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Malacrianza



Autore Giovanni Greco
Prezzo E 18,00
Pagine p. 272
Data di pubblicazione Gennaio 2012
Editore Nutrimenti
Collana  


Malacrianza è tutto quello che il mondo adulto respinge, condanna o sfrutta del mondo dell’infanzia. È come la memoria tradita della propria infanzia, come una favola nera che tutto avvolge e riscrive. È il bambino che si mette le dita nel naso, la bambina che allegramente ruba o quella che tristemente si prostituisce, ragazzini violenti che in Sud America si difendono dal potere violento che li usa, i bambini che esercitano l’arte di arrangiarsi in qualche paese dell’Est o nel mondo arabo, è una leggenda indiana e una nuova vita che verrà. Malacrianza mette in fila vicende ‘esemplari’ di sopraffazioni e di piccole solidarietà, di soprusi e di sogni disposti a tutto per potersi avverare. Un viaggio nell’infanzia in varie parti del mondo con i bambini che vivono nelle fogne, quelli di strada, delle favelas, il commercio e la prostituzione infantile...
Un viaggio circolare, un racconto senza falsi pudori, senza retorica e ipocrisie, capace di addentrarsi fin nei recessi profondi e nascosti dell’offesa più intollerabile, quella verso i più deboli e indifesi. Un caleidoscopio di storie che, intrecciandosi una nell’altra, danno vita a un’unica storia dell’infanzia tradita. A un affresco in cui non mancano mai l’umanità e perfino l’ironia e dove c’è sempre la freschezza di uno sguardo innocente. Una spericolata, emozionante avventura linguistica in cui l’autore passando dalla terza alla prima persona, riesce a dar voce credibile a bambini perennemente costretti a difendere il proprio futuro. A dar vita a personaggi destinati a interrogare la nostra distratta convivenza sociale.

Giovanni Greco (Roma, 1970) è attore, regista, traduttore. Ha firmato molti testi e regie teatrali in Italia e all'estero; ha insegnato storia del teatro presso l'Accademia nazionale di arte drammatica di Roma e partecipato come docente al progetto Babele promosso dal Ministero degli Esteri per l'insegnamento dell'italiano attraverso il teatro (Egitto, Cipro, Argentina, Messico, Brasile, Etiopia). Con Malacrianza ha vinto nel 2011 il Premio Italo Calvino.


Carillon di bambini
Un prisma per raccontare l’infanzia «malacriata»

«Malacrianza». Questa parola esiste nel mio dialetto siciliano. La crianza è, secondo il vocabolario dell’ottocentesco Mortillaro, «l’ammaestramento dei costumi che oggidì dicesi educazione» e quindi ne deriva che bonacrianza è la buona educazione, mentre la malacrianza è la cattiva educazione. Malocriato è chi risponde male, non rispetta i genitori e i superiori, non sta alle regole del vivere civile.
Dal libro di Greco apprendo invece, e con un certo stupore, che nei linguaggi del sud del mondo la crianza assume sensi e significati diversi, può essere la minestra e la preghiera, il comportamento e l’adeguamento, può tutto sommato suonare come la creazione, la vita stessa potrebbe essere una malacrianza per moltissimi e una bonacreanza per un numero minimo.
È la parola carillon, la parola staffetta che ci trascina per tutto il romanzo. Il romanzo consiste in uno sconvolgente e grandioso affresco che racconta dei bambini maltrattati, abusati, sfruttati, schiavizzati, venduti in ogni parte del mondo e dove ogni tassello, o capitolo breve, contiene una minima parte di una storia che viene presto interrotta da altrettante brevi storie contenute in altri tasselli, poi nuovamente ripresa e continuata ma sempre più intrecciata alle storie di altri tasselli. Sicché via via i vari personaggi cominciano a stingere l’uno con altro, a confondersi tra loro, a sovrapporsi, a subire una sorta di mutazione, di modificazione reciproca.
Materia difficile e ingrata che oltretutto può tirare brutti scherzi a chi non la sappia affrontare con il dovuto rigore.
GIOCARE A FAR TEATRO
L’autore ha dedicato questo suo libro principalmente alle bambine e ai bambini coi quali ha giocato a far teatro in diverse parti del mondo, tra le quali l’Argentina, il Messico, il Brasile e l’Etiopia.
E questa è la controprova di ciò che il lettore attento avverte subito e cioè che queste terribili storie di bambini, alcune al limite della sopportabilità, hanno il sapore di storie che non nascono dal nulla, o meglio da una fantasia ambiziosa, ma hanno le loro radici in una verità di fondo, in una realtà in qualche modo direttamente o vissuta o percepita o trasmessa.
Il romanzo accoglie e restituisce questa verità in modo quasi neutro, oggettivo, il narratore qui è totalmente extradiegetico, e questa oggettività la rende ancor più disumana e spietata. È una scelta volontaria dell’autore, quasi un segno di rispetto.
Qualcuno l’ha scritto, ma occorre ripeterlo: Greco non è caduto nel tranello della partecipazione, della commozione, della compassione, della pietas. Ed è questo un suo grandissimo merito.
A me personalmente i bambini poveri e infelici della letteratura, quelli per i quali gli autori invocano la lacrima catartica del lettore, non mi hanno mai fatto né caldo né freddo, anzi.
Verso questi bambini di Greco ho provato invece un moto profondo di non richiesta partecipazione.
Se il risultato è questo, vuol dire che al suo primo romanzo Giovanni Greco dimostra di possedere già una formata intelligenza narrativa e la capacità di dominare appieno la materia trattata.
Ma più di tutto mi preme sottolineare la particolare, audace struttura del romanzo. Due sono gli elementi che risaltano maggiormente: il progressivo passaggio dei racconti dalla terza persona alla prima, per cui il discorso da indiretto si fa diretto, e la loro costruzione circolare.
Un viaggio circolare, è detto infatti nel risvolto di copertina. Non sono poi tanto sicuro di questa circolarità. A lettura finita, e soprattutto per quanto riguarda la parte centrale del romanzo, ebbi l’impressione che Greco avesse riproposto in narrazione e coi suoi personaggi la celebre scena degli specchi del film La Signora di Shangai di Orson Welles, quella dove una miriade di specchi riflettenti disloca di continuo i tre personaggi nello spazio sicché ognuno di loro compare nel posto occupato un attimo prima da un altro e scompare per ricomparire in sostituzione di un terzo personaggio nello spazio che però era occupato dal secondo. Poi ho pensato che l’operazione strutturale messa in atto da Greco fosse più complessa e ardita. E credo sia per buona parte un’operazione più che cosciente. Cercherò di spiegarmi meglio che posso.
Esiste un notissimo fenomeno fisico, osservato e studiato da Isaac Newton, universalmente conosciuto come dispersione ottica. Un fascio di raggi paralleli di luce bianca, se attraversa un prisma di vetro, si scompone in tanti raggi ognuno dei quali ha un suo colore particolare. Il bianco scompare. Ma se a questi raggi multicolorati viene fatto attraversare un secondo prisma essi si ricompongono perdendo i rispettivi colori e tornando ad essere un unico fascio di luce bianca.
Ora guardando l’indice del libro si ricava che il romanzo si compone di 40 brevi capitoli o tasselli, se volete, interrotti da un capitolo dal titolo, Qualche tempo dopo (o prima), cui fanno seguito altri 45 capitoletti a loro volta seguiti da un capitoletto in corsivo di una pagina e mezzo scarsa intitolato Qualche attimo dopo (o prima) che a sua volta conclude il romanzo.
I primi quaranta capitoli non solo mettono in campo tutti i personaggi del romanzo ma ne iniziano e ne portano avanti contemporaneamente le singole storie che sono diverse tra di loro.
Allora, questi primi quaranta capitoli sono i raggi colorati già scomposti perché hanno attraversato il primo prisma costituito dall’atto della scrittura, il punto cioè in cui il fascio di luce bianca, che è l’insieme unitario della materia da trattare, si scinde nei rivoli narrativi.
Poi, sempre secondo il fenomeno osservato da Newton, questi raggi di luce colorata incontrano un secondo prisma, che qui è un prisma temporale, ed è rappresentato da quel titolo Qualche tempo dopo (o prima). Ebbene, qui il moto unificatorio fa sì che i lati esterni di ogni singolo raggio tendano a sovrapporsi, stingendo e fondendosi col colore più vicino. L’unità nel grande fascio di luce bianca ritorna solo all’incontro col terzo prisma anch’esso temporale, quello che ha per titolo Qualche attimo dopo (o prima) e che non può che segnare la fine del romanzo.
Si tratta, a parere mio, di un fatto innovativo nell’uso del tempo narrativo. Che è stata la ricerca che in un certo modo ha impegnato i maggiori scrittori del secolo appena trascorso, da Proust (la memoria del tempo) a Joyce (il tempo dilatato), da Beckett (il tempo atemporale) a Faulkner (il passato e il futuro come presente).
E non mi pare impegno da poco per un esordiente soprattutto in un momento nel quale la narrativa italiana sembra volersi negare ad ogni sperimentazione.
Andrea Camilleri (l'Unità, 9.5.2012)



Camilleri presenta Malacrianza
Roma, 1 marzo 2012

Presso la Feltrinelli della galleria Alberto Sordi di Roma il primo Marzo Andrea Camilleri ha presentato orgogliosamente e schiettamente il primo romanzo di Giovanni Greco, Malacrianza edito Nutrimenti e premio Italo Calvino del 2011.
"Malacrianza è un fascio di luce bianca che dalla scrittura viene scorporato in più storie ognuna parallela all'altra, diverse ma accomunate dalla stessa orribile brutalità, che si riuniscono in un unico fascio di luce bianca grazie ad una scrittura fuori dal tempo per poi scorporarsi ancora nel racconto delle diverse vite e riunirsi infine nell'ultimo capitolo che le riporta fuori dal tempo". Questa è la struttura del romanzo, e lo si percepisce già leggendo l'indice, che Camilleri ha egregiamente esposto usando la teoria di Newton.
Con un gioco narrativo in cui la terza persona si intreccia con la prima persona, il romanzo vuole raccontare la violenza e la crudeltà che molti bambini devono affrontare nei loro paesi senza avere il tempo di pensare alle conseguenze di ciò che fanno, ma l'autore cerca di rendere loro quel tempo perso e riportare il tutto ad una dimensione onirica, da incubo, dal quale ci si sveglia cambiati.
La serata è stata animata dalle letture dell'attore siciliano Ninni Bruschetta e dell'attrice Alessandra Mortelliti, nelle sale con il film La scomparsa di Patò tratto dall'omonimo romanzo di Camilleri.
Che sta facendo?… Che stai facendo?… Che aspetti? Dice un uomo sulla sessantina, calvo, sudaticcio, poco vestito, con il suo coso di fuori in posizione verticale. Che aspetti? (…) si avvicina alla bambina. (…) ha fatto migliaia di chilometri, telefonate, giri e raggiri per ritrovarsi in quella squallida stanzetta con quella… che aspetti? Che aspetti?
Così tuona una delle tante storie del romanzo nato dall'esperienza accumulata da Greco durante i suoi soggiorni didattici in Egitto, Cipro, Argentina, Messico, Brasile, Etiopia. Paesi che per un turista hanno tanto fascino esotico, ma non per chi come l'autore, trovandosi ad insegnare teatro, ha avuto modo di viverci ed entrare in contatto con le realtà più scomode e dimenticate da tutti, realtà di abusi e violenze sui minori.
"Un romanzo che non fa sconti per la sua brutalità e che non cerca il consenso del lettore, anzi lo mette davanti ad un disagio vero e proprio sia per la materia trattata e sia per il modo di esporla. Un romanzo coraggioso per la forma e per il contenuto come pochissimi se ne vedono oggi" sostiene Camilleri.
Ma in questo libro la violenza è solo un'inevitabile cornice, come dice lo stesso autore, l'aria che si respira in una sorta di favola con la volontà di far smarrire il lettore dal normale flusso temporale, come sperimentato in passato da Proust, Joice, Pirandello, Samuel Beckett e Faulkner.
Da qui la scelta del titolo Malacrianza che come spiega Camilleri significa cattiva educazione ma, ripercorrendo tutti i significati che assume nel sud del paese, la si può definire come uno stare male e in questo caso come la capacità di affrontare la vita stessa nel suo aspetto peggiore.
Francesca Colica (PrismaNews, 5.3.2012)



Last modified Thursday, May, 10, 2012