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Quanto mi assomiglia il giovane Montalbano

Il testo, pubblicato su La Repubblica il 20.2.2012, è tratto da una conversazione con lo scrittore sugli esordi del commissario.
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La prima indagine di Montalbano nasce da una mia esigenza personale, una esigenza narrativa naturalmente, che via via che procedevo nella scrittura dei romanzi di Montalbano, diventava sempre più pressante.
Mi sono chiesto: «A parte quello che già sappiamo di lui, prima, Montalbano, com'era? Suo padre e sua madre com'erano? Dov'è cresciuto? Com'era la sua vita prima di diventare commissario?».
Questo tipo di domande che nascevano dentro di me mi hanno spinto ad immaginare un "giovane Montalbano".
Ho pensato ad un ragazzo che ha appena vinto il concorso, che è vice-commissario in un paesino di montagna, Mascalippa, un ambiente che non sente suo in cui si trova a fare un mestiere nuovo. Da lì verrà trasferito a Vigata come commissario e ritornerà nel luogo dell'infanzia e soprattutto in un posto sul mare, dove ci sono i sapori e i profumi della sua infanzia. Montalbano è nato a Catania ed è stato bambino in un luogo di mare; si addormentava o con il rumore del mare o con l'aria di mare. L' allontanamento da questa atmosfera, lo spostamento a Mascalippa in un ambiente a lui estraneo, rappresenta una delle ragioni del successivo radicamento di Montalbano a Vigata.
E in questo c'è una mia esperienza personale: la prima volta che da bambino mi spostai dal mio paese con mio padre andai all'interno della Sicilia, a Caltanissetta, la sera arrivati nell'albergo in cui avevamo preso una stanza (ero molto piccolo e dormivo con lui) mio padre si accorse che non riuscivo a prendere sonno: «Perché non dormi?» - mi chiese.
«C'è qualche cosa che mi manca...» risposi io.
«Vabbè - continuò lui - ti manca la mamma ma già domani torniamo a casa e la troverai».
In realtà, ora lo so, a me mancava il rumore del mare.
Da casa mia io potevo sentirlo, soprattutto d'inverno, ed era con quel rumore che quasi mi cullava, che io riuscivo ad addormentarmi. Lo realizzai più tardi, nel corso degli anni, e questa sensazione l'ho trasferita a Montalbano.
Nel personaggio del giovane Montalbano, il mio tentativo è stato quello di dargli un passato che fosse coerente con certe sue caratteristiche di adulto. E siccome in realtà Montalbano adulto è un uomo solo, ho fatto in modo che le origini di questa solitudine nascessero anche dalla sua condizione infantile: Montalbano non solo non ha la madre, ma ha anche un padre (che in questa serie conosceremo) col quale però non ha quel rapporto che avrebbe avuto sicuramente con la madre. Tra i due c'è come uno schermo, fatto di timidezza reciproca, forse di pudore: di tante cose che vorrebbero dirsi ma che non riescono a dire...
Anche in questo c'è una similitudine con la mia esperienza personale. Io conosco la solitudine di Montalbano bambino, che è molto simile alla mia solitudine di figlio unico.
Mi ricordo di aver molto patito il non avere né fratelli né sorelle; certo, avevo i compagni di scuola o gli amici con i quali giocare, ma avrei voluto qualcuno con cui crescere: avere una sorella era il mio sogno. Credo che il mio grande amore per le donne nasca proprio dalla ricerca di quella sorella mai avuta. Ero piccolissimo, avevo cinque o sei anni e mi disperavo di essere figlio unico; invidiavo (io che non ho mai nutrito sentimenti di invidia) i miei compagni di scuola che avevano sorelle; tanto che mia madre mi comprò una bambola enorme a grandezza umana... Meraviglia! Divenne la mia confidente. Non lo dissi a nessuno che avevo questa bambola perché chissà cosa avrebbero detto di me i miei compagni se avessero saputo che io avevo una bambola con la quale parlavo, oltretutto. Ma in realtà l'ho avuta.
Ecco, molte di queste cose le ho trasferite nella memoria di Montalbano bambino e si ritrovano nel carattere del giovane Montalbano.
La fortuna di questo giovane vice-commissario quando inizia la sua professione in un ambiente che non sente come suo, è quella di avere un superiore, il commissario Sanfilippo, che è una figura di tutto rispetto, è lui che gli insegna il mestiere e che, in qualche modo, finisce con il rappresentare un sostituto del ruolo paterno.
Quando poi verrà trasferito a Vigata, non avrà più un superiore, il superiore sarà lui.
Lì però avrà un'altra fortuna, l'incontro con Carmine Fazio (il padre del più noto Giuseppe Fazio). Fazio padre è un uomo che rappresenta l'esperienza, il buon senso, ma è anche accondiscendente nei suoi confronti.
Spesso si trova costretto a richiamarlo alle regole del gioco che, Montalbano, irruento com'è, tenderebbe a non rispettare. In breve tempo questa figura per lui diventa fondamentale.
Il personaggio di Fazio padre è simile a quei vecchi marescialli dei Carabinieri di una volta che in paese conoscevano tutti e di tutti sapevano vita morte e miracoli, uno di quegli uomini che rappresentano l'autorità, soprattutto morale, piuttosto che la divisa.
Un'altra importante novità è l'incontro con Livia e il loro successivo innamoramento, che trovo sia uno dei punti più belli della serie. Qui il rapporto è ancora bellissimo e ci sono le radici di quello che nonostante la distanza e certe anomalie, è un rapporto che abbiamo visto (nel Montalbano classico) durare nel tempo.
Come tutti i rapporti ovviamente ha subito dei logoramenti negli anni. Ho riflettuto sul perché.
Secondo me, per qualcosa di opposto a ciò per cui in genere le coppie si allontanano: le coppie si logorano per troppa convivenza, qui il logoramento è dovuto alla mancanza di convivenza. In una coppia la convivenza permette di risolvere qualsiasi cosa nel bene o nel male, di non portarsela appresso, di chiuderla dentro un cerchio temporale preciso. Non vivendo assieme, abitando in luoghi lontani, ogni incontro è bello, ma dopo poche ore, tutto il non detto ha il sopravvento e le punte rimangono belle puntute, non smussate. E questa distanza fisica, nonostante il grande affetto, provoca logoramento.
Una volta definii Livia come "il grande bacino di Venere"; per Montalbano Livia è tutto. È stata l'amante e ora non lo è più, ma lo è stata, è la moglie che non è però potrebbe esserlo, è la madre perché Livia è l'unica donna in grado di dirgli delle cose che altre donne non sono in grado di dirgli. Certe reazioni di Montalbano anche eccessive nei riguardi di Livia sono dovute anche a un rapporto di questo tipo.
Ed è in questa serie che si pongono le basi di tutto questo.
Le differenze tra il Montalbano giovane e quello adulto ci sono e si vedono: una cosa è essere giovani, una cosa è avere 50 anni. Così l'impulsività che è innata in Montalbano, il tendenziale non rispetto per le regole, è assai più evidente in Montalbano giovane; non che nel Montalbano adulto si perda, non è che nasce incendiario e muore pompiere. Rimane sempre incendiario, solo "criptato".
Però, ciò che conta, è che la capacità raziocinante del suo cervello non ha subito variazioni con l'età; è subentrata solo un po' di prudenza. Nelle indagini, Montalbano giovane è più veloce del Montalbano adulto; la maturità l'ha portato, prima di formulare un'accusa, ad esserne profondamente convinto, mentre al giovane basta esserne convinto al 70%.
Ma l'essenziale e fondamentale caratteristica in entrambi è di avere un cervello speculativo.
L'impressione che ho avuto dei sei episodi è ottima. Il racconto tiene dalla prima all'ultima inquadratura. E quando ho visto l'inizio mi sono quasi commosso... questo paese di montagna e le rampe da salire eccetera... era proprio quello che avevo in mente quando scrivendo di Montalbano giovane l'avevo portato lì...

Andrea Camilleri

 



Last modified Saturday, February, 25, 2012