"Due capitoli per Andrea Camilleri"
ITALIANISTICA - Rivista di letteratura italiana, XXVIII, 2, maggio-agosto 1999, pp.207-220
RIASSUNTO :
Non meno indicativi sono certi particolari di Camilleri che s'intendono appieno se considerati come rovesciamento o parodizzazione del testo dannunziano. Alle gocce di sangue che rigano la mano dell'Ummalido e l'altare di san Gonselvo si contrappone il vino che inebria i portatori di san Calogero e cola come un filo rosso dalle labbra continuamente irrorate del santo. In D'Annunzio il grembiule di una femmina dovrebbe servire a fasciare la mano dell'Ummalido; in Camilleri, con stravolgimento grottesco, un gatto vivo e miagolante serve ad asciugare il volto di san Calogero. All'assoluta dedizione dei portatori dannunziani che per fanatismo eroico non vogliono lasciare in nessun modo il loro incarico fa da contraltare la facilità con cui i portatori di san Calogero cedono per soldi il posto ai soldati negri: A un certo momento domandarono macari di poter portare la vara, e gli scaricatori non si fecero pregare, forse perché il dispiacere di dover tanticchia lasciare il santo venne prontamente compensato con buona moneta degli stati (119-20). La parodia è assai evidente proprio nella rievocazione della festa del 1946. Qui un ritmo concitato prende il posto della tragica gravità dannunziana. Concorre allo stravolgimento grottesco la partizione della folla in gruppi diversi, spesso individuati nella loro precisa composizione numerica: 12 scaricatori di porto sul primo scalone, altri 12 in fondo alla scalinata, 15 tamburinari, carabinieri, preti, poveri, bambini, negri. Tutto, si risolve in un veloce carosello di tipo felliniano. Finite le fotografie, i portatori avevano sollevato senza sforzo la pesantissima vara e caricatasela sulle spalle avevano pigliato il fuiuto. Il santo - si sapeva - sempre di prescia camminava, sempre tante cose da fare aveva. Avanti si erano messi i preti, le tonache al vento obbligati a tenere quel passo di bersagliere, dietro venivano i tamburinari scatenati e dietro ancora i fedeli […] Intanto, mentre la processione lasciava le vie del centro, dove abitavano le persone civili, per andare verso i vicoli di periferia - sempre a passo di carica, dopo ore e ore di faticata, e ancora le madri dovevano scansare i figli piccoli per non farli travolgere - il santo cominciava a fare le sue pericolose acrobazie per entrare in certe stradette strettissime [...] Un reparto di soldati negri, che gli americani avevano lasciato a guardia non si sa di che cosa, appena in libera uscita tutt'insieme si fecero largo nella processione. A vedere un santo con lo stesso colore della loro pelle, i negri impazzirono di colpo. Tre tirarono fuori il mitra e si misero a correre davanti ai preti sparando in aria … (pp. 117-19). C'è persino lo scoronamento del santo, che, ridotto a semplice uomo, è portato in libera uscita sul molo, a compenso della lunga cattività in chiesa. Col linguaggio del Corso delle cose siamo già sulla strada che porterà all'idioletto degli ultimi romanzi, anche se il rapporto fra lingua e dialetto non è ancora sempre risolto nel modo migliore. In molti punti, infatti, soprattutto all'inizio, si avverte come uno stridore fra i due tipi di espressione, non amalgamati e compenetrati lessicalmente e sintatticamente, ma semplicemente giustapposti e affrontati in lacerti disomogenei che trattano temi diversi. La lingua alta, addirittura liricamente atteggiata, connota di prevalenza gli stati d'animo e i paesaggi (concepiti ancora come topoi letterari), il dialetto, invece, la presentazione di realtà locali. Citiamo, come esempio di descriptio loci, il brano iniziale in cui, il solo carriche macchia la perfetta letterarità dell'insieme. Si noti però che, quando l'attenzione si sposta sul contadino, si abbassa il tono e si vena di dialettismi il dettato: - Che tramonto bello! - fece il maresciallo Corbo scostando per un attimo il fazzoletto che teneva premuto sul naso, - Ce ne sono, dalle parti tue, tramonti così? [...] Effettivamente il tramonto era da godersi. Lontano, a ponente, verso il mare distante qualche chilometro, la sagoma frastagliata di Capo Rossello spiccava controluce, scura, sullo specchio calmo, arrossato, mentre da levante carriche nuvole d'acqua arrancavano verso il paese appena visibile ai piedi della collina sulla quale loro si trovavano. Un contrasto netto, tagliato col coltello, che aumentava il disagio di Tognin abituato a un paesaggio più morbido e pacifico. L'omaggio alla poesia era costato a Corbo una smorfia di schifo per la densa zaffata che gli si era subito attaccata alle narici: a settembre, in Sicilia, il sole batteva ancora forte. Il terzo uomo, un contadino non aveva isato gli occhi che teneva puntati a terra, si era arrotolata una sigaretta -cicche e trinciato forte -e ora stava a fumare appoggiato a un albero. Il maresciallo aveva gana di pensare al tramonto, ma lui no: salta il tronzo e va in culo all'ortolano, diceva il proverbio. Il tronzo era saltato e lui ora se lo poteva tenere in quel posto. Vicinissimo ai suoi piedi, con le gambe dentro un sacco legato alla vita, le mani serrate dietro la schiena da una sottile cordicella, l'ammazzato impestava l'aria mezzo ammucciato da una macchia di saggina. Un paio di scarpe consunte -le sue -gli erano state in bell'ordine assistimate sul petto. Valga come esempio di descrizione di stati d'animo quest'altro brano: Ma quest'intrecciarsi di voci che in altri giorni era la viva espressione di quell'andare d'amore e d'accordo con tutti, e che lo confortava come il sole conforta un gatto, aveva questa volta un suono falso. Vito sorprendeva -o gli pareva di sorprendere -un gesto a mezz'aria, una taliàta obliqua, una parola interrotta, un atteggiamento sospeso, che quel saluto cambiavano in qualcosa di sinistro e di pietoso assieme, come, di chi finge, al capezzale di un malato inguaribile che ignora la gravità del suo stato, naturalezza e allegria [ ...] Ma al momentaneo sollievo successe uno stupore sconcertato, simile a quello che può provare una natura negata alla violenza quando straordinari casi l'obbligano a comportarsi in modo totalmente opposto e dopo si domanda a quale sconosciuta parte di sè abbia obbedito ...(pp. 48-49). La giustapposizione di alto e basso porta all'esasperazione dei contrasti. L'elemento letterario si fa più solenne, quello dialettale più insistente e quasi folclorico. Questo è il romanzo di Camilleri in cui le realtà e i modi di dire dialettali sono presenti in maggior misura, a volte anche ripetuti a breve distanza; ma anche quello in cui tali realtà e modi di dire, avvertiti come non ancora capaci d'autonoma esistenza, risultano improponibili se non a patto d'essere spiegati, chiosati, tradotti. Si veda la pagina dedicata a cubàita, càlia e simenza, gelato di campagna, la storia di zio Manuele quando perdette il caicco, la chiosa del motto omu senza panza, omu senza sustanza, ecc. ecc. Molti dei termini e modi di dire non spiegati nel romanzo sono ripresi e chiosati nel volumetto del 1995 Il gioco della mosca. Confronta ( seguo l' ordine che essi hanno in questo libello) : amminchià cu pupu, a risata do zu' Manueli quanno pirdì u caiccu, filama, i corna su' progressu, in da finestra trasu, nuttata persa e figlia fimmina, cubbàita, sfunnapedi, taliàri. Evidentemente, quando fu pubblicato Il gioco della mosca, l'autore pensava che il materiale demotico del primo romanzo ( rimasto sino ad allora semisconosciuto) non dovesse andare perduto. Ma, essendo questo stato riproposto nel 1998 con più ampia diffusione; il libello del 1995 si è rivelato poco interessante oltre che inutile. *** Il birraio di Preston: diversi modi di lettura ; L'idea del Birraio (Sellerio, I ed: 1995) proviene da quella buona fonte d'ispirazione che è Camilleri l'Inchiesta sulle condizioni della Sicilia de1 1875-76 , ove rimane testimonianza di “intrighi, delitti e tumulti -.come è detto nel risvolto di copertina del romanzo -seguiti alla incomprensibile determinazione del prefetto di Caltanissetta, il toscano Bortuzzi, di inaugurare il teatro di Caltanissetta con una sconosciuta opera lirica, Il birraio di Preston. Nel racconto di Camilleri la vicenda è trasferita nell'immaginaria Vigàta; e il prefetto, primo responsabile dei tumulti, è quello della vicina Montelusa: sì che la ribellione di un intero paese alle imposizioni delle autorità ( il Bortuzzi ha mobilitato la truppa) è da intendere come avversione non solo al governo centrale o ai piemontesi, ma anche agli invadenti vicini montelusani. Ecco quanto emerge da un colloquio del prefetto col suo confidente locale, l'uomo di rispetto Ferraguto: -Allora il problema è che quest'opera è stata voluta da lei che è il prefetto di Montelusa. E ai vigatesi non piace niente di niente di quello che dicono e fanno i montelusani - -Sta scherzando? - - No. Dell'opera non gliene fotte niente. Ma non vogliono che sia quello che comanda a Montelusa e provincia a dettare legge a Vigàta. Lo sa cosa ha detto il canonico Bonmartino, che è parrino rispettato da tutti? - -No- -Ha detto che se i vigatesi accettano l'opera, poi il prefetto si sentirà in dovere di dire loro cosa devono mangiare e a che ora devono cacare -(pp. 43-44). Prima però di procedere nell'individuazione dei significati è opportuno far cenno della struttura dell ' opera. La quale si compone di 23 capitoli , non numerati ( contraddistinti da titoli che corrispondono agli incipit), nei quali i vari momenti o fasi della vicenda sono presentati con costanti inversioni dell'ordine cronologico. Considerando come momento temporalmente centrale l'incendio appiccato al teatro “Re d'Italia” (in cui si è tenuta la rappresentazione contestata) da un rivoluzionario di professione, il romano Traquandi, giunto a Vi- gàta per provocare tumulti sfruttando il malcontento popolare, così si presenta, rispetto alla cronologia dei fatti, la successione dei capitoli: Era una notte che faceva spavento -----------momento dell'incendio C'è un fantasima che fa tremare ------------- Avrebbe tentato d'alzare la muschittera? -- Chiamatemi Emanuele ------------------------ prima dell’incendio Nella matinata del giorno in cui ------------- Egregie signore e diciamolo pure ------------ Turiddru Macca, il figlio---------------------------dopo Solo chi è picciotto può avere -------------------- Lei sa home la penso-------------------------------prima Colore latte e appannato---------------------------dopo In ritardo, come u solitu----------------------------prima ecc. Ai ventitre capitoli non numerati ne segue un ultimo, indicato come Primo, che potrebbe anche essere collocato in testa a mo' d'introduzione stante l'invito al lettore, contenuto in un P.S. autoriale, a “stabilire una sua personale sequenza”, perché “la successione dei capitoli disposta dall'autore non era che una semplice proposta”. Infatti nel Capitolo primo (ultimo in realtà) ricompare il personaggio che, nel capitolo effettivamente iniziale Era una notte che faceva spavento, aveva assistito bambino al divampare dell'incendio: Gerd Hoffer, figlio dell'ingegnere tedesco preposto alla squadra dei volontari spegnifuoco di Vigàta. Passati più di quaranta anni, Gerd, ormai adulto, inizia a raccontare la storia dei fatti di cui era stato testimone, rimandandone la prosecuzione ad un “seguito” e ai “capitoli che verranno”. Si oppone però ad un possibile spostamento del Capitolo primo ad inizio di romanzo il fatto di non poca rilevanza che esso, sia per la lingua sia per la ricostruzione dei fatti, contrasta con gli altri 23. Per quel che riguarda la lingua, il suo italiano meramente informativo e denotativo si oppone alla mescolanza di italiano-siciliano con altri dialetti (il linguaggio meticciato, come l'ha definito lo stesso autore in un 'intervista messa in programma da RAI 1 nella notte fra il 27 e il 28 ottobre 1998) del resto del romanzo. Per quel che riguarda, invece, la ricostruzione evenemenziale, il maturo Gerd Hoffer esprime un punto di vista filogovernativo tendente a minimizzare la portata della ribellione popolare ( tutto si sarebbe ridotto, infatti, a qualche espressione d'inciviltà di pochi e ignoranti spettatori del loggione, e a schiamazzi in piazza di giovinastri avvinazzati), ad attribuire perciò l'incendio a cause assolutamente accidentali, a lodare l'operato delle autorità (il prefetto Bortuzzi si sarebbe preoccupato, con quella rappresentazione teatrale, di educare i vigatesi all'arte) e delle forze dell'ordine, schierate non per reprimere ma per formare un picchetto d' onore. In qualsiasi modo, dunque, si riordinino i 23 capitoli non numerati -si potrebbe seguire, per esempio, il principio della successione cronologica -, resterà sempre l'anomalia del Capitolo primo, che, se spostato all'inizio, risulta in flagrante contrasto con ciò che segue; se, invece, lasciato dov'è, risponde al proposito di fornire una versione ufficiale dei fatti, che rimane però, (non si sa per quale ragione) sospesa. A meno che la sospensione non rientri in quel gioco degli incipit di cui si dirà più avanti. La soluzione più economica parrebbe ad ogni modo la seconda: è più facile, infatti, accettare una palinodia formalmente interrotta, la quale in realtà ricostruisce a suo modo almeno i fatti principali, piuttosto che vistosi e immotivati cambi di registro nel corpo di un 'unica narrazione. Il mantenimento dell'ordine dato dall'autore è imposto anche da esigenze di carattere strutturale, connesse con la circolarità dell ' opera, che, pur tendente allo sfaldamento per mancanza di collante cronologico, è però inquadrata dalla cornice costituita dai due capitoli estremi; i quali, anche se rispondono -come abbiamo visto -a codici diversi, presentano un medesimo personaggio, assente in tutti gli altri capitoli, Gerd Hoffer appunto, prima fanciullo e poi uomo maturo. Il birraio di Preston si rivelerebbe allora incorniciato allo stesso modo del romanzo di Calvino Se una notte d'inverno un viaggiatore, in cui le differenti microstorie sono precedute da un incipit ( “Stai per cominciare a leggere il nuovo romanzo Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino” ) e seguite da un explicit ( “Sto per finire Se una notte d'inverno un viaggiatore di Italo Calvino” ) che riconducono alla stessa storia. Il romanzo di Calvino sarebbe allora, per questo come per altri aspetti su cui fra poco fisseremo l'attenzione, l'imprescindibile ipotesto del Birraio di Preston. Prima però di dimostrare che Il birraio può anche essere accettato come romanzo formalista, consideriamolo secondo una più facile lettura storico-politica. Siamo nel 1874, a pochissimi anni di distanza dall'unificazione più formale che sostanziale sotto la monarchia sabauda. L'unità, che non esiste nemmeno fra Vigàta e la vicina Montelusa, è nominazione priva di sostanza: pour cause la rappresentazione imposta dal prefetto, motivo di una ribellione e di una repressione, si tiene in un teatro dal nome ironico di “Re d'Italia” .Si tenga presente che “Re d'Italia” è anche un vapore nella Stagione della caccia e “Unità d'Italia” la via del protagonista nella Concessione del telefono: romanzi ambientati nel medesimo periodo postunitario. La Sicilia è ancora terra di conquista: nel Birraio Vigàta ha a che fare con un prefetto fiorentino, un questore milanese, truppe piemontesi, persino con un capo tedesco della squadra volontaria antincendi. L'unificazione è vista in una luce ironica anche quando si presenta la schiera dei testimoni che depongono il falso per fornire un alibi all'uomo di rispetto Emanuele Ferraguto, don Nenè (confidente e braccio destro del prefetto, come abbiamo visto) , che ha seviziato e ucciso, secondo un rituale di ritorsione mafiosa,gli assassini del figlio: Nel giro della stessa giornata, dieci insospettabili abitanti di Varo, a cinquanta chilometri da Montelusa, si erano precipitati a testimoniare che il giorno del duplice omicidio don Memè era nel loro paese, a godersi la festa di san Calogero. Tra i fornitori dell'alibi c'erano il ricevitore postale, Bordin Ugo, veneto, il dottor Pautasso Carlo Alberto, astigiano, direttore dell'ufficio imposte,e il ragionier Ginnanneschi Ilio, pratese, addetto al catasto, -Ma quant'è bella l'unità d'Italia! - aveva esclamato don Memè con un sorriso più cordiale del solito, mentre gli si aprivano le porte del carcere (p. 39). Una riprova della mancanza d'unità ce la forniscono, sotto il profilo linguistico, i vari capitoli o microstorie. In Era una notte che faceva spavento e in Turiddru Macca, ilfiglio si dà largo spazio al linguaggio dell'ingegner Hoffer, che è una mescolanza di italiano e tedesco, una sorta di “todesco” da commedia dell'arte; in Chiamatemi Emanuele il prefetto di Montelusa, cavalier dottor Bortuzzi, si esprime con quello che dovrebbe essere accento fiorentino (pessimamente riprodotto); in Lei sa home la penso, ove sono in scena il prefetto e i comandanti militari piemontesi, le battute dei dialoghi sono fiorentine e piemontesi; in Avissi voluto che mio padre il rivoluzionario venuto da Roma, Traquandi, si esprime in romanesco; in Tutti orama' lo conoscevano abbiamo ancora il fiorentino di Bortuzzi; in Oh che bella giornada! il meneghino del questore Everardo Colombo; in Era una gioia appiccià er foco ancora il romanesco di Traquandi; in Giagia mia cara per un'altra volta il fiorentino di Bortuzzi. L'interpretazione storico-politica or ora esperita privilegia le differenze d'origine e di linguaggio dei personaggi. Ma possiamo anche privilegiare l'autore e il lettore. Il P.S. autoriale che chiude il romanzo, infatti, in cui si autorizza chi legge a dare ai capitoli un ordine diverso da quello suggerito dall ' autore, chiama in causa i lettori in questo modo: “Arrivati a quest'ora di notte, vale dire all'indice, i superstiti lettori ,..”. Il che presuppone che l'operazione della lettura abbia occupato un 'intera giornata sino alla notte, possiamo dire da notte a notte, lungo l'arco di 24 ore, come 24 sono i capitoli del romanzo: quasi questi siano narrazioni per una giornata, sull'esempio, sempre vivo in tutta la cultura siciliana, delle pirandelliane Novelle per un anno. Quell'esempio funziona anche nell'ultima opera di Camilleri, la raccolta di trenta racconti, uno per ogni giorno del mese, uscita nel 1998 (Mondadori) con il titolo di Un mese con Montalbano. Anche l'attenzione estrema rivolta al lettore connota l'ipotesto prima citato, Se una notte d'inverno un viaggiatore, ove il destinatario ha la stessa importanza dei personaggi, sino a diventare egli stesso un personaggio del libro. Trasparente nel Birraio è la chiamata in causa dell’autore, suggerita dallo stesso modello. Come nel romanzo di Calvino l'autore, nel definire la propria vocazione, costruisce una storia basata sulla giustapposizione di microstorie, i cui incipit connotano vari possibili sottogeneri romanzeschi, così nel Birraio la successione di titoli e incipit corrisponde alla varietà dei generi letterari: c'è il romanzo, la novella, la pièce teatrale, il poemetto in versi, il pamphlet d'ispirazione civile, il manifesto politico, persino il poster in cui il cagnolino Snoopy è di fronte ad un possibile inizio di romanzo, Era una notte buia e tempestosa. Sul problema degli incipit e sulla chiamata in causa di Snoopy l'ipotesto è, ancora una volta, Se una notte d'inverno un viaggiatore. Dice infatti Calvino nel cap. ottavo: Sulla parete di fronte al mio tavolo è appeso un poster che mi hanno regalato. C'è il cagnolino Snoopy seduto di fronte alla macchina da scrivere e nel fumetto si legge la frase: < Era una notte buia e tempestosa...”. Ogni volta che mi siedo qui leggo Come Snoopy anche Calvino, posto davanti ad un inizio qualsiasi, avverte la difficoltà del continuare: quell'incipit, che può teoricamente accogliere tutti gli sviluppi possibili, resta in realtà pura potenzialità, l'attesa perciò è senza oggetto, “il vuoto s'apre sulla carta bianca”. Se poi l'incipit è quello di un romanzo famoso ( “Oggi mi metterò a copiare le prime frasi d'un romanzo famoso” ), la conclusione più probabile è non che “la carica d'energia contenuta in quell’avvio si comunichi alla [...] mano, che una volta ricevuta la spinta dovrebbe correre per conto suo”; ma piuttosto che s'impadronisca dello scrivente la tentazione di copiare tutto il seguito del romanzo famoso. Camilleri però non si pone questi problemi o almeno non se li pone per 23 capitoli. Se l'ultimo può essere proprio quello rimasto al solo inizio, nel caso degli altri l’inizio precostituito non è fonte d'angoscia perchè trova un facile sviluppo. Lo sviluppo può seguire varie strade, le quali rappresentano diversi livelli non di originalità (nella letteratura post-moderna così mediata il top non è certo quello dell'originalità e dell'inventio ), ma di reimpiego dei materiali letterari. Ad un primo livello, quello più basso, l'incipit non trova echi, non ha sviluppo, resta un semplice avvio fine a se stesso in un capitolo che va per la sua strada e che avrebbe potuto avere indifferentemente un altro incipit. Cito un solo esempio, quello di Turiddru Macca, il figlio, che inizia come la novella di Verga Cavalleria rusticana, senza in alcun modo ricordarla nè per somiglianza nè per contrapposizione. Il Turiddru Macca di Camilleri, infatti, è uno scaricatore di porto che, svegliato all'improvviso nel suo catoio durante l'incendio, si precipita verso la casa materna che ha preso fuoco, agitato dal pericolo che la madre sta correndo, ma anche - forse soprattutto - dal dolore per la bella proprietà che se ne sta andando in fumo. Ad un altro livello l’incipit dà luogo ad una gara col modello, una gara giocata sullo stesso terreno attraverso la riutilizzazione di motivi e situazioni, procedendo in parallelo senza cadere nella ripetizione o nel plagio. Adduco l’esempio del capitolo Egregie signore e diciamolo pure, che prende l'avvio dalla confusa e pasticciata conferenza che il preside Carnazza del ginnasio di Fela, in preda ad una solenne ubriacatura, è costretto a fare, per imposizione della moglie di cui è vittima, sull’opera lirica Il birraio di Preston; così come il personaggio della pièce cechoviana chiamata in causa fa una confusa e pasticciata conferenza, ubriaco e costretto dalla moglie, sui danni del tabacco. Ad un terzo livello il rapporto col modello è di rovesciamento parodico. E il caso del capitolo Avrebbe tentato d'alzare la muschittera?, che utilizza l’incipit della Condizione umana di Malraux “Tehen tenterait-il de lever la mustiquaire? ” secondo un gioco di contrapposizioni degradanti. In Malraux la zanzariera che occorre sollevare è quella del letto in cui dorme colui che il protagonista sta per uccidere; in Camilleri, invece, quella dell'alcova in cui la signora Riguccio Concetta, vedova Lo Russo, aspetta sveglia e trepida l'arrivo dell’amante. All'angoscia di Tehen ( “L'angoisse lui tordait l’estomac” ) si contrappongono i tremori erotici della vedova: “Il generoso pettorale era investito da un fortunale forza dieci, la minna di babordo scarrocciava verso nord-nord ovest e quella di tribordo invece andava alla deriva verso sud-sud est”. All’arma con cui Tehen colpisce la vittima ( “un court poignard” ) fa contrasto quella, di certo non corta, con cui l'amante colpisce la vedova: che ha prima la misura di “una trentina di centimetri di cavo d'ormeggio, di quello grosso, non di barca ma di papore di stazza” ; cambiando in un secondo momento forma: “il cavo d'ormeggio cangiava forma, principiava a diventare una specie di rigido bompresso”; per raggiungere infine la consistenza ottimale: “il bompresso aveva ancora cangiato di forma: ora era diventato un maestoso albero di maestra, solidamente attaccata al quale la vedova Lo Russo pigliò a oscillare, a battere, a palpitare, vela piena di vento” . Negli ultimi due casi il rapporto con l'inizio letterario è non solo stimolo alla composizione ma anche una dimostrazione d'abilità. Il narratore, posto davanti agli incipit, non se ne lascia irretire, perchè li utilizza ai fini delle sue esigenze espressive, così come fa il poeta nei confronti delle rime. Della possibilità di interpretare il gusto calviniano degli incipit come tentativo di assemblare una biblioteca di apocrifi che annulli la riconoscibilità dell’autore nulla traspare nel Birraio di Preston, che, per la rievocazione di fatti di cronaca siciliana, oltre che per lo stile, rimanda inequivocabilmente a quel Camilleri che ben conosciamo.
Bruno Porcelli
trascrizione a cura di
|
Last modified
Wednesday, July, 13, 2011
|