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Le soldatesse



Autore Ugo Pirro
Prezzo L. 15.000
Pagine 163
Data di pubblicazione 2000
Editore Sellerio
Collana La memoria



Le soldatesse, primo romanzo di Ugo Pirro, fu pubblicato nel 1956. Per il suo carattere di oggettiva testimonianza di una avventura grottesca -il viaggio di un ufficiale ventenne in compagnia di un «carico» di prostitute destinato ai soldati italiani dell'Armata Sagapò- il racconto veniva a incastrarsi dentro un più grande e tragico sentimento di grottesco: il ricordo dell'allora ancora recente aggressione, inutile e vergognosa, dell'Italia fascista alla Grecia. Di quel grande grottesco finiva col diventare in qualche modo il simbolo, e l'espressione di un atto di riparazione e di amore verso un popolo che a Pirro -e ai tanti «conquistatori» italiani- era sembrato generoso e amico. Così il libro fu accolto con favore e fervore, e divenne per alcuni un testo su cui fermarsi a riflettere. Un clima che Andrea Camilleri rievoca, presentando ai lettori di oggi questo diario di un episodio di guerra, e vi rileva anche, però, a tanti anni di distanza, un motivo letterario ulteriore, rispetto al semplice atto di testimonianza storica e morale: «Il lungo viaggio dell'autore che accompagna per le strade di una Grecia devastata un trasporto di prostitute diventa un lungo viaggio dentro la coscienza, la progressiva approssimazione al baluginare di alcune certezze, di alcune verità. In parte, su quel romanzo di formazione di Pirro mi formai anch'io. Imparai, tanto per dirne una e in forma che certamente parrà ingenua, che tutto può essere scritto in un romanzo, solo che quel tutto va saputo scrivere muovendo dalla necessità di scriverlo. Altre cose mi parve di avere imparato allora da questo libro e sarebbe lungo andarle a cercare, perché ormai entrate in circolo».


Nota
Questo libro, che segnò l'esordio letterario di Ugo Pirro, venne pubblicato nel 1956. Non è comune, soprattutto in Italia, che il romanzo di un esordiente sia riproposto a quarantacinque anni di distanza, tanto più che non si tratta né di un unicum (alla Alain-Fournier, per intenderci) né di una di quelle opere nate da un particolare stato di grazia giovanile che poi la maturità s'ingegna a cancellare: Ugo Pirro ha infatti continuato con risultati di alto livello la sua carriera di narratore (di quella di sceneggiatore è perfino superfluo parlare).
Allora perché quando Elvira Sellerio, del tutto casualmente, mi fece sapere che avrebbe ristampato Le soldatesse, mi venne immediato di domandarle se era possibile accompagnare il libro con una mia prefazione, postfazione, nota, qualsiasi cosa insomma che potesse permettermi un'attestazione, una testimonianza, una partecipazione? La signora Sellerio, un poco stupita, acconsentì. Stupita perché conosce la mia tendenza a sfuggire a impegni di questo tipo. Poteva darsi una sola spiegazione, ma non ne ebbe conferma:
«Tu sei amico di Ugo Pirro?».
«Credo d'avere scambiato con lui qualche parola una trentina d'anni fa».
Allora perché? La domanda me la posi quasi nel momento stesso nel quale chiedevo di scrivere qualcosa sulle Soldatesse. Certo, del libro avevo buona memoria: l'avevo letto al tempo della sua uscita in libreria e il successivo film di Zurlini aveva rinfrescato il ricordo. Un gran bel racconto, sicuramente, ma questo non bastava a spiegare il mio slancio.
Me lo sono riletto e a poco a poco il motivo si è chiarito nel progressivo tornare alla luce delle ragioni che allora mi fecero amare quel romanzo e che ancora, evidentemente, sopravvivono. Dunque, un tre anni avanti che il libro di Pirro fosse pubblicato, in Italia era accaduto un fatto che aveva messo a rumore il paese. La rivista «Cinema nuovo», diretta dal critico e storico cinematografico Guido Aristarco, aveva pubblicato un soggetto dello sceneggiatore Renzo Renzi intitolato «L'Armata s'agapò». Un quadro non certo edificante del comportamento delle truppe italiane in Grecia, di come ufficiali di ogni grado e truppa si approfittassero delle condizioni di estrema indigenza della popolazione, di come le donne, per sopravvivere, fossero costrette a prostituirsi, di come tra gli italiani sorgessero rivalità e conflitti per il possesso esclusivo di qualcuna di quelle donne e di come, di tanto in tanto, nascessero tra soldati e donne greche anche storie d'autentico amore. Un generale a riposo o un militare indignato dal racconto di Renzi denunziò la rivista e bastò poco, nell'Italia di allora, perché Aristarco, nella qualità di direttore responsabile, e Renzi, in quanto autore, venissero imputati di «vilipendio delle forze armate». A quest'assurdità, se ne aggiunse un'altra: il tribunale militare avocò il processo, dato che tanto Renzi quanto Aristarco erano in età di poter ancora prestare servizio militare. Erano, come dire, militarizzabili. E quindi vennero trattati da soldati: in concreto, furono arrestati e tradotti in una fortezza. Ci fu una mezza sollevazione popolare. Poi la faccenda, tra ridicola e tragica, finì in una specie di bolla di sapone. Tre anni appresso, apparve Le soldatesse, libro nel quale veniva sostanzialmente trattato un tema assai simile a quello di Renzi. Eppure qui non insorse nessun generale a riposo, anzi il libro fu assai bene accolto dalla critica. Insomma, non parve costituire un'offesa alle forze armate, nessun sensibile militare, a riposo o no, ebbe a risentirsene. In Italia, in tre anni, le cose non erano cambiate e non sarebbero cambiate ancora per molto tempo. Nel 1962 io stesso, per uno spettacolo che non piacque al Procuratore capo di Napoli, mi guadagnai una denunzia per « vilipendio delle forze armate », anche da me si presentò un ufficiale dei Carabinieri a domandare l'esibizione del foglio matricolare perché la Procura militare voleva sapere se era in grado d'intervenire. Ebbi la fortuna di poter dimostrare che non ero più «militarizzabile». Fui comunque prosciolto in istruttoria. E non si può nemmeno sostenere che l'intervento, chiamiamolo così, censorio fosse allora rivolto contro un film (che avrebbe avuto maggiore diffusione di un libro). Era contro un soggetto, uno scritto che, paradossalmente, essendo stato pubblicato da una rivista specializzata, aveva avuto di certo meno lettori del romanzo di Pirro.
Continuando a ragionarci sopra, arrivai a darmi una risposta che ritengo ancora valida a quasi mezzo secolo di distanza. E cioè che il libro di Pirro si era da sé stesso reso inattaccabile, non per attenuazione dei toni o per avere astutamente glissato su argomenti particolarmente sgradevoli, ma per le sue intrinseche ed evidenti qualità. La prima delle quali era l'indubbio rifiuto di ogni atteggiamento o presa di posizione che avessero carattere moralistico. Il narratore Ugo Pirro (il romanzo è in prima persona) s'identifica perfettamente col militare Ugo Pirro che in Grecia è a un tempo testimone e partecipe di alcuni fatti: ma questi fatti egli ce li propone per quelli che sono, senza porre sotto accusa un esercito e gli uomini che questo esercito compongono: se un'accusa c'è essa viene affidata al lettore, viene desunta dal lettore, e riguarda la stupidità, la crudeltà, l'orrore (anche e soprattutto morale) della guerra, di ogni guerra.
Ma la frase che ho appena scritta (proporre i fatti per quello che sono) è, in sé, utopica: il vero narratore è impossibilitato per natura a raccontare i fatti per quello che sono; anche se scrivesse un diario, l'intervallo di tempo tra il fatto e la sua scrittura l'obbligherebbe a una rievocazione, alla messa in azione di una memoria pronta a omettere, a sottolineare, a colorire. Insomma, a me pare che anche per la letteratura sia valido il principio che l'osservazione di un fenomeno modifica il fenomeno stesso. In che direzione dunque si muove l'inevitabile modificazione nel romanzo di Pirro? Si muove nell'intento di capovolgere completamente il dato di partenza, di ritagliare da esso momenti e situazioni che possano comporre alla fine un percorso diverso da quello che pareva obbligato. il lungo viaggio dell'autore che accompagna per le strade di una Grecia devastata un trasporto di prostitute diventa un lungo viaggio dentro la coscienza, la progressiva approssimazione al baluginare di alcune certezze, di alcune verità. In parte, su quel romanzo di formazione di Pirro mi formai anch'io. Imparai, tanto per dirne una e in forma che certamente parrà ingenua, che tutto può essere scritto in un romanzo, solo che quel tutto va saputo scrivere muovendo dalla necessità di scriverlo. Altre cose mi parve di avere imparato allora da questo libro e sarebbe lungo andarle a cercare, perché ormai entrate in circolo. Dovevo saldare un debito, spero d'averlo fatto. Anche se Pirro non ha mai saputo d'essere mio creditore.
Andrea Camilleri
POST SCRIPTUM: Va ricordato che Ugo Pirro aveva, già dal 1950, cercato di far produrre un film tratto da un suo soggetto sui nostri soldati in Grecia. Il film non si fece (i tempi non erano ancora maturi), ma certamente quel soggetto costituì la base del romanzo Le soldatesse.
A. C.



Ugo Pirro (1920), soggettista e sceneggiatore (Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto, A ciascuno il suo, Il giardino dei Finzi Contini, La classe operaia va in paradiso, Metello, Il giorno della civetta, tra i suoi film più noti), come opere di narrativa e saggistica ha scritto, tra l'altro, Jovanka e le altre (1959), Mio figlio non sa leggere (1981), Celluloide (1983), Il luogo dei delitti (1991) e Soltanto un nome sui titoli di testa (1998). Con questa casa editrice ha pubblicato Osteria dei pittori (1994) e Figli di ferroviere (1999).



Last modified Sunday, January, 22, 2023