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Madamina, il catalogo è questo
Le figure femminili nell'opera di Andrea Camilleri

di Simona Demontis

V'han contesse, baronesse,
Marchesane, principesse,
E v'han donne d'ogni grado,
D'ogni forma, d'ogni età.
Lorenzo Da Ponte, Don Giovanni

"Fìmmina forti, fìmmina beddra, fìmmina di lettu, fìmmina di casa":[1] il ritratto della donna ideale è quello di Francesca, detta Ciccina, accordata in moglie a Michele Zosimo - il futuro re di Girgenti - dopo una disputa in famiglia e senza che nessuno avesse chiesto la sua opinione. Perché il parere di una giovane siciliana nel secolo XVII non contava. Eppure Andrea Camilleri - che ha spesso ammesso che la moglie Rosetta, è il primo e il più influente giudice della sua opera dello scrittore - ha affermato anche: “In quanto alle donne […] il matriarcato in Sicilia e' (o era) diffuso non solo tra i contadini. Io ho conosciuto siciliani di rilievo in campi diversi che prendevano decisioni solo se la moglie era d'accordo. E non so quanto quelle decisioni non fossero già state abilmente guidate dalle mogli.”[2] È evidente, quindi, che l'autore siciliano si sia ispirato per la sua ormai vasta produzione a diversi modelli femminili. La gamma di personaggi, infatti, è amplissima, ricca di sfumature che variano dalla caratterizzazione quasi caricaturale al doloroso scavo psicologico, dalla giovanetta alla signora d’età, dall’ingenua inesperta alla donna navigata, dalla siciliana alla ‘continentale’, dalla straniera evoluta all’extracomunitaria sfruttata. I ritratti femminili sono fondamentali nell’economia dei narrativi di Camilleri: anche se non assurgono mai a ruolo di protagoniste, le donne assumono una funzione spesso decisiva sia nel proseguo delle indagini di Montalbano che nelle vicende ambientate in epoca non contemporanea, nelle quali lo scrittore dà forse il meglio di sé in quanto a intensità e vivacità di descrizione, che non risulta mai scontata e di maniera.

Chi si appresta a leggere i romanzi ambientati nella Vigàta del tardo Ottocento, non si aspetti di vedere rappresentate pudibonde figure vittoriane, rigide e frigide nel rispetto della convenzione e delle formalità: i personaggi femminili che Camilleri preferisce raffigurare vivono l’esperienza sensuale prevalentemente con gioia e senza parsimonia.  Esemplare in questo senso, in Un filo di fumo, Helke, la moglie svizzera di Stefano Barbabianca che, ritenendo il marito non soddisfacente nell’espletamento dei doveri coniugali, si dedica alla ‘educazione sentimentale’ di un giovane minorato. Altrettanto significative,  ne La stagione della caccia, la comparsa seppure marginale di alcuni personaggi femminili da pochade, che hanno scelto di recitare, sul palcoscenico o nella vita, i ruoli più opportuni ad assecondare i loro obbiettivi: la signora Clelia, con la sua preziosa biancheria di pizzo nero di Fiandra, che non ha pace finché non riesce a farsi servire a tinchitè da Fofò La Matina; e una delle amanti di Nenè Impiduglia, l'attrice drammatica Gesualda, in arte Jeannette, che si sente in obbligo di svenire quando l’uomo le rivela la sua immaginaria malattia inguaribile.

Ne Il birraio di Preston, poi, l’appetito sessuale delle fìmmine supera ogni ostacolo: Concetta Riguccio infrange - e paga con la vita - il lutto stretto di un lustro; Agatina Riguccio, dimentica della presenza nella camera accanto del cadavere della sorella, trascina in un necrofilo amplesso il delegato Puglisi; la signora Pina Colombo non si contenta del potente marito, il Questore, e riceve a cadenze regolari un ben fornito rappresentante. Un’altra adultera, la smaniosa Lillina, è la causa involontaria dello scatenarsi degli equivoci de La concessione del telefono, fino alla tragica conclusione; tuttavia la figura più lasciva è probabilmente Trisìna, de La mossa del cavallo, “beddra, su questo non si discuteva, ma cajorda”. La donna, infatti, nella sua mentalità di affarista, non ha remore a mercanteggiare sulle proprie grazie, assegnando un corrispettivo materiale ad ogni concessione: la visione di un lembo di pelle ‘proibito’ ha il valore di un pacco di  caffè o di zucchero; una più ampia disponibilità del proprio corpo viene barattata con merce più preziosa, quali un cucchiaino d’argento o un rotolo di tela finissima. Trisìna è di condizione agiata, quindi è spinta ad agire così non per bisogno, ma per avidità e, semplicemente, perché le “piaceva farsi pagare”. Camilleri padroneggia accortamente anche questo materiale scabroso: dalle sue descrizioni trapela un compiaciuto divertimento che, pur attestandosi in limine, non travalica mai nella volgarità, come nell’unico episodio piccante – che provoca un esilarante equivoco – presente ne La scomparsa di Patò che vede protagonisti due incontinenti e sacrileghi popolani .

Nelle avventure di Montalbano si può notare come Camilleri giochi scopertamente con gli stereotipi, come quello della donna nordica molto libera nei suoi comportamenti sessuali, con il quale il narratore ammette schiettamente di rendere omaggio a un mito della sua adolescenza. Ecco allora la svedese Ingrid, amica fin troppo intima del commissario, esperta pilota d'auto e meccanico che, pur sposata col figlio di un notabile vigatese, è munita di un infinito stuolo di amanti; oppure, nel racconto Icaro, la tedesca Annelise, l'acrobata concupita dai maschi dell'intero paese di Vigàta, coinvolta in un torbido triangolo con marito e fratello.

Lo scrittore si diverte visibilmente a disegnare anche donne scorbutiche ed invadenti, avare e avide: dalla vedova ipocritamente pia e assassina all'uxoricida per taccagneria, smascherata proprio a causa della sua tirchieria; dalla moglie che si limita a controllare al marito il resto dei soldi della spesa alla classica figura da barzelletta, la "terribile fìmmina" feroce come una bestia nella tana, Santina, "meglio nota a scuola come Santippe", moglie vessatrice dell'odiato preside Tamburello nel racconto L'arte della divinazione.

Camilleri sfrutta anche il luogo comune della dark lady che, per esempio nel racconto La lettera anonima, pensa di poter affilare le armi della seduzione nei confronti dell’integerrimo commissario, lasciando intravedere la possibilità di un baratto vantaggioso per entrambi. Occasionalmente fa capolino anche qualche variazione del pattern della fanciulla perseguitata: da Karima, braccata da suoi connazionali tunisini a Libania, capoverdina violentata da svizzeri sadici;  per non parlare della fosca vicenda d'incesto di cui è vittima Lisetta ne Il cane di terracotta.

Nonostante la drammaticità di questi ed altri episodi, il sesso viene raccontato generalmente in maniera partecipata o furtiva, ma con uno sguardo quasi sempre piuttosto ironico e divertito, con un atteggiamento definito dallo stesso Camilleri “sorridente e insieme istintivo, insomma come una cosa naturale”.[3] E tuttavia lo scrittore non perde occasione di prendere una posizione di condanna nei confronti di una società che, nel gioco tra oppressi ed oppressori, umilia la donna, nella tradizione di Nedda, di Diodata: in questo senso può essere interpretata la placida rassegnazione di Catarina (ne La mossa del cavallo), una giovinetta che accetta con naturalezza, con fatalità, di avere rapporti sessuali con il proprio fratello e che il proprio padrone disponga di lei; oppure l'assenza di ribellione di un’altra Trisìna (ne La stagione della caccia), che subisce da giovanetta le attenzioni del medico del paese e, una volta sposata, diviene l'amante del padrone con la tacita benedizione del marito.

Non mancano immagini femminili alle prese con la quotidianità, casalinghe, maestre, contadine, mogli fedeli, madri apprensive, vedove decorose che vivono in case linde, sparluccicanti, con pizzi e centrini: convenzionali illustrazioni di donne discrete e riservate, di silenziosa dignità, impegnate soprattutto in famiglia, come se la concezione dell’universo femminile dello scrittore si fosse fermato a raffigurazioni tipiche di una certa epoca. Probabilmente proprio per questo uno dei ritratti femminili più riusciti è quello di una signora anziana, ma ancora lucida, Clementina Vasile Cozzo, chiaramente una figura materna sostitutiva; mentre la stessa Livia, l'annosa fidanzata del commissario - unico personaggio femminile che ricorra in tutti i romanzi di Montalbano -, non sempre riesce a rappresentare una donna che “sia ‘l’ampio bacino di Venere’, che rivesta cioè tutti i ruoli della gamma della femminilità: la madre che Salvo ha perduto da piccolo, ma pure la consigliera, l’amica, la complice, l’amante, la moglie. Per di più questo personaggio si trova a competere con il fantasma della signora Maigret, di cui Camilleri non voleva realizzare un clone per non accentuare le già evidenti somiglianze fra i due investigatori.

Non si può non notare che i protagonisti dei narrativi di Camilleri sono sempre uomini e che le figure femminili rivestono di consueto ruoli comprimari e sapide comparse. Da ultimo, tuttavia, lo scrittore ha regalato ai suoi lettori alcune figure di spicco, come Filonia e Ciccina, madre e moglie di Zosimo ne Il re di Girgenti,. Donne energiche, consapevoli del loro destino, che desiderano mettere al mondo figli mascoli - ché le figlie fìmmine portano guai e sono una disgrazia nella società contadina -, figli che non vedranno diventare adulti, giacché condividono la stessa tragica sorte di una morte precoce. Filonia, in particolare, è fìmmina di preciso concetto, una persona saggia e comprensiva che ha saputo conquistarsi la fiducia del marito, il quale ha l’abitudine di consultarla prima di prendere ogni decisione importante per la famiglia. È una madre che va fiera del proprio eroico figlio, ma che non si trattiene certo dal prenderlo a timbulate, quando deve riaffermare la propria autorità materna. Inoltre, è una donna sensuale che, rendendosi conto che dovrà fatalmente subire le attenzioni sessuali del camperi don Aneto, riesce a rovesciare la situazione e a dominarla, a soccombere alle sperequazioni sociali senza perdere la propria dignità.

Infine un'attrice che calca un palcoscenico molto differente: Mariastella, l'allucinata impiegata de L'odore della notte, dichiarato omaggio alla protagonista di un racconto dell'amato Faulkner, Una rosa per Emily, da cui lo scrittore siciliano ha tratto un’atmosfera di inevitabilità e rassegnazione che mette a confronto due diversi profondi Sud – dell’Italia e degli Stati Uniti - evidenziandone insospettabili legami, come altrove ho cercato di dimostrare.[4]]

Mariastella è oramai una cinquantina tozza e sgraziata che fin da giovane non ha mai avuto una vita sua, ma ha sempre vissuto in ombra, in funzione soprattutto del padre. In seguito alla morte di questi, la donna ha dapprima ottusamente negato il fatto, per poi arrendersi e trascorrere un’esistenza rinunciataria, riservata e anaffettiva; infine, in età già matura, ha un rigurgito di femminilità e prova il primo e unico fremito d’amore nei confronti dell’infido Gargano, un amore non corrisposto e mai consumato, anche per questo sovraccaricato di una passione ossessiva fino al feticismo. Il risveglio dei sensi della stagionata signorina è ben simboleggiato infatti dalla delirante ricerca di una bottiglietta del dopobarba del suo idolo, il cui profumo aveva inebriata Mariastella; la quale conserva la preziosa boccetta nel cassetto del comodino, vicino al suo letto deserto e sterile e, inalandone l’essenza al buio – l’odore della notte -, sublima il suo desiderio inesploso e vagheggia di avere accanto a sé l’uomo che ama. Un’energia repressa e incanalata, in qualche modo tamponata, come già accaduto ad altre protagoniste di romanzi, abbandonate nella proprio arida alcova dopo l’illusione d’amore: basti citare le nostalgie vedovili di Donna Flor, la celeberrima ‘bigama’ di Jorge Amado. Lo stesso Camilleri, aveva in un certo senso anticipato la figura di Mariastella nell’illibata ‘Ntontò de La stagione della caccia, la quale, dopo la morte del promesso sposo, confessa i propri tormenti notturni all’inorridito parroco e successivamente davanti alla rivelazione che il proprio marito è un pluriomicida non trova altra strada che rimuovere – anch’essa - la realtà attraverso una pirandelliana demenza simulata, ultima difesa di una dignità vacillante.

Sia ne L’odore della notte che ne Il re di Girgenti, entrambi del 2001, il senso dominante è l’olfatto. L’afrore di Filonia è difatti l’oggetto dell’idolatria di don Aneto Purpigno e la donna riesce a limitare i contatti sessuali con l’uomo alla sola annusata del suo sciauro, soddisfacendo la quasi innocente perversione del campiere, che potrebbe pretendere ben altro da una sua sottoposta. Viceversa, Mariastella, nel suo esaltato fanatismo, nutre il sogno cui è abbarbicata tenacemente di un approccio più ravvicinato con Gargano, ma è costretta ad appagarsi della sola scia del profumo di lui in sostituzione della sua presenza concreta. La poveretta, dapprima in modo innocuo, principia a raffigurarsi schizofrenicamente una realtà alternativa di compiutezza e felicità. Così, quando il ragioniere, ormai assassino in fuga, si rifugia presso di lei, la donna non riesce a sovrapporre il reale all’ideale, ad accettare la possibilità della vergogna e del disonore del ‘suo’ uomo e come spesso capita alle persone fin troppo controllate, quando arriva alla saturazione, eccede. Nel suo vaneggiamento l’omicidio, in seguito rimosso, si rivela come l’unica soluzione possibile per risparmiare il carcere al suo amato; il cui cadavere, invisibile alla sua mente dissociata, giace ben composto in una delle tante stanze di un’enorme e inutile magione pressoché disabitata.

Il delitto, commesso o meno, è individuato come il solo rimedio plausibile anche agli occhi delle anziane protagoniste di due racconti di Camilleri: il dolente personaggio del racconto Il patto, una donna che si era sentita tradita dal suo antico e dimentico amante; e la vendicativa sorella di una vittima di un criminale di guerra ne La veggente. Piuttosto che a queste figure però Mariastella Cosentino somiglia a miss Emily Grierson del succitato racconto faulkneriano, una donna piccola e grassa, vestita di nero che abita in una grande casa in via di decadenza, la cui descrizione precede, e vicaria quasi, quella della sua padrona. Già da fanciulla miss Emily è incapace di affettività che non si manifesti morbosamente e infatti insiste a lungo, patologicamente, nel rifiutare la morte del padre; di conseguenza quando non più giovane si ritrova a provare sentimenti ormai sopiti e intraprende una relazione amorosa – che forse esiste solo nella sua testa - con un uomo, è determinata a farla durare per sempre. Decide quindi di provocare la morte dell’amato, preferendo la sua eliminazione fisica al probabile abbandono. A differenza di come agirà Mariastella, però, la gentildonna americana premedita accuratamente il suo crimine, aspetta pazientemente l’occasione giusta per perpetrarlo ed è consapevole della necessità di occultarlo; dopodiché riprende la sua tediosa routine quotidiana. L’atmosfera claustrofobica della narrazione – in qualche modo analoga a quella che si respirerà nel motel Bates in Psycho di Hitchcock - viene amplificata dalla necrofilia della protagonista, usa a sdraiarsi sul letto (il suo talamo mancato) accanto al cadavere decomposto del riluttante spasimante, ormai suo per sempre. Devianza che si rende evidente agli occhi degli inorriditi testimoni solo dopo la morte dell’anziana signorina e comprovata dalla presenza sul cuscino dell’impronta di un’altra testa e di una lunga ciocca di capelli color grigio ferro.[5]

Almeno questo Mariastella, pensa Montalbano, ce l’ha risparmiato.

 

BIBLIOGRAFIA

ANDREA CAMILLERI, L’odore della notte, Sellerio, Palermo, 2001; Il re di Girgenti, Sellerio, Palermo, 2001; Intervista rilasciata al Camilleri Fans Club, (05/07/1999), www. vigata.org.

WILLIAM FAULKNER, Una rosa per Emily, Adelphi, Milano 1997

SIMONA DEMONTIS, Gli scrittori sognano pecore di carta? Considerazioni e dubbi sulla serialità di un personaggio come Salvo Montalbano, su Nae, n°3, Cuec, Cagliari, Luglio 2003

MARCELLO SORGI, La testa ci fa dire, Sellerio, Palermo, 2000

 

NOTE

[1] ANDREA CAMILLERI, Il re di Girgenti, Sellerio, Palermo, 2001, p, 292.

[2] Id., da un’intervista (05/07/1999) rilasciata al Camilleri fans club, presente sul sito www. vigata.org.

[3] MARCELLO SORGI, La testa ci fa dire, Sellerio, Palermo, 2000, p. 88.

[4] Cfr. SIMONA DEMONTIS, Gli scrittori sognano pecore di carta? Considerazioni e dubbi sulla serialità di un personaggio come Salvo Montalbano, su Nae, n°3, Cuec, Cagliari, Luglio 2003.

[5] WILLIAM FAULKNER, Una rosa per Emily, Adelphi, Milano, 1997, p. 65.

 

(pubblicato su NAE, n° 4, Settembre 2003, Edizioni Cuec, Cagliari)



Last modified Wednesday, July, 13, 2011