Berlino, 1945: l'SS Doktor Martin Krieger è un criminale che fa esperimenti su bambini e adolescenti. Nella sua casa-clinica
sul Wannsee cerca di tenere svegli giorno e notte i suoi giovanissimi "topi di laboratorio" per trovare la ricetta che permetta
agli invincibili soldati tedeschi di resistere sempre meglio alle fatiche della guerra. Suo figlio Max - anch'egli una "cavia" in
anni non lontani e ora passato dalla parte degli aguzzini - incontra due vittime degli esperimenti, due coetanei legati fra di
loro e destinati a segnare la sua vita.
Sophie è una bellissima e fragile mezza ebrea. Thomas uno zingaro dal temperamento artistico e ribelle. Max finirà per
amare Sophie e per disprezzare Thomas, che lo ricambierà con un odio tenace. La catastrofe finale del Reich e di Berlino
divide i tre protagonisti, per sempre prigionieri dei loro ricordi e delle loro ferite.
Parigi, 1960: Thomas è in città con il suo circo; Sophie è diventata attrice ed è venuta a girarvi un film; Max, che non
ha mai perso la speranza di trovarla, è diventato un illustre psichiatra. Il commissario Riboulet che ha per le mani una serie
di singolari delitti - a tutte le vittime sono stati strappati gli occhi -, chiede aiuto a Max, in qualità di psichiatra, ma finisce per
sospettare di lui per i suoi strani legami con ciascuna delle vittime. Nella caccia a un assassino, Max, Thomas e Sophie
finiranno per trovare molto di più: quel drammatico mondo dell'adolescenza che credevano essersi lasciati per sempre
alle spalle.
Un romanzo che parla d'amore, del dolore, della crudeltà con tanto lucido candore è un evento inconsueto nel
panorama letterario italiano. Cinzia Tani sa trattare con inquietante familiarità le passioni più devastanti e i loro effetti
sulle vite degli uomini. E conosce le vie segrete, spesso perverse, che legano le vicende più intime e private al grande
dramma della storia.
Andrea Camilleri scrive a Cinzia Tani a proposito de L'insonne
(Il testo che segue è stato pubblicato su
Progetto
Babele, per gentile concessione dello staff di Cinzia Tani)
Cinzia carissima,
Dunque, il tuo corposo romanzo mi è arrivato e, sotto un certo aspetto, non mi ha per niente sorpreso. Via via
che andavi pubblicando storie di assassine, da sole o in coppia, di delitti londinesi, di amori tragici, sempre più si
delineava il tuo orientamento verso la narrativa pura, verso la fiction, come si usa dire oggi con una parola che mi
è odiosa.
Desiderio sottolineare, prima di tutto, il tuo involontario coraggio a iniziare un romanzo di ben 429 pagine con
la figura di uno scienziato hitleriano, Martin Krieger, che si occupa del problema del sonno. Ti saresti potuta tirare
addosso facili ironie, come per esempio la domanda: ma se le cavie umane dello scienziato avessero letto questo
libro, ce l’avrebbero fatta a rimanere svegli? Sto scherzando, naturalmente.
Perché in realtà il tuo romanzo, che s’intitola appunto "L’insonne", avrebbe potuto essere un prezioso alleato
di Martin Krieger, in quanto è assai difficile riuscire a staccarsi dalle sue pagine una volta che lo si è iniziato. Un
tempo un paradossale slogan per magnificare certi romanzi gialli era: “questo libro non vi farà dormire”. E allora
ti domando: ma tu, scegliendo questo titolo, sapevi già che avresti reso insonni i lettori, anche se il romanzo non
è, a tutti gli effetti, un giallo tradizionale?
Ti devo confessare che "L’insonne" è stato invece, per un altro verso, una sorpresa. Almeno per me. A forza
di leggere le tue storie di delitti ispirate alla cronaca, mi ero convinto che il tuo primo libro di narrativa autonoma
sarebbe stato un romanzo poliziesco con tutti i sacramenti. Ti sottovalutavo. Il tuo lo è anche, una sorta di giallo, ma
solo nella seconda parte.
La prima parte è, francamente, straordinaria. Inizi con una certa quantità di nascite, una sorta di biblica elencazione
di figli, padri e madri, e poi prosegui percorrendo un amplissimo arco temporale che va dagli anni che precedono il
nazismo alla fine della seconda guerra mondiale ed esponendo nitidamente le varie vicende singole di una molteplicità
di personaggi, che ora si sfiorano, ora si attraversano, ora s’intersecano, ora si perdono di vista, ora si ritrovano, ma
sempre in un contesto rigorosamente, direi pignolescamente, storico.
Qui la tua abilità di narratrice dà, a mio parere, il meglio di sé. Ti muovi e ci fai muovere, con scioltezza, con
consapevolezza, con partecipazione emotiva, adoperando un tuo personale filo d’Arianna narrativo, dentro un
labirinto di nomi e di fatti che mai, in nessun momento, fanno perdere al lettore l’interesse e l’attenzione. Ogni
personaggio che fai comparire sulla pagina è definito perfettamente, non presenta aspetti tirati via, lati irrisolti o
incomprensibili, ha una sua forza perché nasce da una vera necessità di racconto. Brava.
Possiedi il dono di una narrazione fluida, chiara, che tiene benissimo la lunga durata. Ti consideravo col respiro
di una centometrista, invece mi hai dimostrato di avere anche il fiato di una maratoneta.
E la seconda parte è all’altezza della prima anche perché tra l’una e l’altra non ci sono cesure. Anzi, sei stata
abilissima a traghettare il lettore, ad agganciarlo con quell’omicidio proprio alla fine della prima parte, Max, Sophie
e Thomas, ormai adulti, al centro di un autentico thriller.
Questa miscela di romanzo storico e di romanzo d’indagine, che sulla carta poteva parere un poco azzardata, ti
è perfettamente riuscita. Ha un gusto forte, originale.
Complimenti.
Ti abbraccio e ti auguro un milione di lettori.
Andrea Camilleri
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