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La mia polizia e la loro

Salvo Montalbano in conversazione con Pierfranco Pellizzetti




All’indomani del G8 di Genova, fu l’unico poliziotto che condannò pubblicamente il comportamento dei suoi colleghi, minacciando persino di lasciare la polizia. A dieci da quel luglio del 2001, in questa intervista esclusiva concessa a MicroMega, il commissario di Vigàta torna a parlare delle zone grigie interne alle forze dell’ordine e conferma: ‘Chi copre coloro che sbagliano compie un errore ancora più grande’.


Pierfranco Pellizzetti: Caro commissario, l’altra sera mi trovavo a Boccadasse proprio con Livia Burlando, la sua fidanzata. Ci siamo ritrovati a parlare delle sue dichiarazioni subito dopo il G8 genovese, quando lei ha manifestato la volontà di dimettersi dalla polizia per l’indignazione che le hanno procurato i gravissimi fatti di violenza compiuti dai suoi colleghi. Livia mi ha confidato: “Ma Salvo, con chi pensava di avere a che fare, in che ambiente credeva di essere capitato? Non sarà che magari è stato solo un colpo di testa un po’ donchisciottesco, un rigurgito sessantottino; come quando studiava Giurisprudenza a Catania?”.
Salvo Montalbano: Ma com’è curioso che in fondo le nostre donne finiscono con l’essere quelle che ci conoscono di meno. No, non c’è stato nessun colpo di testa donchisciottesco sessantottino, no, no, è stato un serio momento di smarrimento e di sdegno perché ho avuto un’impressione immediata, confermata poi dagli eventi successivi. Fin dall’inizio infatti – ben prima di quel che è successo alla Diaz e a Bolzaneto – grazie ai reportage giornalistici, televisivi e soprattutto grazie alla documentazione dei partecipanti muniti di piccole telecamere o di telefonini, notai una certa discordanza tra gli ordini che venivano impartiti dalla centrale e l’esecuzione dei medesimi. Se la centrale diceva “andate a sinistra” certi reparti andavano a destra. In alcune immagini si vede benissimo che ai black bloc viene lasciata via libera, non vengono fermati e ho subito pensato a una sorta di prova generale, fortunatamente finita male. Naturalmente poi i fatti della Diaz, con le finte bombe, la finta coltellata, e poi anche di Bolzaneto, non fecero altro che confermare quella prima impressione. Io voglio che la polizia, come tutte le altre istituzioni dello Stato, stia al suo posto e non debordi. Tutto qua.
Pellizzetti: La Genova del G8 è il luogo dove probabilmente si è raggiunto il punto più basso nella credibilità democratica delle nostre forze dell’ordine. (…) È come se improvvisamente fosse avvenuto un cortocircuito nel dialogo fiduciario con i cittadini, per cui oggi il comune sentire civile non riconosce più alle forze dell’ordine il ruolo di garanti delle conquiste democratiche.
Montalbano: Il che è gravissimo. Però volevo ricordare che quando Camilleri pubblicò il libro, Il giro di boa, che parlava proprio di questi miei dubbi sull’operato dei miei colleghi della polizia, capitò un fatto che pochi conoscono: un sindacato di polizia, il Silp, riunì tutti i suoi iscritti in un teatro di Roma invitando Camilleri per discutere di quello che lui aveva scritto sul G8 di Genova – il teatro era gremito di poliziotti – e la discussione è stata straordinaria perché si arrivò a due constatazioni: primo, come faccio io a perdere la testa quando si ha in mano un’arma e gli altri sono disarmati; il secondo, la necessità della manutenzione quotidiana della democrazia nei reparti armati. Per un romanzo è già tanto che si sia raggiunto questo risultato, ma soprattutto emerse come posso dire, una sorta di rabbia perché pochi avevano fatto perdere agli occhi dell’opinione pubblica quella stima guadagnata col quotidiano sacrificio di tanti nella lotta alla mafia, alla criminalità organizzata e – come notò uno dei partecipanti – ci vogliono molti anni per guadagnarsi la stima dell’opinione pubblica mentre basta pochissimo per perderla, e riguadagnarla è cosa difficilissima. Tutte considerazioni che spero che abbiano messo radici.
Pellizzetti: E lei che sensazione ha? Che queste radici siano state messe o piuttosto tagliate? In certi settori delle forze di polizia pare sia avvenuta una vera e propria mutazione antropologica.
Montalbano: Io credo che ci sia all’interno stesso della polizia una sorta di divisione, che non viene allo scoperto ma che so che esiste, perché mi capita spesso di incontrare colleghi dai sentimenti veramente democratici così come purtroppo mi capita di assistere a comportamenti antidemocratici ma, vede, la cosa peggiore in assoluto, a mio avviso, è la difesa cieca e corporativa: coloro che difendono chi sbaglia commettono un errore più grande di quello commesso da chi ha sbagliato.
Pellizzetti: Non c’è dubbio. E allora, se permette, vorrei farle notare che, al di là di casi circoscritti (mi viene in mente il nome del dirigente Perugini e pochi altri), tutti i funzionari e gli agenti che sono stati inquisiti dalla magistratura per palesi comportamenti che possiamo tranquillamente definire non solo antidemocratici ma anche intimidatori, prevaricatori, improntati al totale disprezzo dei diritti, ebbene questi signori poi hanno fatto tutti carriera. Un fenomeno che induce a preoccupazione.
Montalbano: Certo che induce a preoccupazione. C’è un proverbio siciliano – che però credo esista anche in italiano e anche forse nel dialetto genovese o piemontese – che recita: il pesce comincia a puzzare dalla testa. Molti agenti o funzionari di polizia mordono il freno ad essere comandati da gente che è stata condannata, questo glielo posso assicurare, perché ne ho ricevute amichevoli confessioni.
Pellizzetti: Lei diceva, ci fu un tentativo politico non andato in porto. Un’impressione suffragata da una serie di elementi. A quel tempo il ministro dell’Interno Claudio Scajola dichiarò di avere dato disposizione ai poliziotti del G8 di sparare sui manifestanti. Affermazione che successivamente si è rimangiato. (…). Sempre in quei giorni l’allora vicepresidente del Consiglio, Gianfranco Fini, era segnalato nella centrale operativa della questura di Genova: per fornire avalli a quanto avveniva?
Il governo si era insediato da poco più di un mese e stava incominciando a promuovere tematiche leggi-ordine. Si doveva diffondere paura per dimostrare la necessità di una stretta repressiva. Resta nell’impressione di molti la sensazione di un disegno politico dai connotati eversivi, intimamente antidemocratici.
Montalbano: Che alla base ci sia questo ne ho la convinzione. Ho avuto subito l’impressione che ci fosse un disegno preordinato, una sala di regia, e che le persone che si trovavano nella sala non avrebbero dovuto esserci.
Pellizzetti: Certamente induce a questa considerazione, prima ancora dei fatti della caserma di Bolzaneto, quanto avvenne nella scuola Diaz, i pestaggi di quella notte. (…).
Montalbano: Una macelleria a me è sembrata… (…) Io penso che sia stata fatta una precisa scelta di coloro che dovevano mandare là dentro. Se noi accettiamo la tesi che ci sia, chiamiamola così, una zona grigia nella polizia, è chiaro che per certi scopi venga utilizzata questa. Ma la zona grigia non si muove autonomamente, non è che 180 carabinieri motu proprio dicono: Sai che facciamo, andiamo alla Diaz e vediamo di fregare quelli là. Oltre tutto è un gesto stupido, perché è chiaro che, perché il piano riesca, li devono ammazzare tutti e poi farli saltare in aria dicendo… è stato un incidente mentre preparavano una bomba… tecnica che conosciamo benissimo… perché se ne rimane uno e racconta come sono andati i fatti e qualcuno gli dà credito siamo tutti fregati. Quindi nei fatti della Diaz c’è anche la stupidità della violenza in sé, come se si fosse voluto dare sfogo alla rabbia per qualcosa andata male. E qui torniamo all’inizio: può darsi che quel disegno non ha funzionato e dobbiamo prenderci la rivincita perché schiumiamo di rabbia? È un’ipotesi plausibile.

(I brani qui riportati sono stati pubblicati su Il Fatto Quotidiano del 21.6.2011)

 



Last modified Wednesday, July, 13, 2011