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Oltre il buio della mafia



Autore Alfonso Bugea
Prezzo E 2,00 (in allegato al Giornale di Sicilia)
Data di pubblicazione 30 novembre 2007
Editore Edizioni Concordia


Prefazione di Andrea Camilleri
Con una riflessione del vescovo di Agrigento Carmelo Ferraro

Bugea racconta la metamorfosi di un giovane boss di Porto Empedocle che da killer spietato diventa collaboratore di giustizia.
La storia di Alfonso Falzone, dall’iniziazione mafiosa con la santina, agli omicidi, il sequestro Di Matteo, l’arresto, la resa e il pentimento per dare un futuro alla figlia. Oggi da una località segreta lancia un appello ai mafiosi e ai latitanti: “Basta seminare lutti, abbandonate Cosa Nostra prima che sia troppo tardi!”. Il pentito Falzone si confessa al giornalista, spiega la vicenda che lo ha portato a diventare mafioso e indica la “terza via” per uscire da Cosa Nostra e ricominciare un’altra vita.
“Questa testimonianza ha un tono toccante, inedito, di sconvolgente sincerità, Bugea osserva la mafia da un punto di vista tutto suo, affascinante e particolare”, scrive nella prefazione Andrea Camilleri. “Il racconto sulla vicenda di Falzone, aggiunge Camilleri, “è l’indagine sull’uomo”.
Emblematiche le parole di Falzone: “Ero disoccupato e cercavo un lavoro. Mi venne proposto di far parte della mafia, scelsero me perché sapevano che mi piaceva farmi rispettare. Non sono stato solo un egoista, di più: ho tradito la fiducia dei miei genitori. Racconto la mia storia perché voglio evitare che altri ragazzi ripetano i miei stessi errori, devono sapere che considero la mia vita un fallimento. Invito i mafiosi a ravvedersi: non è vero che da Cosa Nostra si può uscire solo da morti o se arrestati. Ora c’è la legge per diventare collaboratori di giustizia che consente di saldare i propri debiti con lo Stato e dare un futuro alla propria famiglia. La gente deve imparare a reagire alla mafia, dopo i miei omicidi io vedevo un paese rassegnato. Ho ucciso, fatto sequestri e violenze: non era questo che volevo per la mia vita”.
“Una storia amara e lucida - riflette il vescovo Ferraro - c’è il disvelamento dei misteri di una coscienza in mezzo a un tunnel e la scoperta di una terza via che dovrà essere percorsa, se si vuole uscire da una cultura di morte”.

Alfonso Bugea, già autore di “Cosa Muta, la mafia del silenzio” e “Senza Storie”, è il responsabile dell’ufficio di corrispondenza di Agrigento del Giornale di Sicilia.


Prefazione
di Andrea Camilleri

Quando ero ragazzo, di contribuire a combattere la mafia assieme alle forze dell’ordine non passava per la testa a nessuna persona “perbene”.
Le persone perbene, o meglio “civili” come si usava dire allora, la mafia semplicemente la ignoravano. Di mafia non se ne doveva parlare a casa, se per caso sotto alle tue finestre avveniva un omicidio di mafia, si chiudevano bene le finestre. Nominare la mafia in famiglia era come parlare di diarrea durante un pranzo di gala. Leggendo sul giornale di un assassinio mafioso, tutt’al più si commentava: “fatti loro”.
Eppure tantissimi di quei buoni borghesi (commercianti di zolfo, esportatori di cereali, piccoli proprietari terrieri, ecc.) se c’erano da risolvere questioni d’interessi conflittuali o fatti personali che non si volevano far conoscere agli uomini di legge, tranquillamente facevano ricorso al capomafia locale il quale magnanimamente interveniva e da quel suo intervento sapeva come trarne beneficio.
Questo accadeva anche durante il periodo fascista e lo dico perché il regime si era vantato (e molti ci avevano creduto) di avere sradicato la mala pianta: il capomafia se ne stava invece sempre seduto al caffè come prima del fascismo e continuava a dare udienza ai postulanti.
Con lo sbarco degli americani, le cose cambiarono in peggio: gli americani pregarono gentilmente il capomafia di spostarsi dal caffè al municipio, di passare dalla comune sedia di ferro alla poltrona di primo cittadino. Fu all’incirca in quel periodo che i buoni borghesi cominciarono con stupore ad avere il sospetto che i fatti mafiosi non fossero più “fatti loro”, ma fatti che riguardavano tutti, che più o meno direttamente li coinvolgevano tutti. Ma dalla presa di coscienza al rifiuto passarono ancora molti (troppi) anni, tutto il tempo necessario alla mafia per incorporarsi saldamente nella società. La strategia delle uccisioni di magistrati, poliziotti, carabinieri, giornalisti, uomini politici, che culminò nelle mattanze delle stragi, iniziarono però nelle coscienze non più un processo di rifiuto ma addirittura di rigetto.
La mafia, dai siciliani, è stata per decenni percepita alla stregua di un’immagine sfuocata dove non si capiva se la figura umana rappresentata fosse un uomo o un ectoplasma. Il procedimento di messa a fuoco è stato lentissimo. E alla fine si è capito che si trattava della figura di un uomo, in carne e ossa, di un volgare assassino, con un mitra in mano.
Ma che può capitare nell’animo di una persona veramente perbene quando, zoomando sul volto di quell’assassino col mitra, scopre che si tratta di un volto a lui ben noto?
E’ quello che, in sostanza, è capitato ad Alfonso Bugea, l’autore di questo libro. Egli scrive:
Le cose cambiano quando vieni a sapere che quel tizio che ha fatto stragi, sparso terrore e panico ha gli occhi, le braccia, la mente, i capelli, il nome e il cognome dei tuoi vicini di casa o dei tuoi stessi parenti. Solo allora capisci concretamente che la mafia era anche nel tuo paese ed è davvero cresciuta accanto a te. I dubbi si moltiplicano, vuoi capire e ti prende la voglia di sapere.
Bugea s’imbatte, tra le foto segnaletiche di alcuni arrestati per mafia, in quella del suo buon conoscente e compaesano ed ex commilitone Alfonso Falzone e la sua prima reazione è di totale incredulità, pensa a un errore. Per lui è impossibile che Alfonso Falzone sia quello spietato killer descritto nel rapporto di polizia.
E Bugea sarebbe rimasto in quella convinzione se Falzone stesso, a un certo punto, non si fosse deciso a collaborare con la giustizia.
Bugea da anni scrive di mafia. Ma io credo che osservi la mafia da un punto di vista tutto suo, affascinante e particolare. Certo che lo interessa il problema sociale rappresentato dalla mafia, certo che lo interessa scoprire la struttura di un clan mafioso, ma quello che soprattutto l’appassiona è l’indagine sull’uomo mafioso, sulla sua psicologia, sui suoi sentimenti, sui suoi pensieri privati.
Naturalmente non può lasciarsi sfuggire l’occasione di “indagare” sull’animo di Alfonso Falzone, un uomo col quale ha avuto dimestichezza ma rispetto al quale viene a trovarsi come un astronomo che sa tutto della parte illuminata della luna e ne ignora invece tutto della parte oscura.
Il risultato degli incontri tra Bugea e Falzone è in questo dialogo sempre interessante, talvolta coinvolgente e spesso francamente stupefacente (non un’intervista quindi) di due persone che hanno avuto in comune tratti del loro passato e sanno perciò come parlarsi, come intendersi. Ed è per questo che la testimonianza di Falzone, attraverso l’intelligente maieutica di Bugea, ha un tono così toccante, inedito, di sconvolgente sincerità.



Last modified Wednesday, July, 13, 2011