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Privo di titolo



Autore Andrea Camilleri
Prezzo € 11,00
Pagine p. 320
Data di pubblicazione 17 marzo 2005
Editore Sellerio
Collana La memoria n.642
e-book € 7,49 (formato epub, protezione acs4)


Due fatti di cronaca del ventennio fascista rivisitati da Camilleri

«Verso la metà d’aprile del 1941 il professore di cultura militare del ginnasio liceo “Empedocle” di Girgenti, avvocato Francesco Mormino, principiò a firriare classi classi per spiegare a noi alunni (io allora andavo in prima liceo) il comu e il pirchì della grande adunata giovanilfascista che si sarebbe svolta a Caltanissetta il 21 di quello stesso mese. Il professore ci spiegò che ci saremmo dovuti recare a Caltanissetta per rendere omaggio all’unico martire fascista siciliano, Gigino Gattuso, del cui sacrificio supremo ricorreva il ventennale».
Partendo da questo episodio della sua giovinezza Camilleri racconta la storia del “martire fascista” ucciso da un “sanguinario socialista” nel 1921: e ricostruisce la vicenda  con quella mescolanza di fatti e personaggi, carte e parole, verbali, rapporti, testimonianze - vere e false - fino al resoconto del processo dove l’imputato viene assolto: non è lui ad avere sparato il colpo mortale. Un manifesto anonimo si chiederà: “un fascista ammazzato da un altro fascista può essere chiamato martire fascista? Oppure è un semplice morto ammazzato privo di titolo?“
La storia di Gigino Gattuso si intreccia con quella di Mussolinia, la colossale beffa  di una città, nei pressi di Caltagirone, della cui esistenza soltanto Mussolini fu illuso. La posa della prima pietra, il 12 maggio del 1924, fu funestata da una serie di incidenti, tutti organizzati da nemici del regime, - il furto della bombetta di Mussolini e la sua sostituzione con un ridicolo cappello, i fischi dei caprai, la scomparsa della pergamena da incastonare nella prima pietra - che non facevano presagire nulla di buono...
Nel 1930 Mussolinia non era ancora stata costruita. Il duce era impaziente e per non deluderlo fu approntato un falso: moderna e maestosa nel fotomontaggio si profilava la città-giardino. Ma poi, anche qui, intervenne un anonimo: con un altrettanto abile fotomontaggio aprì gli occhi al duce e decretò per sempre la caduta di Mussolinia.

 

Note di copertina

Boccaccio aveva raccontato come si possa fabbricare una "santità", e convincere "tutto il popolo" a radunarsi in pompa magna per dare alla cialtroneria definitiva monumentalità e promessa di "maravigliose cose". Camilleri indaga sulla mistificazione; e smonta, dal di dentro, un "monumento" di mendacità, di santificazione e manganellante propaganda, costruito e recitato in drappi neri attorno alla memoria del presunto "unico martire fascista siciliano". La narrazione trascorre dai registri della malizia burlesca a quelli della moralità tragica, tra le matterie, le fibrille e le amplificazioni del linguaggio. Con un sentimento di magnanima pietà, al di sopra delle parti, rivolto alle due vittime diversamente innocenti della messinscena di verità. Innocente e tormentato è il comunista che dell'omicidio si autoaccusa, ed è accusato. Incolpevole è il defunto fascista, che ovviamente è estraneo alla postuma cospirazione politica; ed è defraudato, nella sua deserta solitudine, della dignità di "semplice morto privo di titolo", ammazzato (per sbaglio) da un altro fascista. Tutto comincia nel 1921, con una notte degli imbrogli che Camilleri ripassa alla moviola, cinematograficamente, per rallentarla e di volta in volta rileggerla nel fermo immagine. Tutto si scheggia nel tempo spezzato delle testimonianze vere e false, e si ricompone nell'impostura cui danno mano frottolai, intimiditi ipocriti, "òmini d'ordine" e "òmini d'onore". La "santità" della vittima cresce con la politica del manganello e dell'olio di ricino; e con il montare dell'orda fascista che, come sempre accade nelle dittature, vorrebbe una magistratura allineata. E intanto siamo già al 1930. E alla bricconata della controbeffa, che ridicolizza e lascia nudo nelle sue velleità di duce, operaio dell'inaugurazione e della prima pietra, il baccalare sommo della suprema beffa storica. I gerarchi di Caltagirone offrono e intestano a Mussolini una stupefacente città turrita, che esiste solo nella realtà illusoria di un fotomontaggio. E al fotomontaggio, la controbeffa aggiunge il mare trasportato di peso nell'entroterra: con ornamento di barche e reti messe ad asciugare. Se il monumento mendace è cresciuto su se stesso e si è confiato sulle nuvole, fino a diventare strutturata urbanistica di torri aeree, basta lo specillo di un narratore perché la bolla virtuale esploda. E dello spacconeggiar della storia faccia letteratura.

Salvatore Silvano Nigro

 

Nota

Questo libro è costruito su due fatti di cronaca. Per questo ho cangiato tutti i nomi e i cognomi dei reali protagonisti dei fatti: essi in fondo non venivano più a corrispondere, per diverse ragioni, ai miei personaggi. Via via che scrivevo, infatti, due o tre persone realmente esistite si assommavano in un solo personaggio, certe situazioni si spostavano nel tempo e nello spazio, certi punti che erano parsi focali nelle cronache dell'epoca ai miei occhi non lo erano più e via di questo passo. Ho lasciato il vero nome di Gigino Gattuso solo nel primo e nell'ultimo capitolo: infatti in essi non c'è alcuna invenzione.
Devo dire che questo libro non avrei mai potuto scriverlo se qualche anno fa il giornalista nisseno Walter Guttadauria non mi avesse inviato un suo bel volume intitolato Fattacci di gente di provincia (Edizioni Lussografica, Caltanissetta, 1993). Di un capitolo di quel volume mi sono in parte già servito per il racconto "Meglio lo scuro" compreso nel libro La paura di Montalbano. Per questo mio Privo di titolo ho invece saccheggiato un altro capitolo di Guttadauria, quello intitolato "Il caso Gigino Gattuso. Un omicidio con due martiri politici". Non finirò mai di essergliene grato.
Per quanto riguarda invece la storia della fondazione di Mussolinia, le mie fonti sono state: F. Chilanti, Ma chi è questo Milazzo? (Parenti 1959); L. Sciascia, La corda pazza (Einaudi 1970) e l'articolo di Maria Attanasio, "Il mare a Caltagirone", in "La Sicilia", 4 gennaio 2000.
Quando avevo appena finito di scrivere il romanzo, il dottor Salvatore Venezia, calatino di nascita ma abitante a Torino, venuto non so come a conoscenza del mio lavoro, gentilmente si premurò di inviarmi un suo saggio, Mussolinia: il fantasma di una città giardino, apparso sul "Bollettino" (1993, n. 2) della "Società calatina di Storia Patria e cultura".
Il saggio è così prezioso, così pieno di notizie e dati, da costringermi a non utilizzarlo: avrebbe sbilanciato il mio racconto sul versante della città fantasma. Peccato. Sempre il dottor Venezia mi ha fatto avere il saggio di Maria Luisa Madonna, "Dalla città-giardino Mussolinia alla colonizzazione del latifondo siciliano", apparso in un volume di Studi in onore di Giulio Carlo Argan (Firenze 1994): interessantissimo, ma anche questo non ho voluto utilizzare perché io sono un romanziere che lavora di fantasia più che basarsi su planimetrie, piante, disegni architettonici. Infine il dottor Venezia mi ha fatto conoscere l'articolo di Toto Roccuzzo, "Nel bosco di Mussolinia, la città invisibile", pubblicato su "Diario", 1998, n. 28.

A.C.

 



Last modified Tuesday, October, 02, 2012