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I libri di Andrea Camilleri



Autore  
Prezzo edizione fuori commercio
Pagine p. 412
Data di pubblicazione 6 settembre 2005
Editore Sellerio
Collana  


Il presente volume raccoglie le copertine di tutte le edizioni pubblicate, in Italia e all'estero, delle opere di Andrea Camilleri, a far data dal primo romanzo, Il corso delle cose (Lalli, 1978), fino al giugno 2005, suddivise per titolo e ordinate iniziando dalle case editrici italiane. Eventuali mancanze e omissioni sono da attribuirsi alla dispersione delle fonti editoriali.

 

Nota dell'editore

Quando in casa editrice ricevemmo il primo romanzo di Andrea Camilleri, si decise di inserirlo in una collana di contenuti siciliani che, in obbedienza a uno degli schematismi editoriali che spesso scattano per prudenza o per inerzia, sembrò la più adatta. La stagione della caccia era un libro di ambientazione locale, pescava profondamente nella storia e nella sociologia, e poi in una certa immagine psicologica della Sicilia propria di chi la conosce nell'anima; era un giallo e non lo era. Inoltre, ci confondeva alquanto la questione del linguaggio, quell'italiano contaminato da espressioni che sembravano siciliano senza essere quello a noi noto. Parole e modi di dire spesso sconosciuti, solo intuibili: eppure non solo la lettura non si inceppava mai ma anzi seguire la storia diventava più scorrevole, familiare, musicale. Era esattamente la lingua di quei personaggi e il suono dei luoghi in cui vivevano. Ma l'avrebbero capito tutti? Anche a Roma e a Milano? Perciò la sua collana era i «Quaderni della Biblioteca siciliana di storia e letteratura». Una bella collezione, fondata da Leonardo Sciascia. In più, di Camilleri era stato pubblicato un altro libro nella stessa collana dei «Quaderni», La strage dimenticata, che inclinava più verso la storia che verso il racconto (vi leggevamo, per la prima volta, un concetto chiave per capire Camilleri, che i siciliani sono tragediatori: «"Tragediatore" è, dalle parti nostre, quello che, in ogni occasione che gli càpita, seria o allegra che sia, si mette a fare teatro, adopera cioè toni e atteggiamenti più o meno marcati rispetto al livello del fatto in cui si trova ad essere personaggio. ... So bene che il "tragediatore" altrove viene più semplicemente chiamato "commediante", ma perché da noi si preferisca tirare in ballo la tragedia piuttosto che la commedia è cosa così caratterialmente ovvia - e spiegata in centinaia di libri di pensiero e di fantasia - che non è manco il caso di perderci altro fiato sopra»). Tutte queste circostanze rafforzavano la scelta di inserire in quella collocazione il primo romanzo che Andrea Camilleri ci offriva, e che si sarebbe rivelato il primo episodio di un'avventura letteraria lunga e appassionante.
Ai tempi, Camilleri aveva già pubblicato due romanzi altrove. L’avevamo già conosciuto per ragioni culturali, sapevamo che era il produttore dello splendido Maigret e l'autore di alcune riduzioni televisive da Sciascia. Approfondimmo la conoscenza in occasione delle nostre pubblicazioni dei suoi libri. E verificammo in pieno la fama che Sciascia aveva preparato per lui. Con quella concezione che aveva del lavoro letterario, come attività che congiunge un certo tipo di verità un certo tipo di piacere e un'assoluta libertà di critica, Sciascia considerava Camilleri uno scrittore che innanzitutto cerca diletto dalla scrittura a cui si dedica e, quindi, tanto sa darne ai suoi lettori, quanto ne trae dalla sua scrittura. Ce ne aveva parlato come di un autore che cerca nelle pieghe dell'erudizione storica, del particolare, dello sconosciuto, dello smarrito, i soggetti per le proprie finzioni, e inoltre i segni e le evidenze di quelle verità letterarie che intende testimoniare con il proprio racconto. Autori che trovano diletto, appunto, nel cercare, nello scoprire e nel raccontare la ricerca e la scoperta ai lettori.
A noi si presentò personalmente come uno spirito acuto, una conversazione brillantissima, una bella voce profonda da attore che sapeva scandire un impeccabile toscano e contemporaneamente usare con elegante disinvoltura il dialetto (rara cosa in Sicilia, dove usare il dialetto è considerato volgare e perde carattere e purezza di lingua per trasformarsi in gergo). E soprattutto una di quelle intelligenze che bisognerebbe definire entusiasmanti, con cui sembra di condividere sempre una continua scoperta, che seducono senza sopraffare. Trapelava con la sua presenza l'alone di una vita vissuta intensamente, di gusto e con gusto. È forse per tutte queste belle qualità vitali, unite a un'assoluta mancanza di ostentazione, che in casa editrice cominciammo a intuire con meraviglia un «caso Camilleri». Si era probabilmente abituati ancora a un'immagine tradizionale dello scrittore siciliano: più letterato che creativo, introverso. Invece Camilleri era una mente felice in ogni momento. E la felicità è diffusiva di sé.
Così La stagione della caccia si diffondeva, ed era talmente originale, lasciava nella memoria immagini e battute così indimenticabili e persistenti, che tutti capivano che la sua qualità andava più conosciuta; anche perché chiunque lo leggesse ne restava incantato e ne parlava con entusiasmo. Cominciò ad agire sulla sua fortuna quello che si chiama il «passaparola», cioè a dire il critico letterario più formidabile e convincente che esista. Ragion per cui il nostro primo romanzo di Camilleri fu trasferito dopo un po' di tempo nella nostra collana più nota e diffusa, quella «Memoria» che ha visto il nascere, nello stesso anno 1994, del commissario Montalbano.
E La stagione della caccia cominciò a muoversi di vita propria.
Forse perché per un piccolo editore sono come comunicazione pura, i libri diventano come una specie di forma vivente, e l'andamento delle loro vendite assomiglia di più al cammino di una vita che a un fenomeno merceologico. Ma nel caso della Stagione della caccia questa sensazione quasi biologica di un organismo in crescita era fortissima. Edizione dopo edizione - e ovviamente con un ancor più travolgente crescendo alla pubblicazione dei primi casi del commissario Montalbano -, recensione dopo recensione, ma soprattutto nei commenti nelle lettere nelle richieste nella risposta dei lettori, si capiva che Camilleri era diventato un caso letterario, il caso letterario del tempo, che un vento soffiava nelle sue vele, che la sua arte era diventata proprietà comune dei lettori che non lo avrebbero lasciato più perché sentivano in qualche modo di creare anche loro leggendo nella sua scrittura. Sentivano di partecipare - se si vuole azzardare un'ipotesi interpretativa del travolgente successo - a quel progetto di ricostruzione etico-politica della società di cui i personaggi e le storie di Camilleri rappresentavano l'espressione letteraria, critica, l'esigenza, il desiderio. Non è questo che si intende dire con opera d'arte come «opera aperta»? E non è questa semplice capacità di comunicazione il segno della grandezza di uno scrittore?
Di Andrea Camilleri e del suo caso straordinario di creatore di personaggi, di intrecci e atmosfere ma anche di linguaggio si è detto molto e ancora si dirà. Una scrittura colta, innovativo, densa di storia e psicologia che diventa tra le più lette di tutti i tempi, è un fenomeno destinato a infiniti dibattiti. Noi possiamo aggiungere: è un grande scrittore, ed è un'altrettanto grande persona. E un grande amico.
E al grande amico, in occasione dei suoi ottanta anni, la casa editrice regala la misura geometrica della sua grandezza di scrittore, affinché la consideri nella sua voluminosa e meravigliosa concretezza e ne prenda pieno compiacimento e giusto orgoglio. Affinché conosca, vedendo quanto lontano ha portato anche il nostro nome di editori, quanto deve essere grande l'orgoglio l'affetto e la gratitudine di averlo come il nostro autore. In questo libro ci sono tutte le copertine di tutte le edizioni in tutti i paesi in cui i suoi libri sono stati tradotti e pubblicati. Ci sono quanti chilometri si possono fare partendo da Vigàta. E in quante lingue può arrivare a dirsi: «Montalbano sono».

 



Last modified Wednesday, July, 13, 2011