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Il trono vuoto



Autore Roberto Andò
Prezzo E 17,00
Pagine p. 180
Data di pubblicazione 2012
Editore Bompiani
Collana Letteraria italiana


Il segretario del maggiore partito d'opposizione, Salvatore Oliveri, dopo il crollo dei sondaggi e l'ennesima, violenta, contestazione, decide di scomparire e si rifugia in segreto a Parigi, in casa di un'amica che non vede da trent'anni, Danielle, una segretaria di edizione conosciuta all'epoca in cui ancora accarezzava l'idea di fare il regista. Unici, e parziali, depositari della scomoda verità, Andrea Bottini, collaboratore di Oliveri, e Anna, la moglie dell'onorevole, in realtà continuano ad arrovellarsi sul perché della fuga e sulla possibile identità di un eventuale complice. Bottini propone ad Anna di usare il fratello gemello di Oliveri, un filosofo geniale segnato da una depressione bipolare, come sostituto dello scomparso. Il filosofo si trasferirà a casa sua, avviando uno strano mènage e un.involontaria carriera politica. Un affresco sull'Italia di oggi, una favola filosofica sulla politica e i misteri della vita.


Un gran bel romanzo, soprattutto perché si riscontra una profonda felicità nell'averlo scritto: felicità che si trasmette al lettore. Un libro godibile e nello stesso tempo - un piccolo miracolo - un romanzo impegnato, o come si usava dire una volta, un romanzo di impegno civile, che è fatto di equivoci, di persone che scompaiono e ricompaiono, di amori fugaci, di incontri, ma i cui protagonisti si occupano di una materia di cui non si parla mai nei romanzi italiani: la politica.
Andrea Camilleri su Il Sole 24 Ore


La sparizione del segretario
Questo romanzo di Roberto Andò, Il trono vuoto, ha molti notevolissimi pregi, e non solo letterari, il primo dei quali è il tema portante, di certo inusitato e scivoloso, e cioè quello della vita politica in Italia ai giorni nostri. Vi ho ritrovato un’eco dell’impegno civile di certi romanzi di Leonardo Sciascia, come Il contesto. Un tema così complesso e impegnativo è stato trattato da Andò, suo secondo grande merito, con tanta elegante e accattivante souplesse che spesso il lettore volentieri si abbandona divertito al gioco paradossale delle scomparse e delle ricomparse, degli equivoci, degli scambi di persona, degli amori più o meno fugaci.
Un romanzo sulla politica dunque, e sulla politica italiana dei giorni nostri, ambientato poco prima dell’avvento dei quaresimalisti. Ma sbaglierebbe chi s’aspettasse di trovarvi una narrazione analitica e critica del recente passato vergognoso e obbrobrioso, anche se non vi mancano frequenti accenni. Perché quella di Andò è una profonda meditazione sulla crisi generale della politica della sinistra in Italia.
Entriamo nel merito dal punto di partenza. Perché nel romanzo Enrico Oliveri, il segretario del più grande partito di sinistra italiano, in caduta libera nei sondaggi, decide da un giorno all’altro di abbandonare tutto e di scomparire senza avvertire nessuno? E in concomitanza con le elezioni? Paura della sconfitta? Paura del dover affrontare le proprie responsabilità? Nel caso specifico, non precisamente, anche se Andò, attraverso le parole di un suo personaggio, individua nella paura la spiegazione del comportamento di tanta politica.
Da giovane, Oliveri, grande ed entusiasta cinefilo, avrebbe voluto ardentemente fare solo del cinema, ma non essendoci riuscito, ferito e profondamente disilluso, privato della sua ragione di vita, si “butta” nella politica che considera «il lavoro ideale per chi non vuole vivere». Ma fare politica si rivelerà essere, per lui, una progressiva perdita di senso, al punto tale da impedirgli persino di presentarsi sia pure come un attore davanti a un pubblico anonimo. Scompare nel tentativo di ritrovare altrove un motivo plausibile al suo continuare a esistere. L’approccio di Enrico Oliveri alla vita politica è stato un approccio decisamente tarato, falsato, non mosso da naturale passione o da sopravvenuto vero interesse. Però non credo che si tratti di un caso limite. Sono convinto che il degrado della politica, la perdita della sua funzione anche etica, sia da ricercarsi, in molti uomini politici, anche nella mancanza di una vocazione autentica.
Allora sorge nel lettore immediata la domanda. Come ha fatto un uomo senza sostanziali qualità, un uomo impagliato, direbbe Eliot, a scalare il vertice del suo partito? Forse perché il campo di scelta era formato da persone ancor più mediocri, più impagliate di lui? Di conseguenza, la prima domanda, e non da poco, che il romanzo sottende diventa questa: con quali criteri il gruppo dirigente di un partito diventa gruppo dirigente? A trovare una soluzione alla tragicomica situazione è il segretario di Oliveri, Bottini, suo alter ego. Bottini, saputo da Anna, moglie di Oliveri, che l’unico che forse possa intuire dove si sia nascosto il segretario è un misterioso Emani, prima di andarlo a trovare, si documenta su di lui. Apprende così che Emani è lo pseudonimo del fratello di Oliveri, Giovanni, un filosofo di un certo spessore da poco dimesso da una casa di cura per malattie mentali. Si reca nel suo appartamento e qui ha la sorpresa di trovarsi di fronte al gemello del segretario, identico all’altro, solo che il filosofo ha i capelli grigi. Vanno in trattoria e qui un giornalista politico scambia il filosofo per il segretario. Giovanni sta al gioco, e alla domanda del giornalista se i suoi capelli si siano ingrigiti a causa della malattia, risponde testualmente: «No, sono un messaggio agli italiani. Siate onesti, smettete di tingervi». Non è più tempo di menzogne, dunque. La risposta folgora tanto il giornalista quanto Bottini. Che, con l’aiuto di Anna e il divertito consenso di Giovanni, ordisce un piano a livello della follia del filosofo, vale a dire spacciare il filosofo come il segretario ritornato in piena forma dopo l’assenza per malattia.
Il piano riesce perfettamente. La novità delle parole del filosofo incanta, entusiasma e trascina. II partito rifiorisce, rinasce a nuova vita, conquista nuovi aderenti. E mentre il partito, nei sondaggi, riesce a scalare una sbalorditiva maggioranza, il vero segretario rinunciatario, rifugiatosi in Francia in casa di Danielle, un suo grande amore giovanile ora sposata con un regista, si rifà lentamente una vita anonima come attrezzista di cinema. In questa parte del romanzo, quella che racconta il ritorno di Enrico alla vita autentica, si trovano a mio avviso le pagine narrativamente più felici.
Ma qual è la sostanziale rivoluzionaria novità rappresentata dal filosofo?
La prima volta che parla in pubblico spacciandosi per il segretario scomparso, enuncia la teoria che politica e industria vivano speculando su catastrofi vere, presunte o inventate e come il suo partito ne sia stato complice; la seconda volta, in un direttivo sul problema delle alleanze, quando gli domandano il suo parere risponde canticchiando un’aria della Carmen dove però è implicita la risposta. Ma all’uscita da quel direttivo è più esplicito coi giornalisti citando Goethe e sostenendo che l’unica alleanza possibile è con la coscienza della gente. Poi c’è rincontro-scontro con il Presidente del consiglio durante l’attesa nell’anticamera del Capo dello Stato, e appresso il grande comizio davanti a una folla straripante che ormai delira per lui.
II finto segretario non pronunzierà una parola sua, dirà una poesia che Brecht compose durante l’esilio danese intitolata A chi esita.
Alla fine, la folla rimane un istante muta, poi esplode in un boato d’acclamazioni. Cito le parole conclusive dell’episodio: «molti scrissero che finalmente qualcuno restituiva dignità al senso di una lotta offuscata dall’impotenza e dalla mistificazione». E mi pare che proprio in queste parole sia condensato il messaggio politico del romanzo. Certo, un politico che facesse un comizio citando solo ed esclusivamente una poesia sarebbe considerato un pazzo. Infatti Giovanni è un pazzo. Ma è soprattutto un filosofo e sicuramente avrà letto e approfondito i testi giusti. Giovanni sa di sicuro che cos’è l’agire comunicativo di Habermas, quello dove i progetti d’azione politica non si basano su egocentrici calcoli di successo, bensì su atti dell’intendersi reciproco. E sono tanti gli atti dell’intendersi, senza bisogno perciò di scomodare Brecht. Ma quanti sono i politici nostrani disposti a imparare da un libro di alta filosofia politica?
Andrea Camilleri (Il Sole 24 Ore, 8.4.2012)



Last modified Saturday, May, 26, 2012