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E con i giovani scrittori siciliani era “mafioso”

Spesso venivano a trovarlo giovani autori siciliani che gli avevano portato a leggere le loro opere. Me li presentava e quindi, sia pure attraverso il suo avaro parlare, finiva sempre col trovare qualcosa di buono in ogni lavoro che, si vedeva, aveva letto scrupolosamente. Direi che a volte addirittura si sforzava di trovarvi qualcosa di buono. Non si sforzava per niente invece con gli autori nati al di là dello Stretto, con loro era anzi severissimo, li esaminava senza alcuna indulgenza. Un giorno glielo feci notare. “Tu usi due pesi e due misure”. “Sì” - ammise con un tono di sfida. “E perché?” “Perché davanti agli autori siciliani mi sento diventare mafioso. Di loro vorrei essere fratello, amico, complice e protettore. Come diciamo noi? Addifenniti ‘u tò a tortu o a ragiuni. E io questo faccio”. Dunque, difendeva il suo. Considerava “suoi” gli scrittori della nostra terra. Una lezione che ho imparato. E me ne diede prova personale quando pubblicai "Un filo di fumo". Stavamo festeggiando l’uscita del romanzo con l’editore Garzanti e quattro, proprio quattro di numero, veri amici. Eravamo nella camera d’albergo di Garzanti quando bussarono alla porta e apparve Leonardo. “Non potevo mancare” - disse abbracciandomi.
Sceneggiai per la televisione un suo racconto tratto da "Il mare colore del vino", che s’intitolava “Western di cose nostre”. Era di tre pagine e mezza a stampa e io ne trassi tre puntate di un’ora ciascuna. Gli telefonavo spesso per chiarimenti e consigli. Mi rispondeva immancabilmente con una famosa frase verghiana, “quello che è scritto è scritto” e non aggiungeva altro. Vidi andare in onda le puntate con un vero e proprio batticuore. Mi chiedevo cosa ne avrebbe detto Sciascia. Un giornale ci intervistò a tutti e due a distanza. Il giornalista mi domandò: “Come ha fatto a ricavare tre ore di spettacolo da tre pagine?” “Quelle tre pagine” - dissi - “sono come un dado Liebig che può fare un brodo per quattro persone”. E Sciascia di rimando: “Sì, ma anche col dado Liebig ci vuole abilità a fare un buon brodo. E Camilleri ci è riuscito”.
Facevamo passeggiate per le strade di Roma, parlavamo di Pirandello, di Stendhal, di qualche comune lettura giovanile come "L’aquila e il serpente" di Guzman, dei nostri due paesi, del teatro di Racalmuto chiuso da anni dove aveva esordito da regista. Quel teatro, dopo quarant’anni, è stato riaperto ed io ne ho accettato la presidenza solo in ricordo dell’affetto col quale me ne parlava. A proposito di Pirandello: “Voi registi non fate altro che leggere e mettere in scena il suo teatro. E trascurate quella miniera che sono le novelle al cui confronto il teatro diventa una cosa che sa di artificiale”. Ne tenni conto, in seguito, facendo uno spettacolo tratto da dodici novelle pirandelliane. A proposito di Stendhal: “Quanto gli sarebbe piaciuta quest’Italia dei giorni nostri così malati di corruzione, di trame oscure, di delitti!” E discutevamo, naturalmente, di politica. Erano i giorni della rottura avvenuta col fraterno amico Renato Guttuso e il suo anticomunismo aveva subito un’impennata tale che io ero costretto a reagire duramente a certe sue dichiarazioni almeno avventate. “Tu difendi Renato perché appartieni alla stessa parrocchia!”. Per poco non passavamo alle male parole. Ma l’amicizia, qualunque cosa ci siamo detti nella foga dello scontro, non s’incrinò mai. Leonardo aveva scritto una delle famose interviste impossibili per la radio, ma si era rifiutato d’impersonare sé stesso come il programma esigeva. L’intervista perciò rimase inedita. Tre o quattro anni fa, la radio decise di realizzarla e io venni chiamato a fare Sciascia. Essere la sua voce per me fu quasi traumatizzante. Un’ultima cosa. Che ho spesso ripetuto. Come scrittore, sono stellarmente lontano da lui. Eppure quando sento di avere le batterie mentali scariche, ricorro all’elettrauto di Sciascia. Mi basta leggere una sua pagina qualsiasi per tornare a sentirmi vivo.

Andrea Camilleri

(Il Messaggero, 5 novembre 2009)
Testimonianza pubblicata in Leonardo Sciascia vent’anni dopo, numero monografico de Il Giannone (a cura di Antonio Motta, edito dal Centro Documentazione Leonardo Sciascia e dall’Istituto omonimo di San Marco in Lamis)


 
Last modified Thursday, December, 20, 2012