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Il Processo

E quindi oggi si apre il processo d'appello per il delitto di Cogne. Credo che l'attesa in Italia sia molto alta, anche perché il nostro è un paese che da sempre si è interessato ai grandi processi, soprattutto quelli che hanno avuto origine da delitti passionali (Trigona, Murri, tanto per fare due esempi clamorosi) o quelli che sono stati provocati da oscure e contorte relazioni familiari. Del resto, a pensarci bene, su cosa si è formata, a scuola, la nostra educazione classica se non su arringhe di Cicerone o di Demostene? E una delle più grandi tragedie di tutti i tempi, Edipo Re, non è una sorta di autoprocesso e autocondanna? Sul delitto di Cogne il tam-tam dei quotidiani, dei settimanali e delle televisioni ha rimbombato tanto a lungo e così ossessivamente da far persino passare in secondo piano il fatto che la vittima era un bambino di pochi anni. Un'importante trasmissione televisiva della Rai ha dedicato al delitto molte puntate facendo intervenire esperti, avvocati, giornalisti e collocando spesso al centro della scena un modellino scoperchiabile della casa dove è avvenuto il delitto.
Ecco: neanche mettendoci dentro un bambolotto, la presenza del piccolo Samuele avrebbe acquistato il peso tragico che gli era dovuto. Perché quel corpicino massacrato è il vero punto centrale della tragica vicenda. Invece, nel gran teatro mediatico in cui si è rappresentata questa tragedia, ogni volta ciò che più ha contato è stato il pirandelliano gioco delle parti, hanno avuto massimo rilievo i rispettivi ruoli imposti dalle circostanze o volontariamente assunti per la circostanza. Il grande avvocato difensore, l'accusata che si dichiara innocente, l'accusatore pubblico e intorno una folla di periti avversi l'uno all'altro, di indagatori in divisa e no, insomma di primari, comprimari e comparse dai quali ci si è aspettata non più la parola giusta, pesata, calibrata, ma la battuta azzeccata detta nel momento più favorevole e con l'intonazione precisa. Tutto, insomma, sembrava perdere realtà e pareva che ognuno indossasse una maschera acconcia. E così, in questo grande, frastornante teatro mediatico, ha finito col non contare più la ricerca di una verità, sia pure una verità processuale, mentre è diventata essenziale la momentanea vittoria degli innocentisti sui colpevolisti e viceversa. Due grandi partiti che basano la loro opposta convinzione su comuni informazioni di seconda mano, su impressioni viscerali, su sensazioni impalpabili, su moti di simpatia e di antipatia.
Scriveva Montaigne: «La verità e la menzogna hanno un aspetto conforme, il portamento, il gusto e l'andatura simili. Noi le guardiamo col medesimo occhio». E' vero, e forse nemmeno nel leggere tutte le carte processuali si riesce ad avere due sguardi diversi, uno per la verità e uno per la menzogna.
E allora? La verità e la menzogna (o almeno quello che umanamente finiremo col definire verità o menzogna) non possono che scaturire dal dibattito processuale e dalla serena o sofferta convinzione di chi deve giudicare. Per questo ci auguriamo di tutto cuore che davanti alla porta dell'aula dove si svolge il processo d'appello si arresti finalmente il cancan del circolo mediatico e ciò che fu una rappresentazione torni ad avere l'autenticità grondante lacrime e sangue di un delitto che ci riguarda tutti in quanto esseri umani.

Andrea Camilleri

(Pubblicato su La Stampa, 16 novembre 2005)


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011