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Musica per Catarella, per Ciccina Adorno, per un piattone di triglie fritte
Musica delle sfere

Un invito a leggere i romanzi di Andrea Camilleri come una grande trama musicale



Cadenze

di Alberto Cantù

IL LEITMOTIV DI CATARELLA E UNA SICILIA SENZA TEMPO
Nei romanzi-partiture di Andrea Camilleri i righi musicali sono tanti e altrettanti i temi-personaggi. Ad esempio il surreale ma non troppo centralinista del commissariato di Vigata, Catarella, che ha un suo musicale Leitmotiv corredato di vari segnali, anch’essi ricorrenti, quali «Dottori! Dottori!» oppure «Signore e Questore». Il motivo conduttore-capo è l’immancabile e inarrivabile “pirsonalmente di persona” vero e proprio ritornello da Rondò brillante di Paganini: «La campanella» ad esempio. Su versanti opposti, altro pentagramma, nei libri che hanno per protagonista il Commissario Montalbano, è quello che echeggia e canta, sommessa, una Sicilia fatta di «ricordi e risonanze, pensieri e fantasie», per dirla con Hesse. La Sicilia del cuore e della memoria; un paese sospeso nel tempo anzi senza tempo e senza età, con le sue piazze quasi deserte, gli spazi ampi attraversati da una luce inimitabile che si fa cantilena modulatissima quanto scabra: «una Sicilia sparita, dura e aspra, una riarsa distesa giallo-paglia interrotta di tanto in tanto dai dadi bianchi delle casuzze dei contadini» (Guardie e ladri in Un mese con Montalbano; Mondadori).

BALLETTI FUTURISTI UNO (CICCINA ADORNO)
L’altra eventualità musicale di Camilleri è invece strumento per concertare i rumori con un crescendo di comicità irresistibile: talora da melodramma giocoso, in altri casi da balletto futurista. Appunto il caso (Meglio lo scuro) della signora Ciccina Adorno, cugina di Clementina Vasile Cozzo, l’anziana maestra paralitica che aveva aiutato Montalbano in alcuni casi «e cui il commissario voleva bene». Ciccina Adorno ovvero «una cinquantina grassissima che sin dalle prime parole si rivelò essere vucciriosa, vale a dire una che invece di parlare usava un tono di voce parente stritto di un do di petto». Ciccina si presenta. «Fu, più che altro, una via di mezzo tra l’ululato di una sirena da nebbia e quella di un lupo con la panza vacante da una mesata». Ciccina telefona, all’una di notte, al Commissario che – «Pronto, amore» - pensa sia Livia, la sua donna, a chiamarlo (da Boccadasse, Genova). «All’altro capo ci fu silenzio, poi scoppiò una sorta di truniata da fine del mondo che l’assordò. Tenendo scostato il ricevitore dall’orecchio, capì che si trattava di una risata. E che quella risata non poteva che appartenere a Ciccina Adorno, non solo vucciriosa ma macari insonne»: e che deve assolutamente parlargli, sùbito (si incontreranno in casa della cugina; «Prima di nesciri, si infilò a fondo nelle orecchie due batufoli di cotone»).
L’incontro notturno è un capolavoro di calcolata, esplosiva comicità nella forma - prediletta - di balletto. «Dopo la prima orata che la signora Ciccina parlava, gli inquilini del piano di sopra si misero a tuppiare nel soffitto. A essi si aggiunsero quelli del piano di sutta che principiarono a tuppiare dalla parte del pavimento. Appresso ancora altri tuppiarono. A questo punto la signora Clementina raprì uno sgabuzzino e ci assistimò dintra il commissario e la cugina».

BALLETTI FUTURISTI DUE: CATARELLA
Ancora un piccolo balletto, fratello minore di quello - magistrale – ne La voce del violino: l’incidente d’auto fra Gallo, «che pativa del complesso di Indianapolis», e la gallina che decide di tagliargli la strada. Balletto il quale torna concentrato nel Giro di boa: «La BMW fece un balzo, latrò, sorpassò, prosegui, si bloccò, sbandò si giro su se stessa sfruttando la sbandata». Giro di boa dove troviamo anche un «passo a due» fra Catarella che «aveva un’ariata tale che una marcia trionfale sarebbe stata il sottofondo ideale» e l’ignaro Mimì Augello, il vice di Montalbano. «Catarella gonfiò il petto e lanciò una specie di barrito. Dalla càmmara allato si apprecipitò allarmato Mimì». Eccolo il balletto di Catarella, con relativo Motif secondario. «Ah, dottori, dottori, vossia devi assapire che quanno che io canto, porto danno. Sugnu accussi stonnato che appena che mi sentono i cani baiano. La voli che ci cuntu una cosa? Una vota ero in nella macchina di me, cuscino Pepè e tutto ‘nzemmula mi pigliò gana di cantari. Appena raprii vucca Pepè si scantò, sfagliò, stirzò e andammo a catafotterci in un vallone. Pepè si rumpì malamenti quell’osso che sta proprio in cima al culo, rispetto parranno. Come si acchiama? Ah, sì, l’osso sacrosanto».

(PICCOLO) BALLETTO FUTURISTA TRE: LA SIGARETTA
Altro esempio, sempre dal Quarto segreto. Montalbano si «addrumò una sigaretta, ne offrì una a Catarella, gliela accese, tornò a taliare verso il cantiere. Allato a lui, improvvisa, ci fu un’esplosione. Si voltò di scatto. A esplodere era stato Catarella che ora, addivintato viola in faccia, tentava disperatamente di tirare il sciato. Stava letteralmente assufficando. Montalbano, preoccupato, gli desi qualche manata darré le spalle. Finalmente Catarella parse ripigliato». Catarella si giustifica come il personaggio di una commedia rossinina: «il fufufu mumufufufu». Ovviamente non fuma. «E allora perchè accettasti la sigaretta?». Risposta, con Motif, di ferrea surrealità: «Per bidienza, dottori».

QUASI UN CONCERTATO ROSSINIANO
Una sorta di concertato rossiniano, da comique absolu nel gioco degli equivoci, si dispiega nel Giro di boa, cantato ossia raccontato «fuori scena». È il seguente.
“Ferma il giornalista!” ordinò, con voce arragatata, a Catarella.
Mentri s’assittava e s’asciugava il sudore della fronte, sentì che fora si stava scatinanno un burdellu. Qualichidunu faciva voci (doveva essere Catarella):
“Fermati Ponzio Pilato!” [Catarella; recte, Sozio Melato: appunto il giornalista; N.d.R.].
Un altro diciva (doviva essere il giornalista):
“Ma che ho fatto? Lasciatemi!” Un terzo ne apprufittava (chiaramente un cornuto di passaggio):
“Abbasso la polizia!’.
Finalmente la porta dell’ufficio si raprì con un botto [come al solito a Catarella è «sciddricata» la mano; N.d.R.] che visibilmente atterrì il giornalista apparso sulla soglia riluttante, spinto da darré da Catarella. “Lo pigliai, dottori!”
“Ma che succede? Non capisco perché”. E l’usuale coda. “Mi scusi, signor Melato. È stato un equivoco, si accomodi. Uno spiacevole equivoco”.

STUPEFAZIONI ACUSTICHE
La terza, e più affascinante, «via» musicale di Camilleri sta nell’attenzione stupefatta e vivissima alle vibrazioni acustiche. Nello svelare il mistero che la vibrazione acustica può nascondere e che va scoperto, proprio come si deve risolvere un indagine. Sta dunque nella particolare sensibilità al suono e al silenzio.
Eccone un esempio, tratto ancora da Un mese con Montalbano (il racconto La sigla). «Alla luce della torcia elettrica i sorci scappavano scantati da tutte le parti. Tirava un forte vento friddo e l’aria, passando attraverso il fasciame sconnesso, produceva in certi momenti un lamento che pareva di voce umana». Altri modi d’essere dell’orecchio ipersensibile del Commissario (nel Giro di boa): «Il mare si sentiva appena, come il respiro di un picciliddro»; rimando al «picciliddro nivuro che poteva aviri massimo sei anni» della cui tragica fine Montalbano si sente responsabile per non avere saputo leggere la ricerca d’aiuto, la «dispirata domanda nell’occhi».
Lo cerca: sono sbarcati centocinquarita clandestini e un pullman li aspetta col motore acceso; il piccolo, in preda al terrore, s’è andato a nascondere scivolando fra le gambe di quattro adulti. Montalbano «attisando le grecchie, al di là della rumorata che arrivava dalla banchina, come una risaccata fatta di vociate, chianti, lamenti, biastemie, colpi di clacson, sirene, sgommate nitidamente percepì l’ansimo sottile, l’affanno del picciliddro che doviva trovarsi ammucciato a pochi metri». C’è anche, in Camilleri (nel suo alter ego Montalbano), una ipersensibilìtà al rumore che fa il paio con la metereopatia di cui il commissario patisce ancora più fortemente. Quella per cui cielo coperto e minaccia di pioggia gli provocano un irriducibile «umore nivuro». Ancora Un mese con Montalbano: Tocco d’artista. «Lo squillo del telefono non era lo squillo del telefono, ma la rumorata del tràpano di un dentista impazzito che aveva deciso di fargli un pirtùso nel cervello». Oppure (da Il ladro di merendine, Sellerio) la faticosa salita a piedi carica di sacchetti della spesa, di “una donna sulla cinquantina, la gambe parevano tronchi d’albero”. «Soffiava dalle nasche come un toro infuriato». “Meglio lo scuro”, dove viene descritta una casa di riposo superlusso. «Pareva un albergo a dieci stelle, se mai ce n’erano. Dovunque aleggiavano fruscianti monache. Un ascensore grande quanto una cammara li portò al terzo e ultimo piano. Sul corridoio sparluccicante si aprivano una decina di porte. Da una veniva un lamento dispirato e continuo, da un’altra la musica di una radio o di una televisione, da una terza un’esile vecchia voce femminina che cantava «C’è una chiesetta, del mondo amor/ nascosta in mezzo ai fior... ». Suono e silenzio - stavolta con angolazione parodistica - e ancora nel Quarto segreto. Montalbano aspetta vicino a due «accrocchi scoperti» (ex cabine) «che se devi telefonare mentre piove t’assammari». Ad un apparecchio «stava parlando una nìvura e faceva suoni come una pazza in una lingua incomprensibile. All’altro ci stava un viddrano sittantino con la coppola che teneva il microfono incollato alla grecchia e non parlava, non diceva né ai né bai, ascutava solamente. Doppo cinque minuti, mentre le vociate della nìvura si facevano sempre più arraggiate, il viddrano disse “Boh” e continuò ad ascutare».
Ancora silenzio (Giro di boa). «La luna faceva jorno, il silenzio era tanto da pigliare scanto, manco i cani abbaiavano». Dopo una rivelazione. «Tutto sì fermò per un attimo, per un attimo andò via macari il confuso sottofondo sonoro del mondo».

MUSICA DELLE SFERE
Musica, per Camilleri, può essere anche la «parentesi paradisiaca» che i piatti di Calogero, il «proprietario-coco-cammareri» dell’omonima trattoria-sacrario (non a caso, trattoria San Calogero) possono procurare. Cibi che Salvo assume in un religioso silenzio: meglio seduto al tavolo da solo; e se ci sono altri commensali, che tacciano durante il rito supremo. Ancora Il quarto segreto. «Si sbafò un piattone di triglie fritte arriniscendo a raggiungere una concentrazione da bramino indù (...) con l’esclusione totale di ogni altro pinsero o sentimento. Persino la rumorata esterna di macchine e voci e radio e televisioni al massimo volume fu capace di scomparire, creandosi una specie di bolla di assoluto silenzio». (...) Ma «appena fora dalla porta della trattoria San Calogero rischiò di essere scrafazzato da un auto in corsa, la scansò a malappena saltando sul marciapiede» (mentre) l’armonia tra lui e il suono delle sfere celesti si era spezzato di colpo. E’ (e viene a spezzarsi) la «Musica delle sfere» di cui discettarono i Pitagorici. Quella - dicevano - prodotta dal ruotare degli astri, dei corpi celesti secondo leggi numeriche e proporzioni armoniche. Una musica considerata talmente alta, nel riflettere l’armonia dell’universo, da risultare inudibile ad orecchio umano. Anche per Camilleri, dunque, memore di un proverbio della bassa latinità («la musica che non si sente è più bella di quella che si sente»), il silenzio è - può essere - il suono supremo. Questo silenzio supremo è momento paradisiaco però transitorio: del tutto transitorio. Che a spezzare basta la «scrafazzata» di un auto in corsa, basta un sussulto improvviso della vita, basta il cielo che, a tradimento, si copre di nuvole. E allora valla a ricomporre l’armonia fra sé e il suono delle sfere.

(pubblicato su Cadenze, n.5, 12.2004-02.2005).



Last modified Wednesday, July, 13, 2011