home page




Intervista ad Andrea Camilleri
di Gaetano Savatteri

Intervista registrata a Roma il 28 ottobre 2009 in occasione del convegno Raccontare la vita, raccontare le migrazioni nel centenario della nascita di Tommaso Bordonaro (Bolognetta (PA) 31 ottobre-1 novembre 2009)

DOMANDA: L’emigrazione in Sicilia, soprattutto verso gli Stati Uniti, risale agli inizi dell’Ottocento, abbiamo distribuito per il mondo milioni di Siciliani.

RISPOSTA: Sì. Mi è capitato, tempo fa, di leggere una notizia curiosa in un libro che parlava del Regno dei Borboni: leggevo che la prima nave a vapore che collegò l’Italia con New York partiva dal porto di Palermo data la gran quantità di emigrati soprattutto siciliani. Beh, gli emigrati allora erano quasi tutti del Sud, certo, c’era qualcuno anche del Nord ma era veramente un’esigua minoranza, e quindi si trovò più conveniente far partire questo vapore da Palermo, come vapore di linea. Questo, a parte tutto, dimostra la gran quantità di emigrazione che c’è stata… Non solo, ma mi risulta anche che il primo giornale scritto in italiano per gli emigrati negli Stati Uniti, il primo in assoluto, è dovuto a un siciliano… Ecco, voglio dire che all’epoca fu anche un’emigrazione - soprattutto nella seconda metà dell’Ottocento - non solo di braccia di lavoro, ma anche di qualcuno con un certo grado di cultura.

DOMANDA: Insieme a tantissimi emigrati emigrò anche la mafia, “Cosa nostra”, che in America, soprattutto, attecchì.

RISPOSTA: Mah, devo dire che in America la mafia trovò un terreno fertile, con grandi possibilità di sviluppo e soprattutto, a quanto ne so io, trovò degli ottimi alleati, per esempio negli irlandesi e altri gruppi e etnie, anche in gruppi di ebrei… Certo, lì si creò quella sorta di ponte che ha portato alla “pizza connection”, che in realtà c’è sempre stato. E siccome va a finire sempre che i lati negativi prevalgono e vengono messi più in luce dei lati positivi di certi apporti, sempre così succede… Un grosso scrittore italoamericano, Jerre Mangione, pubblicò negli anni ’60 un libro che era intitolato proprio “La Sicilia non è solo mafia” e elencava l’apporto grossissimo dei siciliani che avevano posti di responsabilità nel governo, nelle istituzioni e addirittura in quelle che erano le grosse industrie. D’altra parte questo per esempio è venuto fuori - parlo degli italiani in genere e non più dei siciliani - vedete ora con Obama, che abbiamo Nancy Pelosi, ma abbiamo Leon Panetta, ma ne abbiamo una quantità nello staff, di italiani che non hanno niente a che fare con la mafia.

DOMANDA: Tommaso Bordonaro, questo emigrato di Bolognetta, racconta la sua avventura umana in questo suo libro “La spartenza”. Già il titolo colpì molto ai tempi: “La spartenza”, quasi uno spartire, una straziante divisione tra i due mondi, la Sicilia che si lasciava, luogo di miseria, e gli Stati Uniti...

RISPOSTA: Devo dire che è un titolo splendido, perché… certo, parla di un emigrante e quindi di una partenza, ma Bordonaro dice spartenza, cioè a dire coglie veramente la radice amara, amara, tossica della partenza nella spartenza, cioè nello spartirsi, nel dividersi, nel separarsi, nella separazione dalla propria patria.

DOMANDA: Adesso ci sono nuove emigrazioni, anche dalla Sicilia, non più solo verso gli Stati Uniti ma emigrazioni verso il nord. Moltissimi laureati, giovani lasciano ancora la Sicilia e tornano di nuovo ad andare via. Sono modi e canali diversi. Ma è una condanna questa dell’emigrazione, per la Sicilia?

RISPOSTA: Be’, devo dire che… tu stai parlando con una persona che è emigrata. Cioè a dire, nel 1949 io, per fare quello che volevo fare, cioè a dire scrivere, campare scrivendo, fare teatro eccetera, son dovuto venire a Roma. Su questo non c’è minimo dubbio, che anch’io appartengo a quelli che se ne partirono. Non certo come gli emigranti per gli Stati Uniti, con la valigia di cartone e lo spago che la teneva ferma... un po’ più comodamente, perché era emigrazione all’interno della propria patria, anche nelle peggiori condizioni… perché negli anni ’60 io ho visto, negli anni ’50, i cartelli a Torino con “Non si affitta a meridionali”… Quindi è un periodo anche duro ma è stato più confortevole, se non altro non hai la difficoltà della lingua, voglio dire, però c’è stata. Perché io me ne sono andato via? Io me ne sono andato via perché non avevo possibilità di muovermi, ciò di fare quello che volevo, poteva restare un’utopia… Ecco, l’ho detto e lo ripeto, non so se oggi me ne andrei più, perché oggi le possibilità di comunicazione sono infinite rispetto a quelle del 1949, e credo che, rispetto al 1949, ci sia una maggiore possibilità di invenzione del lavoro. Quindi, perché se ne vanno? Se ne vanno forse perché è troppo faticosa e difficile, in questo momento, l’invenzione del lavoro di cui parlavo un attimo fa. Non è detto che possa essere, oggi come oggi, un’emigrazione costante; può darsi che sia un fenomeno migratorio che nei prossimi anni può anche non avere sviluppo.

DOMANDA: Il fatto di essere stati e di essere ancora una terra di emigrati fa cambiare l’atteggiamento della Sicilia e dei siciliani rispetto agli immigrati che arrivano in Sicilia? Perché siamo diventati anche un luogo di approdo, un confine.

RISPOSTA: Io credo che indubbiamente il non controllo sull’immigrazione... È un argomento delicato sul quale mi sto muovendo con i piedi di piombo, perché è facile cadere nell’equivoco. Io sono totalmente contrario ai respingimenti e a tutto quello che avviene come difesa, perché parto dal presupposto che, diversamente da quello che avveniva con la nostra emigrazione, che in fondo era di centinaia di migliaia di persone e qui ti fermi, qui ci troviamo di fronte ad una emigrazione di carattere epocale, di carattere biblico, e tentare di arrestare milioni e milioni di persone, gente che scappa dalla propria patria, con i fili spinati o con i respingimenti, è sciocco, cretino e assurdo. E’ un problema, come giustamente viene detto, che non è che deve semplicemente impegnare l’Italia, perché l’Italia è, come dire, il porto d’arrivo, ma è un problema che investe tutta intera l'Europa nei 27 paesi che la compongono,.ecco, e sin quando non ci si mette d’accordo o si fa lo gnorri, facendo finta di non sentire, il guaio sarà grosso. Però credo che l’atteggiamento dei siciliani sia diverso. Facciamo un’ipotesi: che tutti noi siciliani ce ne andassimo della Sicilia e arrivassero i veneti e i lombardi: voi pensate che (gli immigrati) avrebbero la stessa accoglienza che hanno in Sicilia attualmente? Io dico di no, lo dico sinceramente perché è un tipo di mentalità completamente diversa; noi lo siamo stati quasi in maggioranza, loro lo sono stati in minoranza, in minima parte, non hanno questo senso dell’accoglienza. Devo dire che c’è una piazza in un paese siciliano che si chiama “Il giro di boa” come il mio romanzo, il paese dove accolsero i morti, i cadaveri di quelli che… Quindi credo ci sia una disposizione maggiore, però c’è da tenere presente che quando sbarcano in Sicilia sbarcano in un paese povero, in una regione dell’Italia abbastanza priva di possibilità, di risorse per loro. Comunque è un problema che va affrontato con serenità, senza odio razziale e soprattutto con un larghissimo sguardo sul futuro.

DOMANDA: Un’ultima cosa: di fronte alle continue notizie di barconi, di cadaveri, in questo mare di Sicilia, in questo canale che è il tuo mare, il mare di Porto Empedocle, qual è ogni volta la tua sensazione, il tuo pensiero?

RISPOSTA: Un pensiero di strazio, perché vedi, mi è capitato, da tre anni a questa parte, di essere il presidente di una commissione che fa parte dell’organizzazione dell’ONU per i rifugiati politici, quella che ha come portavoce in Italia la signora Laura Boldrini. E ogni anno io premio gli equipaggi dei tre motopescherecci siciliani che hanno più di tutti salvato vite in mare, perdendo giornate di lavoro, rischiando il sequestro del peschereccio... Bene, provo molto dolore per quello che c’è dietro questo premio, ma non ti nascondo che sono molto orgoglioso di premiare gli equipaggi siciliani, molto orgoglioso.


Dopo la pubblicazione su questo sito, il testo è stato pubblicato anche sul fascicolo n. 2 (dicembre 2012) della rivista Nuova Busambra.


 
Last modified Sunday, February, 03, 2013