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Ceneri

Quando nel 1953 il sipario del parigino Théâtre de Babylone, del quale era animatore Roger Blin, si chiuse sull'ultima battuta di En attendant Godot, primo lavoro teatrale del poco noto romanziere Samuel Beckett, erano in molti fra spettatori e critici ad essere convinti che alla commedia sarebbe stato concesso solo un successo di stima. Invece, di lì a pochi giorni, En attendant Godot si dimostrò un ottimo affare per l'impresario. Alla luce di questi sorprendenti risultati, e considerata la scarsa diffusione delle sue opere narrative, vien lecito chiedersi se il Beckett drammaturgo si sia preoccupato, assai più del Beckett romanziere, di assicurarsi in qualche modo il consenso del pubblico.
A proposito della produzione teatrale, così difficile e chiusa anch'essa, del cinquantatreenne autore franco-irlandese, una simile domanda appare del tutto fuori posto. In effetti i personaggi di Beckett, tanto quelli della scena quanto quelli dei romanzi, appartengono tutti ad uno stesso genere (che non si può definire, tout court, umano). Essi parlano e parlano, «sono costretto a parlare, non tace mai, mai» — dichiara il protagonista di un romanzo, L'Innommable — eppure il loro parlare si riduce ad una semplice articolazione di suoni emessi per uso strettamente privato: la parola in sostanza non serve più per comunicare o per stabilire rapporti, a meno che questi non rientrino nell'ordine dei più elementari e primitivi, dettati cioè da bisogni fisiologici, dalla fame, dalla paura. Perché dunque questa logorrea? Da una parte, «per darsi l'impressione di esistere», e dall'altra per potersi consentire un minimo di evasione fantastica, una specie di illusa possibilità di autoconservazione, ridotti tutti come sono, giovani o vecchi o decrepiti, da mali orrendi e degradanti, all'immobilità totale o a un moto senza scopo (che diviene anch'esso un'immobilità dinamica), prigionieri, a causa di eventi tanto catastrofici quanto inesplicabili, di un universo che ha confini limitatissimi.
Ora è proprio nel diverso uso che i personaggi di Beckett fanno della possibilità di evasione consentita dalla parola (e nella parola) che si può individuare una differenziazione fra scena e romanzo. Stabilito che Beckett, pur ponendo le sue creature in una desolata e squallida condizione, spesso e volentieri fa scattare la scintilla di un humour nero e tragico, va osservato che i personaggi dei romanzi adoperano questo humour per ridere di se stessi, mentre i personaggi della scena lo adoperano per far ridere il pubblico. Ma esiste un altro Beckett, l'autore di Tous ceux qui tombent e di questo Ceneri, che pur non mutando di una virgola la sua tematica, trova modo di adeguare sapientemente alle sue necessità un terzo mezzo d'espressione. Qui l'humour scompare del tutto, mentre il linguaggio di Beckett viene restituito nella sua interezza, senza la mediazione dell'effetto scenico. Il protagonista di Ceneri è Henry, un vecchio che tenta disperatamente di individuare fra i suoi ricordi (o almeno ciò che di essi rimane, frasi staccate, suoni, gesti) un momento in cui sia stata possibile un'apertura, una comunicazione fra se stesso e gli altri. Gli altri sono i membri della sua famiglia, suo padre, sua moglie, sua figlia, gente con la quale questo contatto avrebbe potuto essere più facile e logico: ma la ricerca del vecchio, seduto sulla spiaggia, di fronte al mare, non approdava a nessun risultato. Se d'altra parte la stessa realtà tangibile che lo circonda, il paesaggio, si presenta agli occhi della moglie in un modo diverso da quello che a lui appare, come è possibile ristabilire una verità attraverso frammenti di memoria, deformati dal tempo? Ma il vecchio non desiste, cerca un'altra soluzione (che è appunto la chiave del «parlare» che i personaggi di Beckett fanno), vale a dire quella di oggettivare la sua condizione in un racconto del quale egli stesso sia il protagonista non apertamente dichiarato (qualcosa di simile al racconto di Hamm in Fin de partie). Ma anche questo tentativo fallisce: il vecchio del racconto non sa cosa dire al suo interlocutore, si chiude nel silenzio ed anche per Henry, l'autore, non ci sarà risposta alle sue ostinate domande, ultime faville di vita, braci che si spengono, ceneri.

Andrea Camilleri

(Il Dramma, 36° anno, n. 282, marzo 1960)


 
Last modified Tuesday, June, 04, 2019