penetrante e problematico studio di Francesco Carrer sui funzionari della Polizia di Stato meriterebbe certo un prefatore diverso da me, che sono semplicemente un autore che ha inventato un personaggio di successo, il commissario Montalbano.
Ho detto e ripetuto più volte che, quando ho cominciato a raccontare le indagini del mio commissario, io non avevo nessuna conoscenza tra i poliziotti ed ero completamente all’oscuro sul funzionamento di un qualsiasi commissariato. Né quali fossero i compiti e i doveri di un commissario. Solo in seguito, e soprattutto grazie alla fortunata serie televisiva, ho potuto conoscere qualche appartenente alla Polizia (commissari, questori, ma anche e soprattutto agenti) e saperne qualcosa di più. Ma si è trattato di una conoscenza che è rimasta, a parte il rapporto di personale amicizia, in qualche modo superficiale perché non è mai entrata in profondità negli autentici problemi delle forze dell’ordine. Ecco perché credo che sarebbe stato più adatto un prefatore che ne sapesse concretamente più di me.
Non posso però tacere di due incontri che hanno stimolato la mia curiosità di conoscere meglio le componenti, le ragioni di un disagio evidente e che investe aspetti diversi. In occasione dell’uscita del romanzo “Il giro di boa”, che tra l’altro raccontava la crisi di Montalbano per il comportamento di alcuni appartenenti alla Polizia durante le manifestazioni per il G8 a Genova, il sindacato Silp organizzò un affollatissimo convegno in un teatro romano per discutere il delicato argomento. Lì emerse la necessità di una “manutenzione quotidiana della democrazia” (felice espressione del segretario di quel sindacato) per prevenire pericolose involuzioni. Il secondo incontro, promosso dall’Associazione nazionale funzionari di Polizia, si dimostrò, ai miei occhi, ancora più rivelatore del primo. E’ quello che mi ha in qualche modo spinto a scrivere queste righe.
Ogni prefazione che si rispetti è, nei riguardi del lettore, come una sorta di visita guidata alla lettura. Ma, nel caso specifico, i lettori di questo libro non hanno certamente bisogno di una guida che indichi loro cosa leggere con maggiore attenzione, quali i punti su cui soffermarsi. Quindi sarò io a farmi guidare dal libro, a parlare cioè di almeno un argomento, quello che, mi ha, da comune cittadino, colpito di più. E credo costituisca un punto chiave della ricerca.
Si tratta delle risposte date, dagli stessi funzionari, a un questionario dove, tra le altre, si ponevano queste due precise domande: “quale definizione danno familiari e amici del tuo lavoro nella Polizia?” e “vorresti che tuo figlio/a facesse il poliziotto?”
Ebbene, dalla media degli intervistati risulta che essi, dal 70,2% dei familiari e amici, sono considerati “lavoratori con particolari responsabilità”; dall’11, 7%, “difensori della società” o “illusi idealisti”; dal 6, 3%, “impiegati statali” e dallo 0,1 “eroi”.
La seconda domanda è quella che “ha raccolto il più alto numero di non risposte”. Ad ogni modo, tra coloro che non si sono sentiti disturbati dalla domanda, il 22,1% ha risposto che non avrebbe avuto niente in contrario a che il proprio figlio/a facesse il poliziotto, mentre il 73, 2 ha risposto che non l’avrebbe affatto gradito.
Un divario enorme. Tanto più sorprendente, per un profano come me, se queste risposte odierne vengono paragonate a quelle date nel corso di una ricerca fatta nel 1987.
Allora, cioè quasi vent’anni fa, i poliziotti erano considerati, dal 67% di familiari e amici, lavoratori con particolari responsabilità; dal 19%, impiegati statali; dal 10%, difensori della società. Nessuno li considerava eroi, in compenso un 2% li giudicava degli “spostati”.
Alla seconda domanda, quella se avrebbero gradito che un loro figlio/a entrasse a far parte della polizia, il 22% degli intervistati aveva risposto di no, mentre il 73% aveva risposto affermativamente, che avrebbe gradito. Come vedete i numeri percentuali della seconda domanda sono sostanzialmente gli stessi, quasi combaciano, solo che sono esattamente invertiti.
Perché? Il professor Carrer, attento e lucido curatore della ricerca, avanza l’ipotesi che l’inversione sia in parte dovuta alla diversa composizione dei due campioni, essendo la ricerca del 1987 solo per il 2% effettuata su personale dirigente e direttivo. In un certo senso, l’ipotesi aggrava la situazione. In quanto le fasce inferiori trovano (come è sempre accaduto) nella Polizia un posto sicuro e discretamente retribuito, mentre le fasce superiori considerano la loro posizione scarsamente retribuita rispetto al crescere delle loro responsabilità. Il che, tra l’altro, è un dato difficilmente oppugnabile.
Ma son queste le ragioni? Io credo che siano “anche” queste le ragioni, ma non le uniche e più rilevanti.
Se si modifica la domanda che riguarda il come viene considerato, direi meglio qualificato, un poliziotto da familiari e amici nella domanda su come un poliziotto qualifica se stesso, in quale percentuale sarebbero ripartite le risposte che abbiamo già viste date da terzi?
Voglio dire più chiaramente che certo che tra i motivi del disagio ci sono la scarsa retribuzione, le accresciute responsabilità, l’esposizione mediatica che è sempre pronta a sottolineare l’eventuale errore, l’inadeguatezza dei mezzi rispetto al continuo, precipitoso evolversi della nostra società, una certa ambiguità interna (in divisa e senza divisa), e tanti altri fattori che questa ricerca elenca puntigliosamente, ma c’è un motivo fondamentale, a mio parere, che è già di per sé difficile da definire.
Lo potrei chiamare così: lo sbiadirsi dei contorni, ossia non la perdita, ma l’annebbiarsi dell’identità.
Messo davanti allo specchio, un poliziotto, oggi, sa esattamente cos'è? Un impiegato statale con particolari responsabilità? Un difensore della società? E se è un difensore della società, di quale società? E’ un dipende dello Stato che riceve però ordini dal governo in quel momento in carica? E se le sue idee di cittadino non corrispondono? Come si fa ad essere super partes dipendendo da una parte? Il poliziotto è uno che fa rispettare le leggi? Tutte? Certo, tutte, anche quelle palesemente assurde. Ma qual è il suo personale stato d’animo in questo caso?
Troppe domande. Ma chi ha compiti così delicati come li hanno i nostri funzionari di Polizia certamente alcune di queste domande se le pongono.
Allora, benvenuta. Benvenuta questa ricerca che invita i funzionari di Polizia a discutere, a riconoscersi, a comunicare tra loro. Perché il confronto sincero, aperto, spassionato è la forza stessa di ogni agire democratico.



Last modified Wednesday, July, 13, 2011