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Il Ponte sullo Stretto una speranza e due dubbi

Domenica scorsa ho letto che a Villa San Giovanni c'è stata una forte manifestazione contro il Ponte sullo Stretto, purtroppo segnata da un lutto, promossa dal comitato «No Ponte». Mi pare che ce ne siano state altre nei giorni precedenti in altre città. Era stato annunziato che oggi il presidente del Consiglio avrebbe posto la prima pietra, dando così inizio ai lavori. Pare che sia stato tutto rimandato a causa dell'aggressione milanese. Sabato, Televideo mi ha informato che si sono avute tre scosse di terremoto nelle zone etnee, una delle quali è stata avvertita anche a Catania, e che duemila passeggeri dei treni che percorrono il tunnel sotto la Manica vi sono rimasti intrappolati tredici ore a causa del maltempo. Sono tre notizie che concorrono a creare in me, a proposito della questione del Ponte, quello che dalle nostre parti si usa definire come «un cori d'asinu e un cori di liuni».
E poiché qualcuno mi ritiene un sostenitore del Ponte senza se e senza ma, vorrei spiegare qual è la mia posizione con assoluta sincerità. Sono profondamente convinto che il Ponte potrebbe servire, e di molto, allo sviluppo economico della Sicilia. Non a farci diventare italiani, come è stato inopportunamente detto, perché quello, nel bene e nel male, lo siamo già. Quando se ne cominciò a parlare non astrattamente, ci fu chi sostenne la sua inutilità parlando di un ponte gettato «tra due deserti». A parte che la Calabria e la Sicilia non possono essere definite in nessun modo «deserti», vorrei ricordare che anche il porto di Gioia Tauro venne profetizzato come una cattedrale nel deserto e invece è diventato in breve tempo il più importante scalo mediterraneo per le navi portacontainers. Ci fu all'epoca anche chi affermò che la costruzione del Ponte sarebbe servita solo ad impinguare le casse della mafia e della 'ndrangheta.
Il che può essere vero, ma una qualsiasi opera pubblica non si può fermare, in un paese civile, con un simile argomento. Se si teme questo, si faccia in modo che mafia e 'ndrangheta siano tenute lontane, altrimenti è come se lo Stato alzasse bandiera bianca. Che la mafia non sia un fatto locale, è dimostrato dalle misure messe in atto per la ricostruzione de L'Aquila. Si faccia lo stesso e di più per il Ponte. E siamo tutti così sicuri che la linea della palma, la quale, come diceva Sciascia, sale verso il Nord, non abbia raggiunto i grandi lavori milanesi per la prossima Esposizione? Se abbiamo questo dubbio, torno a ripetere, le stesse misure preventive possono e debbono valere tanto per il Nord quanto per il Sud. Ora viene la parte che fa, dell'altra metà del mio cuore, «un cori d'asinu». Anzitutto, non ritengo che la costruzione del Ponte sia una questione prioritaria. Siamo stati per secoli separati dal continente, possiamo ancora aspettare un po'. E soprattutto non la ritengo prioritaria in un momento come questo, nel quale la ripresa dopo la crisi si annunzia tarda, lenta e difficile.
Ora come ora il Ponte mi appare come un lusso faraonico che soddisferà la mania di grandezza di qualche governante ma che in realtà il paese non può in nessun modo permettersi. Però il vero dubbio è un altro. Il Ponte sorgerà in una zona ad altissimo rischio sismico. Il terremoto del 1908 è stato così spaventoso che al suo confronto quello dell'Abruzzo è come se non ci fosse stato. E va tenuto presente ancora che l'uomo non ha ancora costruito un ponte di lunghezza simile. Non esistono insomma precedenti. E' un'affascinante scommessa in sé, a prescindere dal rischio sismico. E nei giorni di vento forte - come quello di ieri - siamo certi che il transito a quell'altezza potrebbe continuare a svolgersi regolarmente? Ecco, io vorrei che questi miei dubbi venissero fugati da un referendum tra tutti i geologi e tra tutti i costruttori di ponti esistenti al mondo. In maniera di sapere in anticipo, è proprio il caso di dirlo, da che piano si casca. E nella speranza che quelli del comitato «Ponte subito» non mi iscrivano d'ufficio tra i «soggetti della cultura che, alla ricerca di visibilità, nasconderanno la loro vacuità ricorrendo a un irresponsabile catastrofismo».

Andrea Camilleri

(Pubblicato su La Repubblica (ed. di Palermo), 23 dicembre 2009)


 
Last modified Wednesday, July, 13, 2011