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Boccaccio - La novella di Antonello da Palermo

Una novella che non potè entrare nel Decamerone



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 7,20
Pagine 62
Data di pubblicazione 30 marzo 2007
Editore Guida
Collana Autentici Falsi d'Autore


Il maestro Andrea Camilleri diventa il nuovo falsario della prestigiosa collana “Autentici falsi d’Autore” con una novella di Boccaccio. In circostanze misteriose infatti il maestro è venuto in possesso di un volumetto, di una sconosciuta novella che forse doveva far parte del famoso “Decameron”. Sembra che nel 1351 Boccaccio fosse stato inviato come ambasciatore nel Tirolo e in Baviera meridionale per convincere Ludovico di Baviera ad allearsi con i fiorentini e che in quella occasione si fosse portato con sè proprio questa curiosa novella. E quest’ultima è stata composta due anni prima del viaggio o per quella occasione? E in quel caso a che scopo fu scritta? E perchè solo oggi giunge al lettore? Come è arrivata a Camilleri? Quante domande... avremo altrettante risposte?


Questo libro è idealmente dedicato a Giovanni Bovara, studioso del “Decamerone”, che poco prima di morire (1916) per le ferite riportate nel corso della prima guerra mondiale, scoprì fortunosamente una sconosciuta novella del Boccaccio, in seguito nuovamente dimenticata, che qui viene pubblicata per la prima volta. È molto probabile che la novella sia stata portata al Nord dallo stesso Boccaccio, quando nel 1351 era stato inviato in Tirolo come “ambaxiator solemnis” di Firenze, per farne dono propiziatorio a qualcuno.
Qui Camilleri, oltre a raccontare come venne in possesso di una copia manoscritta dell’originale autografo, chiarisce anche le probabili ragioni che mossero Boccaccio a escludere questa novella, in origine forse destinata alla Giornata Terza del "Decamerone", dalla raccolta definitiva.


Come Antonello Marino da Palermo, invaghitosi di Iancofiore, moglie del medico Pietro Pagolo Losapio, fingendosi di grave infermità afflitto e facendosi dal medico ospitare e curare, riesce a giacersi più fiate con la donna amata...

...Poscia, nel silenzio, la giovane, che chiuder occhio non potea a causa della presta ritirata del marito, cominciò a udire Antonello nella camera allato che in niun modo rattemperare le querimonie potea che sempre più forti gli uscieno a causa del foco che parea divampargli ormai nel corpo tutto e assai si commosse.
E volendo in qualche modo la sista sua placare volgendo altrove il pensiero, dal letto alzossi senza temenza d’isvegliare il marito, come che quello una volta pigliato sonno per niuna cagione al mondo svegliavasi. Acceso un doppiere, dalla camera uscissene e andossene a poggiar l’orecchio alla porta della camera dell’infermo.
Allora l’udi che implorava: Acqua! Acqua! Implorava il giovane un lago dentro al quale raumiliare il ninferno che lo possedea. Divisando però Iancofiore che l’infermo assetato fosse e bere volesse, riempita una coppa, entrossenne nella camera di lui senza manco bussare.
Il giovane, che tenea scostate le trabacche del letto onde più aria poter pigliare, vedendola arrivare, capì che la sua buona ventura sì lungamente attesa erasi di presso, e ne provò tal contento che il core sentì salirgli in gola, ma saviamente rimasesi boccone come stava, col viso premuto contro l’origliere, timoroso che se messo si fosse in altra posizione, il lenzuolo mutar si potea in tenda.
Iancofiore, posato il doppiere, tesegli la coppa con l’acqua e dolcemente dissegli: Vivìti.
Antonello, che muoversi non ritenea saggio, dissele con boce stenta: Aiutatemi voi. Allora Iancofiore, nel vederlo sì doloroso, soavemente con una mano sollevogli la testa e portò la coppa alle sue labbra. Bevuto ch’ebbe a rilento tutta l’acqua della coppa, sia per la sete sia per farsi da lei ancora tenere il capo, Antonello poscia disse: Aiutatemi, madonna, ve l’ prego, su di un fianco a voltarmi ch’io son sì tristo che da sol non possolo.
Egli divisava che nella nova posizione, nulla dello stato suo vedere si sarebbe potuto.
Posata la coppa, Iancofiore con ambo le braccia forte lo strinse onde aiutarlo mentre Antonello che avea in sul viso le poppe di lei e forte l’aulenza della pelle sua sentendo, per poco non più si rattemperava e se ne volava da solo in paradiso. Allora Iancofiore, sedutasi a piè del letto, domandogli di quale infermità sofferisse. Tacquesi Antonello e coprissi il viso con tremante mano. Caramente Iancofiore ancora domandogli ed egli, in finto pianto rompendo, dissele:
O tristo me! O me mischino quali sbintura mi colse! Assà assà mi vrigogno a dirvela questa sbintura mia!
E sì dicendo, la mano dal viso levossi e la tese ver la giovane quasi a conforto cercare. La quale subitamente la prese e strinsela, parimenti sentendosi in su gli occhi le lacrime venire.
Ancor disse Antonello: No, no, non posso! Voi di certo riderete di me!
Ella allora più caramente e più forte la mano stringendogli, disse: Quali vrigogna ci può essiri in una sbintura? Suvvia, dite.
E Antonello manifestolle la sua finta sventura, or movendo il capo ver l’origliere come la faccia ad ascondere or chiudendo gli occhi come per somma vergogna e al termine disse:
E così esso restato m’è non altramente che marmo e il compenso del marito vostro a nulla puote! Ohimè infelice! Mai più cogliere m’è dato il piacere d’amore!
E nel mentre che questo dicea piagnendo, con assai forza di volontade riuscissene per poco a rattemperar alquanto lo stato suo, si che, lasciata la mano che Iancofiore gli tenea e fingendo difficoltate molta, coricato misesi in su la schiena, sempre gli occhi chiusi tenendo, timoroso che al solo vederla tutta la fatica fatta andasse nulla.
Allora Iancofiore, mossa da pietate grandissima, simplicissima giovane com’era, una mano allungò brancolone e, il posto giusto trovato, dopo averlo alquanto tentato, sopra soavemente infine ve la posò domandando: Vi duole?
A sentir il dolce peso della mano, a momenti Antonello venia meno e parola non riuscì a profferire alcuna mentre tutto bagnavasi di sudore per lo sforzo di rattenere doversi. Iancofiore, sì vedendolo, si credette che lo sventurato giovane non le rispondea per troppo dolore e amorevolmente prese a carezzargli la parte inferma. Sì che Antonello più non potè rattenersi e lasciò avvenire da sotto il lenzuolo la resurrezione della carne.
La quale Iancofiore guardando meravigliata disse: Sta cosa ca io vi vio che accussì si pigne in fora non parmi marmo....

Dizionario
Assà assà = assai assai; Brancolone = a tastoni; Divisare = pensare, decidere; Doppiere = portacandele; Origliere = cuscino; Rattemperarsi = controllarsi; Raumiliare = attenuare, placare; Sista = agitazione, eccitazione; Sbintura = sventura; Temenza = timore; Trabacche = tende del letto


(Stralcio pubblicato in anteprima sul Corriere della sera, 26.3.2007)





Prezzo € 5,00
Pagine p. 49
Data di pubblicazione 15 novembre 2018
Editore Guida
Collana Falsi Originali



Last modified Saturday, November, 17, 2018