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Mafia le parole da non dire

Sul rapporto mafia-letteratura, e naturalmente anche su mafia-cinema-tv, ho da tempo una mia convinzione che riscrivo qui, anche a costo di ripetermi. A mio parere, «romanzando» la mafia si corre il grosso rischio di nobilitare, anche non volendolo, le figure dei boss. Faccio un solo esempio. Il primo romanzo italiano che parlava di mafia s’intitolava Piccola pretura ed era dovuto alla penna di un magistrato, Lo Schiavo. Ebbene, il capomafia risultava essere un uomo leale, di buoni sentimenti, pronto ad aiutare il prossimo. Tutto il contrario di quello che i mafiosi erano nella realtà. Il film che ne venne tratto, mi pare si chiamasse In nome della legge, peggiorò la situazione, anche perché il boss era interpretato da un attore come Charles Vanel, dotato di una straordinaria umanità. E dato che sono in argomento, cade a taglio ricordare l’interpretazione di Brando nel Padrino: essa ci fa dimenticare completamente che quel personaggio era a capo di un’orrenda gang mafiosa che uccideva senza pietà.
Allora come scriverne? Come raccontarla per immagini? Le strade possibili, a mio avviso, ci sono state indicate, ma solo recentemente, da Saviano con il suo Gomorra e da Claudio Canepari con la sua docu-fiction sulla cattura di Provenzano. Il primo è un racconto-inchiesta, saldissimamente ancorato ai fatti, la seconda si basa esclusivamente su materiali forniti da magistrati e polizia. Del meritato successo di Gomorra è inutile parlare, del valore della seconda sono stati in molti ad accorgersi, tra spettatori e critici.
Questa, secondo me, è la strada giusta.
E lo confermano due successi di libreria dovuti a magistrati come D’Ayala e Scarpinato. Si tratta di libri dovuti a persone che la mafia hanno sempre combattuta e che ne conoscono gli ingranaggi interni per dovere d’ufficio.
Ho sempre sostenuto che le uniche scritture possibili sulla mafia avrebbero dovuto essere le inchieste dei giornalisti specializzati (La Licata in testa), i verbali di polizia e carabinieri e le sentenze dei magistrati. Ora riconosco volentieri, davanti a Gomorra e ai due libri di D’Ayala e di Scarpinato, che ci possono essere altri modi, ma sempre non romanzeschi, di raccontare la mafia.

Andrea Camilleri

(Pubblicato su La Stampa, 23 agosto 2008)


 
Last modified Thursday, April, 07, 2016