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Camilleri sono



Autori Salvatore Silvano Nigro, Nunzio La Fauci, Giuseppe Marci, Marilù Oliva,
Luca Zingaretti, Alberto Sironi, Carlo Degli Esposti, Luciano Ricceri,
Michele Riondino, Gianluca Maria Tavarelli, Franco Piersanti, Francesco Bruni,
Stephen Sartarelli, Pau Vidal, Moshe Kahn, Serge Quadruppani,
Maurizio De Giovanni, Giovanni De Luna, Tomaso Montanari,
Valentina Alferj, Corrado Empoli, Antonio Sellerio, Simonetta Agnello Hornby
Prezzo  
Pagine  
Data di pubblicazione 26 luglio 2018
Rivista MicroMega n. 5/2018
(disponibile anche in ebook e per iPad)


Anche nel più elevato trono del mondo
siamo seduti solo sul nostro culo.

Michel Eyquem seigneur de Montaigne
(Esergo del volume, scelto da Andrea Camilleri)


È a uno tra i più grandi scrittori italiani a cavallo degli ultimi due secoli, Andrea Camilleri, che MicroMega ha deciso di dedicare un numero monografico.
Un omaggio al bardo novantatreenne conosciuto al grande pubblico soprattutto per i gialli con protagonista il commissario Salvo Montalbano, nonostante la sua produzione letteraria sia sterminata, e includa anche straordinari romanzi storici.
Il numero si apre con una ricca testimonianza dello stesso Camilleri che racconta i suoi esordi da piccolo poeta ‘fascista’, i lunghi anni dedicati al teatro, il passaggio alla letteratura, la faticosa invenzione del vigatese, il ‘ricatto’ di Montalbano, le donne dei suoi romanzi e della sua vita, il suo impegno civile e politico fino al recente ritorno in teatro, con un monologo su Tiresia scritto da lui stesso: un modo per chiudere e riaprire il cerchio della sua vita artistica e letteraria che proprio in teatro era iniziata, nel 1947.
Alle peculiarità della scrittura di Camilleri è dedicata una prima sezione del numero con interventi di Salvatore Silvano Nigro, che spiega perché i due filoni narrativi dello scrittore (quello dei gialli e quello dei romanzi storici) costituiscono due parti di uno stesso ‘sistema’ letterario; Nunzio La Fauci ne analizza nel dettaglio le particolarità linguistiche; Giuseppe Marci racconta come e perché ha ‘adottato’ le opere dello scrittore agrigentino all’università; e infine Marilù Oliva ci conduce alla scoperta delle straordinarie figure femminili nella narrativa storica di Camilleri.
Una seconda sezione è invece incentrata sulle trasposizioni televisive dei romanzi di Camilleri. Luca Zingaretti racconta come ha fatto a dare un volto al commissario Montalbano; Alberto Sironi spiega le scelte di regia che stanno dietro alla serie più famosa della tv italiana; il produttore Carlo Degli Esposti descrive come è nata l’idea e come è stato possibile mantenere un tale livello di qualità negli anni; lo scenografo Luciano Ricceri spiega perché ha deciso di ambientare i film nel ragusano; Michele Riondino e Gianluca Maria Tavarelli raccontano la sfida di mettere in scena Il giovane Montalbano; Franco Piersanti rivela come è nata la colonna sonora della serie; e infine Francesco Bruni illustra il modo in cui dal romanzo si passa alla sceneggiatura dei film.
Quello di Camilleri è peraltro un successo planetario, nonostante tradurre i suoi romanzi in altre lingue sia un’operazione particolarmente complicata. Quattro tra i suoi traduttori – Stephen Sartarelli per l’inglese, Pau Vidal per il catalano, Moshe Kahn per il tedesco e Serge Quadruppani per il francese – ci raccontano cosa significa immergersi nella selva linguistica dello scrittore, quali sono le difficoltà principali e quali i ‘trucchi’ per superarle.
Al Camilleri dell’impegno civile e politico è dedicata un’altra parte del numero nella quale lo scrittore Maurizio de Giovanni spiega perché l’autore di Montalbano sia il padre nobile di tutti i giallisti italiani contemporanei, sia dal punto di vista letterario sia da quello dell’impegno civile; Giovanni De Luna illustra perché nei romanzi di Camilleri gli storici del futuro troveranno fonti preziose per ricostruire il nostro tempo e Tomaso Montanari ricorda tutti i momenti in cui Camilleri è intervenuto in maniera diretta nel dibattito pubblico, con la coerenza e l’integrità che caratterizzano i veri intellettuali.
Chiude il numero la sezione intitolata ‘Il mio Camilleri’ in cui Valentina Alferj, sua storica collaboratrice, ripercorre la storia di questo sodalizio umano e professionale; il poliziotto Corrado Empoli ricorda con nostalgia e affetto le lunghe conversazioni con ‘il professore’; Antonio Sellerio descrive il rapporto della casa editrice palermitana con il suo scrittore di punta; e infine Simonetta Agnello Hornby spiega perché Camilleri sarebbe degno del Nobel ma è il Nobel a non essere degno di lui.


SOMMARIO

NEL CORSO DI UNA VITA
Andrea Camilleri – Camilleri sono
Lo scorso giugno, a quasi novantatré anni e dopo quasi quarant’anni di assenza dalla scena, ormai cieco, Andrea Camilleri è tornato in teatro, recitando un monologo su Tiresia scritto da lui stesso. Un modo per chiudere e riaprire il cerchio della sua vita artistica e letteraria che proprio in teatro era iniziata nel 1947. In questa lunga testimonianza lo scrittore racconta i suoi esordi da piccolo poeta ‘fascista’, i lunghi anni dedicati al teatro, il passaggio alla letteratura, la faticosa invenzione del vigatese, il ricatto di Montalbano, le donne dei suoi romanzi e della sua vita, il suo impegno civile e politico. Un intellettuale sempre coerente, uno dei più grandi scrittori italiani del Novecento.

ICEBERG 1 – Camilleri scrittore-scrittore
Salvatore Silvano Nigro – Il sistema Camilleri
La ‘verità’ non è mai in bianco e nero nei romanzi di Camilleri, i ‘buoni’ non è detto che siano sempre completamente buoni, e la stessa cosa dicasi per i ‘cattivi’. Questo vale sicuramente per i romanzi storici, ma anche per i gialli, nei quali la scoperta dell’assassino non è la principale spinta ad andare avanti nella lettura. A Montalbano e ai suoi lettori interessano sempre meno le finali manette ai polsi, li appaga l’investigazione in sé, con il coinvolgimento emotivo che comporta. Questo sguardo, insieme a quell’originalissima lingua d’invenzione che è il vigatese, è ciò che tiene insieme tutta la sterminata produzione letteraria di Camilleri in un unico sistema.
Nunzio La Fauci – L’oceano linguistico di Camilleri
Bisogna distinguere due ‘Andrea Camilleri’: la persona e la funzione. Come persona, suscita un’ammirazione inesauribile e merita una permanente gratitudine per il suo generoso contributo allo spasso dell’umanità. La funzione ‘Andrea Camilleri’ è anzitutto un fenomeno linguistico, incarnando in una forma pressoché perfetta l’identità linguistica italiana, la cui essenza sta,a differenza di altre, nella commistione tra italiano standard e varietà dialettali. Camilleri però non si limita a mescolare italiano e siciliano, ma plasma il materiale linguistico a suo piacimento, creando dei giochi del tutto originali che non corrispondono a nessuna parlata reale. In una produzione letteraria che chiede anche la complicità del lettore e nella quale l’incidenza dell’apparire è cresciuta sempre più sopra quella dell’essere.
Giuseppe Marci – CamillerIndex. Il valore etico e letterario dell’opera camilleriana
Tutto nasce da un incontro in aeroporto in cui Camilleri si trova davanti “Montalbano in persona, con sotto braccio una copia del Birraio di Preston”. Si trattava in realtà del professore di Letteratura dell’Università di Cagliari che lo aveva invitato per un seminario. Da allora inizia un lungo sodalizio personale e letterario, culminato in molte iniziative, dai Quaderni camilleriani all’Index delle sue opere.
Marilù Oliva – Mogli, buttane e regine. Le fìmmine nella narrativa storica di Camilleri
Dalle donne metamorfiche della trilogia mitologica alla viceregina di La rivoluzione della luna, il caleidoscopio delle figure femminili nei romanzi e nei racconti storici di Camilleri è ricco e complesso. L’atto rivoluzionario dell’autore girgentino è stato infatti proprio quello di non essersi appiattito nello stereotipo della donna angelo del focolare o in quello della licenziosa, ma di aver dipinto figure dotate di spirito intraprendente, intelligenza, consapevolezza, arguzia, autodeterminazione.

ICEBERG 2 – sul piccolo schermo
Luca Zingaretti Un personaggio in cerca d’attore
Incappò in un libro su Montalbano per puro caso e fu subito amore per quel personaggio da cui si sentiva tirato per la giacca. L’attore che ha dato il proprio volto al commissario più famoso della tv italiana racconta il suo primo incontro (all’Accademia nazionale d’arte drammatica, dove ha studiato tre anni) con quello che poi sarà il padre del suo personaggio, la scoperta del Camilleri scrittore, l’approdo alla serie e il lavoro sul set, in questa sorta di ‘bolla magica’ che si crea durante le riprese grazie a uno staff che da vent’anni lavora dando sempre il massimo.
Alberto Sironi – La creazione del cinema televisivo italiano
Paesaggi, musiche, cast, costumi: costruire cinematograficamente un mondo richiede pazienza e ricerca. Se poi quel mondo è la Sicilia del commissario Montalbano, vale a dire la Sicilia dell’infanzia di Andrea Camilleri, il lavoro è ancora più complesso: perché occorre richiamare un odore di antico all’interno di storie contemporanee. Dal provino di Luca Zingaretti – che scalzò da subito ogni altro candidato – alle straordinarie ambientazioni, il regista Alberto Sironi racconta passo passo la nascita del prodotto televisivo di maggior successo della televisione italiana, che ha creato un modello capace di conquistare i network mondiali.
Carlo Degli Esposti – La sfida di Montalbano in tv
Sono più di 30 i film per la televisione tratti dai romanzi e dai racconti sul commissario Montalbano. Alcune puntate fanno numeri da finali calcistiche. ‘Montalbano sono’ è ormai un modo di dire, i silenzi di Salvo mentre mangia o le sue lunghe nuotate mattutine sono entrati nell’immaginario collettivo. La serie tv tratta dai romanzi di Camilleri ha centrato un obiettivo difficilissimo: tenere insieme altissima qualità del prodotto e straordinaria popolarità. Il suo produttore ci racconta genesi e ‘segreti’ di un successo senza precedenti.
Luciano Ricceri – Alla ricerca di Vigàta
Vigàta non esiste, è un luogo immaginario della fantasia di Camilleri, che evoca una Sicilia fuori dal tempo. Ed è questa atmosfera quasi ‘metafisica’ che lo scenografo ha voluto ricreare percorrendo la Sicilia in lungo e in largo, e decidendo di fermarsi poi nel Ragusano. In quel fazzoletto di terra, mettendo insieme spicchi presi da diversi paesini, svuotando piazze e strade, è nata la Vigàta che tutti noi conosciamo e riconosciamo sul piccolo schermo.
Michele Riondino – Il rischio del ‘secondo’ Montalbano
Dalle incertezze iniziali – quando pensava che quella del Giovane Montalbano fosse un’operazione meramente commerciale – al primo incontro con Andrea Camilleri, che lo persuase a buttarsi nell’avventura: Michele Riondino racconta la costruzione del suo giovane Montalbano nonché l’impegno per la trasposizione televisiva del romanzo storico La mossa del cavallo, che lo ha visto ugualmente protagonista.
Gianluca Maria Tavarelli – Da Il giovane Montalbano al romanzo storico
Dalla scommessa di portare sullo schermo Il Giovane Montalbano alla sfida di trasporre televisivamente per la prima volta uno dei romanzi storici di Andrea Camilleri – cui l’autore è particolarmente legato: La mossa del cavallo. Il regista che ha compiuto entrambe le ‘imprese’ racconta genesi e sviluppo dei due progetti e in particolare i passaggi fondamentali di quel processo di ricerca di una propria identità, necessario per costruire un immaginario nuovo e diverso rispetto alla serie sul commissario con Luca Zingaretti.
Franco Piersanti – Montalbano Suite
La sigla di Montalbano è ormai diventata un’‘icona’ musicale, parte integrante e inscindibile della serie tv, al pari dell’ambientazione. Una musica con una forte identità, immediatamente riconoscibile eppure quasi irriproducibile, trattandosi di un brano molto lontano dai facili motivetti. “Una specie di tango ansimante che, in realtà, contiene qualcosa del teatro dei pupi. Dietro c’è l’ombra di un dialetto che racconta le favole, favole che sono anche capaci di fare paura”. Il compositore che l’ha creata ci racconta com’è nato quel brano e tutti gli altri che costituiscono la colonna sonora di Montalbano, ormai divenuta una vera e propria libreria musicale.
Francesco Bruni – La sceneggiatura un esercizio di equilibrio
I gialli, per gli sceneggiatori, sono il paradigma perfetto della narrazione, perché, almeno teoricamente, nessuna scena è inutile, ma tutto spinge in una precisa direzione: la scoperta della verità. Il lavoro si fa però più arduo (ma anche più avvincente) se l’autore è uno scrittore della portata di Andrea Camilleri, perché i suoi sono gialli di grande ricchezza e complessità narrativa. Lo sceneggiatore della serie più di successo della tv italiana racconta il processo che dalla pagina porta allo schermo.

ICEBERG 3 – Il vigatese in giro per il mondo
Stephen Sartarelli – La chiave è l’invenzione
L’espediente più comune quando si ha di fronte un testo che mischia la lingua standard con un dialetto è tradurre quest’ultimo con un dialetto della propria lingua. Errore madornale, in cui sono caduti anche traduttori di altissimo livello. Perché ogni dialetto è inestricabilmente legato al luogo in cui è nato e sentire mafiosi o poliziotti siciliani parlare come dei pastori delle highlands sarebbe più che ridicolo. Come affrontare allora l’‘ascesa’ di tradurre Camilleri? Affidandosi alla fantasia. E come Camilleri ha inventato il vigatese, il suo traduttore inglese ha inventato il suo vigatese anglo-americano da collage.
Pau Vidal – Enigmistica e pirotecnica per Camilleri in catalano
Dall’invidia nei confronti del primo traduttore provata leggendo La concessione del telefono alla ‘sfacciata’ proposta che quel lavoro venisse affidato a lui, forte della sua esperienza di autore di giochi enigmistici per El País. II traduttore catalano di Andrea Camilleri racconta il percorso che, tra tentativi ed esperimenti linguistici, lo ha condotto ad affinare la sua strategia per affrontare la pirotecnia verbale dello scrittore siciliano.
Moshe Kahn – Ogni traduzione è una nuova sfida
Tradurre non significa semplicemente rendere il senso di una frase, ma anche l’atmosfera, il ritmo, lo stile. È quindi un’operazione letteraria complessa, nella quale per Camilleri si aggiunge l’ulteriore livello del vigatese. Non c’è una regola universale per rendere in una lingua diversa dall’originale questi linguaggi particolari, perché un espediente che ha funzionato con un autore non è detto che funzioni per un altro. Ogni traduzione è una sfida a sé. Una sfida più semplice quando il traduttore può affidarsi alla solidità della narrazione, come nel caso di Camilleri.
Serge Quadruppani Contro il grammaticalmente corretto
È nella ricca biblioteca della sua compagna dell’epoca che, nel 1997, il futuro traduttore francese di Andrea Camilleri scopre quella lussureggiante selva di lingue, parole, immagini e significati nata dalla penna del padre di Montalbano. Una selva in cui la difficoltà principale, come scoprirà ben presto, è quella di rendere il camillerese, questo italiano sicilianizzato che è una creazione tutta personale dell’autore e che richiederà di sfuggire alla dittatura della ‘fluidità’ e del ‘grammaticalmente corretto’ che aveva imposto a generazioni di lettori francesi un’idea troppo vaga dello stile reale di tanti autori.

ICEBERG 4 – Camilleri scrittore civile
Maurizio de Giovanni – Maestro di scrittura e di vita
Oggi la letteratura mainstream è sostanzialmente letteratura borghese. Gli unici a fare romanzi sociali, magari inconsapevolmente, sono i giallisti tra i quali, in Italia, si contano autori di grande qualità, tutti debitori di chi ha dato a questo genere la dignità letteraria che merita: Andrea Camilleri. Un intellettuale a tutto tondo, che non si è mai sottratto all’impegno civile e politico, che secondo de Giovanni è responsabilità e dovere di chi, a qualsiasi titolo, ha un “microfono in mano”. Un maestro di tutti noi, di scrittura e di vita.
Giovanni De Luna – Una fonte per gli storici del futuro
Gli studiosi che fra qualche tempo vorranno ricostruire le vicende italiane degli ultimi trent’anni troveranno nei romanzi di Camilleri un gigantesco giacimento documentario e archivistico al quale attingere. C’è infatti nei suoi libri la capacità di rispecchiare quell’insieme di scelte, comportamenti, bisogni, emozioni che definiscono l’esistenza collettiva di un paese. Ma c’è, soprattutto, una particolare efficacia nell’aiutarci a penetrare nelle profondità del rapporto tra realtà e rappresentazione della realtà, svelandone la finzione, abituandoci a una consapevolezza critica da usare come antidoto nei confronti di mitologie che appartengono oggi al mercato e ai media, così come in passato appartenevano ai regimi totalitari.
Tomaso Montanari – La scrittura e l’impegno
Una delle caratteristiche principali di Camilleri, tra gli autori italiani contemporanei più amati, è il suo cristallino e generoso impegno civile e politico, che lo scrittore non ha mai sentito disgiunto dalla sua attività letteraria. Un intellettuale a tutto tondo, di quelli che oggi scarseggiano nel nostro paese, capace di prendere posizioni nette senza guardare in faccia nessuno, né il potente di turno né i propri lettori.

ICEBERG 5 – Il ‘mio’ Camilleri
Valentina Alferj – La ‘magarìa’ di un incontro
“Mi sono ricordato dei tuoi occhi intelligenti e ti volevo chiedere di venire a lavorare per me”. È così che inizia il rapporto professionale e di amicizia tra Andrea Camilleri e Valentina Alferj, che qui ripercorre questi sedici anni di fruttuosa collaborazione: dai primi tempi, in cui andava a casa dello scrittore qualche pomeriggio a settimana per rispondere alle lettere e agli inviti, a oggi che ne è diventata gli occhi e la penna.
Corrado Empoli – Un poliziotto per amico
Le lunghe chiacchierate al Bar Vigàta a Porto Empedocle, le telefonate, i racconti di aneddoti della vita reale di chi lavora ogni giorno in commissariato. Corrado Empoli, poliziotto siciliano a capo della sezione criminalità organizzata della squadra mobile di Bologna, a lungo impegnato ad Agrigento, racconta del suo rapporto con ‘il professore’ rivelando alcuni dettagli del suo lavoro che sono finiti nei romanzi di Camilleri. Un’amicizia di cui va molto fiero e che gli ha lasciato tanto: “Come uomo e come poliziotto, gli insegnamenti del professore hanno avuto un grande peso nel tracciare il mio percorso di buonsenso e imparzialità”.
Antonio Sellerio – Camilleri in blu
Dal primo incontro come scrittore – con La stagione della caccia, che gli provocò un piacere nella lettura raramente provato prima – a quello dal vivo, in cui fu subito palese che, al di là del talento, fosse una persona con un carisma straordinario, fino alla dolorosa perdita dei genitori, periodo in cui lo sentì più vicino che mai: l’erede di Elvira ed Enzo Sellerio racconta il suo rapporto con Andrea Camilleri.
Simonetta Agnello Hornby – Il Nobel non è degno di Camilleri
Lo amava già come scrittore, poi sentendolo parlare in pubblico decide che la presentazione del suo primo libro avrebbe dovuto farla lui. È così che, tra lo scetticismo di amici e parenti, l’allora neoscrittrice Simonetta Agnello Hornby prende carta e penna e scrive una lettera al già celebre Andrea Camilleri per sondare la sua disponibilità. Passano tre giorni e poi, inaspettata, la telefonata di Andrea: “Venga a trovarmi”.


Montalbano, je suis
Il camillerese non esaurisce la lingua camilleriana, la quale opera, in proporzioni variabili, su tre registri: l'italiano standard, il dialetto e il camillerese vero e proprio, questo italiano sicilianizzato che è una creazione tutta personale dell'autore. I romanzi che chiamo «simenoniani» (Il tailleur grigio, Il Tuttomio e altri) o quelli inclassificabili, come Intermittenza, sono interamente scritti in italiano standard, che occupa un posto più o meno importante nella maggior parte degli altri romanzi. Questo registro non presenta difficoltà particolari nella traduzione: lo si trasla in un francese spesso familiare, come l'italiano dell'autore. Il secondo registro, quello del dialetto puro, interviene in circostanze specifiche, generalmente nei dialoghi in ambienti popolari o per esempio quando Montalbano si arrabbia o vuole portare fuori strada Livia per divertirsi.
Nella versione originale, nei passaggi in dialetto, se la lingua non è sufficientemente vicina all'italiano standard, Camilleri ne fornisce una traduzione di seguito. Nella versione francese, mi conformo per lo più alla strategia camilleriana: riproduco il testo in dialetto con a seguire la traduzione in francese standard segnalando la cosa nel corpo del testo (i lettori odiano le note a piè di pagina tranne che per le ricette di cucina!).
La difficoltà principale si presenta al livello intermedio, quello dell'italiano sicilianizzato, proprio sia del narratore sia di un buon numero di personaggi. Il camillerese è infarcito di termini che non possono essere ricondotti al dialetto più stretto ma sono diventati ormai piuttosto dei regionalismi (per citare due esempi molto frequenti: taliare per guardare e spiarecamillerese) non hanno bisogno di glossario, gustano la stranezza della lingua e comunque capiscono.
Tradurre questa lingua con una delle parlate regionali francesi non mi è sembrata una buona soluzione: da un lato queste parlate, ormai desuete, sono incomprensibili alla maggior parte dei lettori (e sarebbe bizzarro tradurre una lingua viva e ancorata nelle parole della Sicilia di oggi con una lingua morta), dall'altro contengono modi di dire troppo lontani dalle lingue latine (un Ca-milleri costellato di parole bretoni o basche non sarebbe più una traduzione in francese!).
Le deformazioni del Maestro
È stato dunque necessario rinunciare a cercare termini equivalenti per tutti i regionalismi. Il camillerese non è la trascrizione pura e semplice di un idioma da parte di un linguista ma la creazione molto personale di uno scrittore, a partire dal parlato della zona di Agrigento, con aggiunte di parole provenienti da altre zone della Sicilia, e di epoche più o meno recenti. E tuttavia, se ogni vera traduzione comporta una parte di creazione letteraria, il traduttore deve anche evitare di contendere il ruolo all'autore, cercando di non attirare l'attenzione attraverso inutili elementi di originalità. Il traduttore è al servizio dell'autore come l'interprete lo è al servizio del compositore.
Per rendere il camillerese ho quindi deciso di utilizzare termini del francese del Sud piazzandoli in alcuni punti del testo, come elementi deputati a ricordare in quale registro ci si trova. Innanzitutto perché, attraverso varie strade culturali, il francese meridionale si è piuttosto diffuso in Francia (così come il siciliano in Italia), perché fino a Calais si capisce cos'è un minot (è così che traduco il termine picciliddru). Inoltre questi termini diffondono un profumo di Sud. Ho invece scelto la letteralità per rendere percettibili alcune particolarità della costruzione delle frasi (come l'inversione soggetto-verbo di «Montalbano sono»: al posto dello standard «C'est Montalbano» ho tradotto «Montalbano, je suis») o questo curioso uso del passato remoto attraverso il quale si esprime l'enfasi siciliana: «Che fu?» per «che succede?», che ho tradotto alla lettera con «qu'est-ce qu'il fut?» invece che con «qu'est-ce qui se passe?». O il ricorso molto frequente a forme pronominali: «Si mangiava un arancino» anziché «mangiava» che ho tradotto con «se mangeait» anziché con «mangeait» che sarebbe stato più corretto in francese.
Ho anche tentato di trasporre alcune deformazioni che il Maestro infligge all'italiano standard per far capire la pronuncia della sua terra: «pinsare» anziché pensare, che io rendo con «pinser» al posto di «penser», «aricordarsi» anziché ricordarsi, che io traduco con «s'arappeler» al posto di «se rappeler». Scelte sicuramente discutibili, ma che tuttora mi sembrano le migliori, perché permettono di seguire l'evoluzione dello stile dell'autore. E in effetti il numero di trasposizioni di deformazioni orali non è lo stesso nei primi Montalbano e negli ultimi. Sembra che Camilleri, avendo ormai conquistato e abituato il suo pubblico, esiti sempre meno a far sentire le singolarità della sua musica. Si può dire che, di anno in anno, il Maestro abbia insegnato una lingua nuova, la sua, ai suoi lettori, che sono oggi centinaia di migliaia, questi italiani che oltre all'inglese e/o al francese padroneggiano una terza o quarta lingua: il camillerese!
Una civiltà antica e moderna
L'insieme di queste scelte di traduzione conducono a una lingua piuttosto lontana da ciò che comunemente si chiama «bon français»: la mia traduzione può sembrare poco fluida e si allontana spesso deliberatamente dalla correttezza grammaticale. Ma a partire da qualche decina d'anni fa, il lavoro dei traduttori è stato orientato dal tentativo di rendere meglio la lingua dei loro autori, sfuggendo alla dittatura della «fluidità» e del «grammaticalmente corretto» che aveva imposto a generazioni di lettori francesi un'idea troppo vaga dello stile reale di tanti autori.
Tale movimento si unisce anche al lavoro di alcuni autori francofoni impegnati a liberare il loro modo di esprimersi dalle catene di una lingua sulla quale si è legiferato troppo. Ciò che mi fa pensare che l'operazione sia riuscita sono gli incontri in libreria o ai festival, cui sono chiamato a partecipare come autore e talvolta anche in qualità di traduttore, e dove sono regolarmente accolto dall'esclamazione: «Montalbano, je suis!». A discutere con loro, a vedere il loro entusiasmo, mi dico spesso che i lettori francesi di Camilleri che hanno fatto lo sforzo di entrare nel camillerese sono in comunione con l'esperienza dei lettori italiani non siciliani. Francesi e italiani provano questa sensazione di strana familiarità che procura questa lingua, un'eco esilarante e tragica di ciò che si prova incontrando, non solo un'isola, la Sicilia, ma una civiltà antica e, al tempo stesso, molto moderna.
Serge Quadruppani - Traduzione di Ingrid Colanicchia (Stralcio pubblicato su La Stampa, 25.7.2018)


Cosa so di Andrea Camilleri (che mi ha cambiato la vita)
Il mio primo incontro con Andrea Camilleri avvenne nel 1980 all’Accademia nazionale d’arte drammatica, dove insegnava regia e recitazione televisiva. In quell’anno vinsi il concorso e vi entrai come allievo, per rimanervi tre anni. In classe con me c’erano Maria Paiato, Massimo Popolizio, Danilo Nigrelli, Nicoletta Braschi e tanta, troppa gente che ha smesso.
Le lezioni di Andrea all'epoca erano soprattutto teoriche - l'Accademia attraversava un periodo di forte crisi e non aveva le risorse per affittare le apparecchiature necessarie per le lezioni pratiche - e si svolgevano più o meno così: lui entrava in classe, si cominciava a chiacchierare, qualcuno si alzava e proponeva divedere insieme una certa scena che aveva preparato, la si recitava, la si discuteva... Oppure si parlava degli spettacoli che davano in quel momento a Roma - e che avevamo visto praticamente tutti -o di un film o di uno sceneggiato e Camilleri ci descriveva la metodologia di racconto che era stata usata.
Fu così che mi imbattei per la prima volta nell'incredibile capacità affabulatoria di questo individuo, che ci incantava nonostante la nostra non fosse proprio una classe di santarellini. Ci piaceva da morire fare lezione con lui perché ci mostrava l'eccezionale in ciò che noi reputavamo solo quotidianità. Ci faceva vedere come ciò che davamo per scontato potesse invece essere straordinario a patto di saperlo vedere, giudicare, apprezzare. Era capace per esempio di parlare per ore del suo vicino di cappuccino che quella mattina aveva "pucciato" il cornetto in maniera particolare. "Voi - ci diceva - vi accorgete che tutto attorno c'è una vita brulicante di esseri umani, di insetti... e che tutto ciò può essere assolutamente straordinario?". E ci raccontava che lui aveva imparato a coglierlo da ragazzino, quando si annoiava. Una cosa che, ahimé, ai ragazzi d'oggi non capita più. Ed è un peccato perché la noia ti spinge a cercare qualcosa per sconfiggerla. E quindi impari a osservare. E il modo in cui Camilleri cercava di farci osservare le cose mi ha trasmesso proprio questa curiosità per il mondo.
(...) Credo che una delle cose che piace di più dei suoi romanzi sia proprio questo modo assolutamente non convenzionale di leggere la realtà, questo gusto del paradosso, del trovare il particolare che altri non hanno visto, di riflettere con lo specchio che ha dentro di sé un lato mai scontato e mai convenzionale dell'oggetto che l'altro non riesce a vedere nella sua interezza.
(...) Trovavo inoltre fantastico che, nonostante allora fosse un personaggio ancora sconosciuto ai più, non facesse dipendere la propria autostima dal riconoscimento degli altri. Mi piace moltissimo questo modo di pensare: io valgo per quello che sono, al di là del riconoscimento che il mondo mi dà e se il mondo non me lo dà, non è detto che sia io a valere poco, può essere che sia il mondo a sbagliarsi. Non è insomma il successo a determinare la mia autostima.
Il mio incontro con il Camilleri scrittore risale invece a molti anni dopo. Girando in libreria vidi che questa piccola casa editrice siciliana - con una veste molto elegante e soprattutto con una carta piacevole al tatto - aveva pubblicato alcuni libri di Camilleri. Pensai: "Toh, Andrea ha cominciato a scrivere... che strano". Ne comprai due: uno sul commissario Montalbano, uno dei primi, e un romanzo storico, Il birraio di Preston. Lo feci più che altro per una forma di cortesia e di amicizia, nella speranza che quell'acquisto potesse in qualche modo andare a ingrossare il numero delle copie vendute. Li lasciai da parte per qualche mese, poi li cominciai a leggere. Il birraio di Preston mi piacque tantissimo, ma soprattutto mi fulminò quello sul commissario Montalbano. Mi ricordo che dissi tra me e me: "Questo è un personaggio meraviglioso!". Al punto che pensai anche di comprarne i diritti, ma all'epoca non avevo una lira e soprattutto non ero un attore famoso e quindi in grado di montare su di sé un'operazione del gene-re. Dovetti lasciar perdere. Ma perché mi piacque così tanto il commissario Montalbano? (...) Montalbano rappresenta certi valori che forse appartenevano più alla generazione dei nostri nonni, e per i quali non possiamo non provare una struggente nostalgia. Non voglio dire che ai loro tempi si vivesse meglio, si vive certamente meglio adesso, però in alcuni casi abbiamo buttato il bambino con l'acqua sporca. Abbiamo dato un colpo di spugna su certe cose senza pensarci troppo. E invece forse avremmo dovuto pensarci non due ma dieci volte. Di questi valori qui, che forse non esistono più, proviamo una nostalgia incredibile perché sappiamo che invece andavano preservati. Perché non vale la pena vendersi al primo venuto per un tozzo di pane, che può essere anche un posto in televisione ma sempre tozzo di pane è rispetto a quello che dovrebbe essere il pensare e l'agire di un essere umano.
Passarono un paio d'anni e venni a sapere che un piccolo produttore di Bologna aveva comprato i diritti e che di lì a poco ci sarebbero stati i provini per il ruolo di Montalbano. Al che dissi alla mia agente di allora, Carol Levi, la decana degli agenti italiani, che ricordo con grande affetto: "Anche se lo cercano alto, biondo e con gli occhi azzurri io voglio fare il provino". Ero - stupidamente - sicuro che avrei avuto quel ruolo. E lo ero perché avevo un'idea precisa di come avrebbe dovuto essere il personaggio e pensavo che questo fosse sufficiente. Dopo sei mesi di provini in cui il drappello dei pretendenti si era sempre più andato assottigliando arrivò la telefonata della mia agente: "Vogliono te, ce l'hai fatta". A quel punto telefonai a Camilleri e gli spiegai che non lo avevo chiamato fino ad allora perché non volevo dargli l'idea che cercassi il suo aiuto. Lui mi rispose che sapeva tutto, che il produttore lo teneva informato, che era molto felice per me e che, anche se in tutta verità lui pensava per Montalbano a un altro tipo di attore, con un'altra fisionomia, era sicuro che avrei fatto un ottimo lavoro. (...) Dopo la prima settimana di riprese telefonai a Camilleri e gli dissi: "Andrea, mi sento bloccato". E lui mi rispose: "Ti senti bloccato perché ci stai pensando, lasciati andare, lascia che l'attore che è in te, che ha lasciato sedimentare tutte le informazioni, agisca, emerga. Non mettere in mezzo il filtro mentale". Questo consiglio, che potrebbe sembrare una stupidaggine ma non lo è per niente, suggeritomi da quello che era stato il mio docente di recitazione, mi sbloccò.
Luca Zingaretti - Testo raccolto da Paolo Flores d'Arcais e curato da Ingrid Colanicchia (Stralcio pubblicato su Il Fatto Quotidiano, 26.7.2018)



Last modified Wednesday, August, 15, 2018