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La storia siamo noi



Autore a cura di Mattia Carratello
Prezzo E 17,50
Pagine 416
Data di pubblicazione 20 maggio 2008
Editore Neri Pozza
Collana Bloom


Antonio Scurati: Nell'ora che non trascorre (1848, le Cinque giornate di Milano)
Giosuè Calaciura: I Mille a Palermo (1860)
Antonio Franchini: Gli ultimi due italiani di Kobarid (1917, Caporetto, Kobarid oggi)
Mario Desiati: Il medico del quieto vivere (1927-30, il fascismo e la vita quotidiana, storia d'amore tra una tisica e un lebbroso ad Acquaviva delle Fonti, Puglia)
Andrea Camilleri: Antonio Canepa, il separatista (il separatismo siciliano, 1943-45)
Helena Janeczek: Un fiume che in Texas si chiama Rapido (1944, la battaglia di Montecassino)
Sebastiano Vassalli: Come le foglie. Tre storie di soldati italiani dopo l'8 settembre 1943 (1943-45, reduci italiani tornano a casa da ogni parte del mondo)
Laura Pariani: Liberté, Egalité, Marrons Glacés. Anno scolastico 1968-69 (una studentessa liceale e il Sessantotto)
Sandra Petrignani: Undici colpi (1978, il caso Moro)
Laura Pugno: A History of Violence. Sette scene dalla sera e notte del 26 aprile 1979 (la sera della trasmissione "Processo per stupro")
Giancarlo Liviano D’Arcangelo: Dimmi, luce del cielo (1980, Ustica)
Nicola Lagioia: Hotel Kämp (Milano, gennaio 1994) (1994, Indro Montanelli lascia il "Giornale")
Leonardo Colombati: Il Re (2003, la morte di Gianni Agnelli)
Giuseppe Genna: Oggi: gli Ultimi (2008, una discesa negli inferi di Milano, sotto la stazione Centrale)

Quattordici scrittori di generazioni diverse affrontano la Storia d’Italia, dall’Ottocento fino ai nostri giorni. Si immedesimano nelle grandi figure, da Garibaldi ad Agnelli, o nei destini individuali, una studentessa del Sessantotto, un soldato che rientra in patria al termine della guerra, una moglie picchiata con ferocia alla fine degli anni Settanta. Immaginano i grandi eventi – le Cinque giornate di Milano, la battaglia di Montecassino, la tragedia di Ustica, il caso Moro – con impegno e gusto letterario, coraggio e discrezione. Per narrare e rivelare i sentimenti collettivi, i cambiamenti epocali, i sogni e gli amari risvegli di una nazione che ha ancora tutto da raccontare.
I momenti che hanno segnato la nascita e lo sviluppo dell’Italia moderna sono stati raramente rappresentati nelle pagine di romanzi e racconti. Lo stesso vale per le personalità che hanno attraversato le vicende della politica, dell’economia, della cultura, e per le circostanze contraddittorie e dolorose del recente passato.
Oggi il resoconto piú fedele, lo sguardo piú attento sulle storie d’Italia sembra appartenere ai giornalisti, ai reporter, alle inchieste televisive. Eppure la letteratura ha sempre saputo scrutare nel profondo della realtà, nel mistero degli eventi e degli individui, descrivendo epoche e avvenimenti con una sensibilità e una verità che a volte appare irraggiungibile per gli storici o per il cronista. È l’arte e il paradosso della finzione, capace di sfiorare il nucleo profondo dei fatti, delle trasformazioni, dello spirito dei tempi.


Cliccare qui per vedere la puntata di Magazzini Einstein dedicata alla serata inaugurale del Festival Internazionale Letterature 2008 di Roma, dedicata all'antologia



Follie di Sicilia
(Anteprima pubblicata su La Repubblica, 20.5.2008)

Dalla seconda metà dell´anno 1942 la vita quotidiana in Sicilia si va facendo via via sempre più difficile. I collegamenti indispensabili col resto dell´Italia, possibili solo con i traghetti che attraversano lo Stretto di Messina, sono resi sempre più aleatori dall´intensificarsi dei bombardamenti e dei mitragliamenti da parte dell´aviazione nemica. Nelle grandi città vengono rapidamente a mancare l´acqua, la luce, il gas.
Il sentimento negativo dei siciliani verso la guerra in corso si allargò rapidamente a macchia d´olio e altrettanto rapidamente si trasformò in aperto risentimento verso il fascismo e verso Mussolini. Cominciarono a circolare nell´isola, sempre più devastata e abbandonata a se stessa tra le rovine delle sue case, manifestini e opuscoli clandestini che inneggiavano al separatismo.
A far precipitare la situazione fu il manifesto stupido e baldanzoso che il generale Roatta, comandante delle forze militari in Sicilia, fece affiggere la mattina del nove maggio 1943 e che cominciava così: «Strettamente fiduciosi e strettamente uniti, voi fieri Siciliani, e noi militari italiani e germanici delle FF. AA. Sicilia, dimostreremo al nemico che di qui non si passa!». L´inopportuna distinzione tra civili siciliani e militari italiani provocò un´indignazione generale tale che i manifesti vennero strappati dai muri a furor di popolo. Chi scrive, allora diciottenne e all´ultimo anno di liceo, venne sorpreso e fermato dalla polizia mentre, munito di un rastrello, sconciava più manifesti che poteva. Ero tutt´altro che separatista. Ero solo un giovane italiano nato in Sicilia che si era sentito gravemente offeso.
Circolavano due opuscoli clandestini che riscuotevano larghissimi consensi. Quello scritto nel 1941 dal palermitano barone Lucio Tasca Bordonaro, intitolato Elogio del latifondo siciliano e soprattutto l´altro, La Sicilia ai siciliani, dovuto al professore Antonio Canepa.
Il suo nome viene alla ribalta il 17 giugno del 1933, giorno nel quale la polizia l´arresta. Canepa, di forti e convinti sentimenti antifascisti, sogna di poter far sapere al mondo che non tutta l´Italia è d´accordo col regime. Fatto sta che egli concepisce un disegno tra il folle e il tragicomico.

Della sò sigreta ‘ntinzioni nni parlò la prima vota con sò frati Luigi, ‘na sira che erano nisciuti a passiare al lungomari che era diserto pirchì faciva friddo. Quella matina ‘Ntonio era tornato a Catania da un viaggio di qualichi jorno in continenti.
«Mentri ero a Bologna fici ‘na pinsata» - dissi all´improviso.
Luigi lo taliò tanticchia prioccupato. Sò frati ‘Ntonio spisso e volanteri aviva alzate d´ingegno che s´arrivilavano perigliose assà. Ma siccome che gli voliva un beni dell´arma, con lui sarebbi scinnuto macari allo ‘nferno.
«Abbisogna che annamo a conquistari San Marino! Un colpo di mano! E da lì facemo sapiri al munno sano che gli italiani non sunno tutti fascisti! Un gesto accussì farà un danno grosso al fascismo! Tutti ne parleranno!». Luigi strammò, completamenti pigliato dai turchi. Quelle palore ebbiro supra di lui l´effetto di un cazzotto ‘n facci. Si sintì la testa ‘ntronata e pinsò di non aviri capito bono.
«Stai parlanno della repubbrica di San Marino?!». «Sissignore!». «Ma, a parti che ci voli un esercito».
«Ma quali esercito! Dudici picciotti risoluti e coraggiosi abbastano e avanzano. Mi studiai la guida turistica. E da Bologna sono annato macari a farci un sopralloco, a San Marino».
«E le armi?». «Ci abbisognano sulo quattro revorbari. Dù ce li ha nostro patre nel tettomorto, se ce li pigliamo manco sinn´adduna. Ce ne ammancano dù ma non sunno difficili ad attrovare».
«Ma non sunno picca quattro revorbari?» «Non contano l´armi, Luì, ma la sorprisa. Davanti alla caserma, di notti, ci sta ‘na sula sentinella. Tutto s´aspetta quello meno che un passanti gli punta un revorbaro nella panza e gli ordina di tuppiari al portoni. Quanno quelli del corpo di guardia raprono, allura allura arrisbigliati dal sonno, s´attrovano quattro revorbari puntati. Cridimi: pinsiranno di stari sugnanno. A ‘sto punto, abbiamo tutte l´armi che vogliamo. E casa pi casa, arristamo al capo del governo, ai ministri, alle pirsone ‘mportanti. Sugno certo che non ci sarà bisogno di sparari manco un colpo, basterà la sorprisa».
«E quanno pensi di fari ‘sta cosa?». «Appena attroviamo all´autri deci picciotti. Io già ho sottomano a Ciccio, a Filippo e a Totò, tutti studenti universitari e tutti antifascisti come a mia e come a tia».
«Io ci avrei a Nino e a Paolo».
«Lo vidi? Ne ammancano sulo tri».
‘Na simanata doppo il gruppo al completo s´arriunì nella casa di campagna di Nino. Si portaro appresso robba di mangiari, chitarra e mandolino, dicenno a tutti che annavano a fari ‘na scampagnata. Doppo che ebbiro mangiato, Canepa stinnì la carta turistica supra al tavolo, divisi la compagnia in quattro gruppi di tri pirsone e a ogni gruppo spiegò quello che dovivano fari. Avivano stabilito di partiri per Bologna, che era la cità indove si sarebbiro arritrovati tutti, alla spicciolata, un gruppo a distanza di un jorno dall´autro. Ma Canepa sinni partì prima e da sulo, voliva dari ancora un´occhiata a com´era la situazioni a San Marino.
Arrivato a Messina, scinnì dal treno per annare a pedi fino al ferribotto. Non fici a tempo a fari dù passi che quattro pirsone, che fitivano di sbirro luntano un miglio, se lo misiro ‘n mezzo.
«Antonio Canepa?» spiò uno.
In un vidiri e svidiri accapì du cose: che qualichiduno l´aviva traditi e che la partita era persa. E in un lampo, il sò ciriveddro che in quel momento marciava a grannissima vilocità, gli suggerì macari ‘na possibili strata di scampo. ‘Nveci d´arrispunniri, dissi: «Hop!». Isò le vrazza ed eseguì tri aliganti rote una appresso all´autra.
«Che fate?» spiò ‘ngiarmato il capo dei sbirri.
«Non vedete? La ruota. Perché io sono un´automobile!». E si misi a firriare torno torno ai quattro imitanno con la vucca tutte le rumorate di ‘n´automobili, il cangio di marcia, il ron ron del motori, il pèpè della trombetta, il rauco sono del clacchisi. Po´ si ghittò ‘n terra facenno voci: «M´è finita la benzina! Pi carità! Tanticchia di benzina!». Fu accussì che ‘nveci che ‘n carzaro, lo portaro al manicomio.
L´autri vinniro arristati e mannati ‘n galera.

Antonio Canepa nasce a Palermo il 25 ottobre 1908. A 22 anni si laurea in legge, ottenendo 110 e lode. Fa il servizio militare come ufficiale nei reparti motorizzati dell´Esercito. In totale controtendenza alle sue stesse idee nel 1937 pubblica tre volumi intitolati Sistema di dottrina del fascismo.
L´interpretazione idolatrica che Canepa fornisce della dottrina fascista fa del tutto dimenticare la sua recente permanenza in manicomio e la ragione per la quale vi era andato a finire. Si tratta evidentemente, per quanto possa sembrare incredibile, di una mossa freddamente studiata a tavolino, di un capolavoro del doppio gioco. In questa inedita veste Canepa può concorrere a una cattedra universitaria. Diventa così, presso l´Ateneo di Catania, docente di storia e dottrina del fascismo e di storia delle dottrine politiche.
Alla fine del 1942 cominciarono a circolare clandestinamente nell´isola i capitoli staccati di un opuscolo che solo nel 1943 sarebbero stati raccolti insieme a formare un tutto unico intitolato La Sicilia ai siciliani. Diventerà il testo più noto e amato dell´indipendentismo siciliano. Canepa fu più che altro un ideologo, un cavaliere dell´ideale, un generoso dal cuore grande. Un sognatore che però cercò di dare consistenza al suo sogno.
La creazione dell´EVIS, vale a dire dell´Esercito Volontario Indipendenza Siciliana, viene reputata indispensabile non dal comitato dirigente, bensì dallo stesso Canepa. Occorre molto denaro per mettere in piedi un esercito, sia pure formato solo da avanguardie d´assalto. Da Catania arriva a Canepa un elenco di proprietari terrieri che avrebbero l´obbligo di contribuire e, con l´elenco, gli arriva anche l´ordine di far rispettare quell´obbligo. Tutti i proprietari, volenti o nolenti, s´assoggettano, fatta eccezione di uno.
Canepa decide di andarlo a trovare e a costringerlo con la forza a pagare. Il 16 giugno parte con un motofurgone, e un gruppo dei suoi, verso Randazzo, nei cui dintorni abita il possidente riottoso. Nessuno indossa la divisa, ma tutti portano al collo il vistoso fazzoletto giallo-rosso dell´Esercito Indipendenza Siciliana. Mentre ancora si trovano sulla stretta strada di Randazzo, e precisamente in localita «Murazzu ruttu», alle otto del mattino vedono da lontano un posto di blocco dei carabinieri. Ma i separatisti non se ne preoccupano più di tanto, sanno che quelli dell´Arma lasceranno passare il conosciutissimo furgoncino come altre volte è accaduto e del resto Canepa ha dato precisi ordini: i suoi non devono aprire il fuoco contro i carabinieri. Non li ritiene ancora all´altezza di poter sostenere uno scontro con gli addestratissimi militari dell´Arma. Ma le cose stavolta vanno diversamente.
Sulla morte di Canepa esistono almeno tre versioni. Quella dei carabinieri dice che intimarono l´alt al furgoncino e che il conducente obbedì all´ordine. Che appena si avvicinarono, vennero fatti segno a colpi di pistola mitragliatrice e di lanci di bombe a mano. Che naturalmente reagirono uccidendo quattro dei sei passeggeri, mentre due si davano alla fuga. Che una bomba a mano in tasca a uno degli occupanti il furgoncino esplose all´interno del mezzo.
L´altra versione che convince assai di più, è quella fornita dai superstiti. Com´era prevedibile, il furgoncino viene lasciato passare. Ma appena oltrepassato il posto di blocco si apre il fuoco sui separatisti, chiaramente riconoscibili dal fazzoletto al collo. I quali, tra l´altro, non sono in condizioni di reagire perché le loro armi sono nascoste in un doppio fondo.
C´è ancora un´altra versione sui mandanti. E cioè che sia stato il servizio segreto militare italiano a dare l´ordine d´eliminare Canepa per impedirgli di portare a termine l´organizzazione dell´esercito separatista.
Sulla strada di Randazzo, i separatisti posero un cippo, una lapide.

La mattina / del 17 giugno 1945 / qui caddero / per l´indipendenza della Sicilia / vittime del loro ideale / Antonio Canepa / Carmelo Rosano / Giuseppe Giudice

Antonio Canepa è sepolto nel cimitero di Catania, nel viale dei siciliani illustri, vicino a Giovanni Verga e ad Angelo Musco.



Last modified Wednesday, January, 22, 2014