home page





L'intermittenza



Autore Andrea Camilleri
Prezzo E 18,00
Pagine p. 173
Data di pubblicazione 14 settembre 2010
Editore Mondadori
Collana Scrittori italiani e stranieri
e-book € 9,99 (formato epub, protezione Adobe DRM)


Migliaia di lavoratori a rischio.
Manager spregiudicati. Due donne bellissime.
Un thriller spietato, veloce come un battito di ciglia.

Le connivenze tra classe politica e mondo industriale, la corruzione del Belpaese e dei suoi uomini “migliori” nella scrittura tesa e incalzante di Andrea Camilleri. Un thriller finanziario geometrico e implacabile.

Astuzia, simulazione e alleanze strategiche sono da sempre le armi più affilate di Mauro De Blasi, direttore generale di una delle più importanti aziende italiane. Da qualche tempo però la sua lucidità è messa a rischio da improvvisi black-out, angoscianti “intermittenze” che lo scollegano per qualche istante dal mondo esterno. Un problema, in un momento in cui la stabilità dell’azienda è messa in pericolo dalla crisi economica e gli operai occupano uno stabilimento minacciando l’immagine pubblica della proprietà; un grosso rischio nell’universo di relazioni spietate che Mauro ha costruito intorno a sé. Tanto la moglie Marisa – una creatura votata alla sensualità e al soddisfacimento immediato dei propri bisogni – che i due vicedirettori – Guido Marsili, un abile ed efficiente gentleman con il pallino della poesia, e Beppo Manuelli, l’arrogante figlio del presidente – sono nemici da tenere a bada, ciascuno coinvolto in oscure trame che potrebbero danneggiare Mauro...


Fu allora che ebbe lacerante certezza della prossimità della sua morte.
Si stava spalmando il sapone da barba e prima sobbalzò, poi si bloccò, le punte delle dita incremate sulla guancia destra. Allo specchio, appariva nella stessa posa della foto pubblicata sulla copertina dell’ultimo numero di Comunicazione e impresa, dedicata ai manager più importanti del Paese, che conteneva anche una sua lunga intervista.
Un attimo prima era intento a riandare col pensiero alla cena della sera avanti, tra l’altro il vecchio Birolli era accompagnato da una nipote ventenne che lèvati, quando, all’improvviso, erano comparse quelle parole. O meglio, le aveva lette. Ma dove? Sullo specchio?
Sì, ma non propriamente sullo specchio, bensì al posto dello specchio. Perché, per una durata non più lunga di un battito di ciglia, la luce doveva essere andata via. E, nel buio, l’invisibile riquadro dello specchio si era trasformato in una sorta di minuscolo schermo cinematografico, sul quale, nitida, in bianco, era apparsa la frase. Come la didascalia conclusiva di un film muto, scritta in corsivo.
Però non l’aveva letta. Qualcuno l’aveva pronunciata ad alta voce.
Via, non era al cinema. Era dentro la sua stanza da bagno.
Quindi non poteva essere stato che lui. Aveva parlato da solo.
Era la prima volta che gli capitava. O forse gli era successo altre volte, ma non se ne era mai accorto.
Segno dell’età? A soli quarantadue anni? Non scherziamo.
Però non poteva permettersi il lusso di dire cose al di fuori di ogni controllo. Figurati se gli capitava durante una riunione del consiglio d’amministrazione o mentre era impegnato in una trattativa delicata!
Si ripromise di parlarne con Guidotti, alla prima occasione.
Cominciò a radersi, ma si sentiva leggermente a disagio.
Fu allora che ebbe lacerante certezza della prossimità della sua morte.
L’infastidiva soprattutto l’estraneità di quella frase. Troppo elegante, troppo ben composta. Lui non parlava e non scriveva così. Era una frase da scrittore. E lui non aveva mai ceduto alla fantasia della scrittura, neppure da ragazzo, quando i primi amori ti fanno mettere parole sulla carta. Veramente gli doveva essere stata come proiettata dall’esterno, non era possibile che l’avesse concepita dentro di sé, da sé.
E comunque: chi ne era il soggetto?
O l’oggetto?
A chi apparteneva insomma quella morte?
Non certo a lui.
A meno che non si fosse messo a parlare di se stesso in terza persona. Come faceva il vecchio Manuelli. «Manuelli non sapeva nemmeno cosa fosse una fabbrica quando ci entrò a sedici anni come apprendista saldatore». Parlava di sé come se leggesse la sua biografia. E tutti gli ridevano alle spalle.

Uscì nudo dal bagno e andò nello spogliatoio. Si rimise l’orologio al polso, lo controllò. Era in anticipo, mancava un’ora all’arrivo della macchina. Stava per aprire il cassetto della biancheria, ma cambiò pensiero. Si mosse, entrò nella camera da letto.
Marisa dormiva, al suo solito non avrebbe aperto gli occhi prima delle dieci. Lei amava il caldo, quindi tenevano acceso al massimo il riscaldamento anche durante la notte. Ma ora forse il calore era diventato eccessivo, se Marisa se ne stava bocconi nuda, di traverso, il lenzuolo appallottolato accanto, le cosce leggermente divaricate, una delle sue lunghe gambe, la sinistra, penzolante fuori dal bordo del letto.
Venne assalito da uno spasimo di desiderio tanto improvviso quanto violento. La sera avanti non l’avevano fatto, anche se lui ne aveva avuto voglia: il dopocena si era protratto sino alle due e Marisa, appena a letto, aveva mormorato d’essere troppo stanca. Ma capitava raramente.
Da cinque anni che erano sposati, solo eccezionalmente Marisa gli si era rifiutata, anzi spesso era stata lei a prendere l’iniziativa. La guardò: aveva un corpo superbo da ventenne, che sfoggiava con la matura coscienza di sé che ha una trentenne.
Svegliarla?
La conosceva bene, non avrebbe ottenuto nulla, se non un seccato e definitivo:
«Vattene, lasciami dormire».
Lei si chiudeva nel suo sonno come un pulcino dentro l’uovo, guai a rompere il guscio prima del dovuto.
Ma più stava a guardarla, più il desiderio diventava forte e impellente. Se non se ne liberava, se lo sarebbe portato appresso anche sul lavoro, e di certo lo avrebbe annebbiato, rendendolo meno vigile e pronto.
E quella era invece una mattinata nella quale sapeva di non potersi lasciare andare nemmeno per un secondo.

(Incipit pubblicato su La Stampa, 14.9.2010)



Last modified Thursday, December, 27, 2012