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Pagine scelte di Luigi Pirandello



Autore a cura di Andrea Camilleri
Prezzo E 12,00
Pagine p. 556
Data di pubblicazione 10 gennaio 2007
Editore Rizzoli
Collana BUR Scrittori Contemporanei
e-book € 8,99 (formato epub, protezione Adobe DRM)


Un'antologia del tutto personale, nata da un debito affettivo

«Ho visto, a dieci anni, arrivare a casa mia, all'improvviso, Luigi Pirandello. Nel 1935, l'anno prima che morisse. Indossava la divisa di Accademico d'Italia, e io lo credetti un ammiraglio in alta uniforme. "Cu si tu?" mi domandò in dialetto. "Nenè Camilleri sugnu" risposi. "Ah" fece, passandomi per un attimo la mano sulla testa. E poi: "C'è tò nonna Carulina?". "Sissì." "Chiamamilla. Dicci ca c'è Luicinu Pirannellu." Andai nella stanza dove mia nonna dormiva (erano le tre di un pomeriggio afoso) e la svegliai: "Nonna, c'è un ammiragliu ca si chiama Luicinu Pirannellu e ti voli parlari". Mia nonna emise una specie di gemito e saltò giù dal letto. Andai nella camera dei miei genitori. "E vinuto un ammiragliu ca si chiama Luicinu Pirannellu."» (Andrea Camilleri).

Un incontro decisivo, quello tra Luigi Pirandello (1867-1936) e Andrea Camilleri (1925), geniali autori siculi, entrambi migrati verso una notorietà mondiale. Camilleri sceglie dall'opera di Pirandello un ricco campionario di testi, operando secondo un criterio filologico e affettivo: c'è un cordone ombelicale che lega i due geniali scrittori. E di questo rapporto privilegiato Camilleri parla nella lunga, bellissima introduzione, che è insieme un saggio critico e una lettera d'amore.


«Era sordo alla poesia moderna»
(brano dell'introduzione, dal Corriere della sera, 8.1.2007).

Una vistosa omissione che il lettore subito noterà è quella di Pirandello poeta. Le raccolte di poesie di Pirandello sono: "Mal giocondo" (1889), "Pasqua di Gea" (1891), la traduzione delle "Elegie renane" (1895) e delle "Elegie romane" di Goethe (1896), "Zampogna" (1901), "Fuori di chiave" (1912). Ma poesie ce ne sono moltissime altre (anche poemetti come "Laòmache" o "Pier Gudrò"), che si possono leggere nel volume "Saggi, poesie, scritti varii" a cura di Manlio Lo Vecchio-Musti (1960). Per quanto il curatore sostenga che «nelle poesie è dato trovare una più immediata effusione dei sentimenti e dei pensieri espressi da Pirandello nella sua opera drammatica e narrativa», a me non pare che le cose stiano esattamente così.
Non intendo qui mettere a raffronto l'opera poetica di Pirandello, che copre un arco di ventitré anni, con quella di altri poeti che nello stesso periodo operarono. Per quanto bisogna pur dire che, quando Pirandello esordisce, Baudelaire, Mallarmé e Verlaine sono morti ma tutt'altro che sepolti, che Rimbaud da anni ha concluso il suo ciclo creativo, che la prima parte del "Libro d'ore" di Rilke appare nel 1899, che Hofmannsthal... Inutile andare avanti. Pirandello mostra una cocciuta sordità o un deciso rifiuto. Anche di fronte a certe innovazioni metriche che aprono la strada alla poesia contemporanea. Sembra che, nella poesia, egli viva in un tempo antecedente a se stesso. I suoi riferimenti sono Carducci e, in parte, Rapisardi. E quando, come in Zampogna, sceglie un linguaggio meno aulico, i suoi modelli diventano Graf e Betteloni, poeti molto, ma molto minori.
Sordità e rifiuto che si dimostrano addirittura inspiegabili nel momento in cui si confronta il Pirandello poeta con il Pirandello narratore e autore drammatico. Basterà, credo, un solo esempio. Nel 1897 egli pubblica una breve novella, "La paura". Dal racconto dell'amante, una donna apprende che il marito è venuto a conoscenza del suo tradimento. Ora il marito sta per tornare, e mentre nell'amante prevale la paura, nella donna i sentimenti dominanti sono la disillusione e la speranza di rimettere ordine nella propria vita. Tutto qui: ed è, tra l'altro, uno straordinario esempio di suspense. Poi, quando la novella verrà messa in scena da Martoglio nel 1910 col titolo "La morsa", Pirandello aggiungerà altre scene: il ritorno del marito, il suo interrogatorio che trasforma la moglie in una prova vivente del tradimento, il suicidio di lei. Una conclusione in linea con il teatro borghese dell'epoca. Ma la novella originaria non è per niente in regola con la narrativa dell'epoca. Basti pensare alla mancanza di finale. Se mettiamo a paragone "La paura" con le poesie di "Zampogna", vediamo subito l'enorme divario tra le due scritture.
Andrea Camilleri



Last modified Wednesday, April, 11, 2012