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La pazienza del ragno

Andrea Camilleri parla del suo libro
con Giancarlo De Cataldo e Marino Sinibaldi



De Cataldo: (rivolgendosi a Sinibaldi) tu sei il presentatore… non cominciamo… tu presenti, vai!

Il mal funzionamento del microfono in sala e il conseguente smanettamento dello stesso da parte degli ospiti provoca ilarità tra i presenti.

De Cataldo: c’è una lunga tradizione sul funzionamento di questo microfono, vero maestro?

Camilleri: annuisce ridendo.

Risate in sala perché il microfono ora funziona ma il filo è corto.

Sinibaldi: a causa del perdonabile (?) ritardo di De Cataldo, perché è arrivato adesso e non sa manco di cosa dobbiamo parlare… (risate) comincio col dire che c’è sempre un po’ di imbarazzo a parlare con Camilleri. Scrive, speriamo instancabilmente, questi libri magnifici e quindi è sempre un po’ difficile aggiungere qualcosa a tutto quello che si è detto su Camilleri, libro dopo libro, Montalbano o non Montalbano. Questo nuovo libro una nota di inquietudine la lascia e ha a che fare proprio con il personaggio, una parte un po’ più elegante di questa conversazione andrà da lunedì a Fahrenheit quindi adesso vi faccio un anticipo grossolano, però grossolanamente spaccando… mi sono fatto dire come si dice in siciliano squartare ma non me lo ricordo più, una mia amica catanese mi ha detto una parola complicatissima… insomma se uno volesse squartare, spaccare, fare a pezzi un libro di Camilleri uno dei libri in cui parla di Montalbano, questo credo sia il settimo…

Camilleri: ottavo.

Sinibaldi: ottavo… se uno li dovesse squartare dentro ci troverebbe una grande storia, come in tutti i gialli c’è una trama che avvince, c’è, e questa è una straordinaria invenzione di Camilleri, una lingua straordinaria. C’è un lavoro sulla lingua in questo libro, io non sono un esperto in generale della lingua dei libri e in particolare della lingua che usa Camilleri… faccio un po’ di fatica… e credo sia uno degli scopi del suo scrivere in quel modo. Penso scrivi in quel modo per ragioni espressive naturalmente, principalmente per ragioni espressive, però, credo ci sia anche una sorta di gioco con i lettori. Il gioco del gatto con il topo, potremmo dire del ragno con la mosca, insomma di non farlo mai scappare via, mai farlo scivolare via sulla sua pagina, benché lo stile sia fluido la storia sia sempre avvincente c’è questa lingua che qualche problema lo pone… insomma se uno lo squartasse troverebbe questa storia, il plot, la lingua e il personaggio. In fondo i romanzi gialli (oggi leggevo su Repubblica del fatto che gran parte dell’aumento del fatturato di tiratura dell’editoria italiana è dato dai romanzi gialli, definizione ormai perfino troppo ampia) sono affascinanti perché hanno questa capacità di concretizzare qualcosa che è molto profondo e avvelena il male, l’esistenza del male, il cattivo con la cattiveria, il lato nero dell’esistenza, il lato oscuro delle società, il rovescio criminale, il segreto criminale che tutte le società custodiscono. I romanzi gialli hanno, più di altri registri letterari, la capacità di sintetizzare, di cristallizzare, qualcuno anche di banalizzare il male che c’è nelle nostre vite, nelle nostre società, nelle nostre vite individuali e collettive, di formalizzarlo intorno ad un evento: il delitto e, spesso, il criminale o il colpevole. Gran parte dei gialli, diciamo tutto il giallo dalla seconda metà del novecento in poi, ha questa cosa di creare un personaggio: l’investigatore. Che non è, proprio, il positivo, non è mai o meglio quasi mai, per quel che ricordo, il risvolto positivo del male però è quello che è al centro dell’evento. Da questo punto di vista e squartando in tre, come ho brutalmente fatto, i romanzi di Andrea Camilleri si nota che sono lavorati moltissimo sulle trame. Ha questa grande capacità di inventare trame avvincenti, ha una peculiarità ineguagliata, la capacità di lavorare sulla lingua e poi ha creato questo grande personaggio: Montalbano. L’inquietudine con il quale questa sera intervistiamo Camilleri è che questo personaggio sta invecchiando. In questo libro la preoccupazione del lettore è accentrata sulla fatto che Montalbano sta invecchiando… quando è nato, nel ’50?

Camilleri: si, nel ’50!

Sinibaldi: e mica è vecchio!!!!!!!

Risate

Camilleri: probabilmente “Cicero pro domo sua”… (risate) però a cinquantacinque anni uno comincia a tirare i remi in barca, perdere i colpi in tutti i sensi, a guardarsi attorno, a chiedersi cosa ho fatto… a me è successo a cinquantacinque anni e non vedo perché non debba succedere ad un mio personaggio. Insomma tante cose di scansioni del tempo sono state mie e io le ho trasferite a Montalbano. La scansione del tempo non è ne tragica ne drammatica ne manda uno in depressione.

Sinibaldi: sembra un po’ depresso…

Camilleri: no, no! Lui capisce che diventa vecchio ma accetterà la vecchiaia come l’ho accettata io, non vedo cosa ci sia di anormale. L’anormale sarebbe che uno restasse eternamente a quarant’anni…

Sinibaldi: quindi, visto che l’età media di vita è aumentata, nel mezzo del cammino… cinquantacinque anni…

Camilleri: Infatti.

Sinibaldi: non voglio raccontarvi il libro per rispetto, soprattutto, per chi non lo ha letto, però devo dire che c’è un evento criminale un po’ anomalo, ma su questo c’è un esperto come il magistrato De Cataldo che ci dirà qualcosa sulla dimensione giudiziaria di questo libro… però l’evento è anomalo. Insomma… perché è un sequestro… possiamo dirlo almeno questo… è un sequestro anomalo ma già è anomalo il sequestro nel mondo in cui in genere Montalbano si è aggirato, anche se il segreto, la materia, da cui nasce questo evento criminale è una materia classica del romanzo, non solo giallo, cioè c’è una dimensione familiare… è il veleno che corrode anche le famiglie apparentemente più salde, sane e felici, insomma siamo in una zona particolarmente feconda dal punto di vista narrativo. L’evento che si stacca, come sempre, nei romanzi di Camilleri è la figura di Montalbano, una figura straordinariamente umana. C’ha ragione lui a dire: ma guarda che è un personaggio talmente umano che è normale che a cinquantacinque anni provi… cosa prova? Prova una serie di cose, perché noi lo conosciamo, per chi ha letto gli altri libri, ferito in tutti i sensi, ferito nel senso fisico quindi, indubbiamente, ha una certa difficoltà a riprendersi, ma anche ferito dal punto di vista professionale, sempre più isolato, sempre più in rapporti difficili con i suoi superiori, persino un po’ con i suoi colleghi. Montalbano i rapporti difficili li ha sempre avuti, infatti è un personaggio, da questo punto di vista, che ha una sua asprezza. Io vi do gli indizi dell’invecchiamento di Montalbano. A pagina 53 c’è un cinquantacinquenne che vede un ragazzo… io non riesco a leggerlo (passando il libro a Camilleri).

Camilleri: “Aviva una bella testa funzionante, il picciotto. “Quanti anni ha lei, Francesco?” “Ventitre. Mi dia del tu, se vuole. Potrebbe essermi padre”. Con una fitta, Montalbano pinsò che, a quel punto della sò vita, mai sarebbe potuto addivinire patre di un picciotto accussì.”.

Risate.

Sinibaldi: (ridendo) che c’è da ridere? È tristissimo!!! Nel senso che Montalbano comincia a invecchiare, che comincia a capire, come diceva prima Camilleri, che sicuramente alcune cose non le potrà più fare, però i rischi di depressione qua ci sono. Pure la sua solitudine senza Livia assume dei tratti, mi sembra, più amari… secondo me ‘sta Livia, prima o poi, deve andare lì se Montalbano vuole continuare con lei…

Camilleri: sì! (sorridendo!)

Sinibaldi: cosa le costa manda’ Livia a Vigata?

Risate.

Camilleri: a Montalbano?

Sinibaldi: (ridendo) a lei… A lei Camilleri, che gli costa mandare Livia a Vigata?

Risate.

Camilleri: in questo romanzo, dopo quello che io avevo scritto ne “Il giro di boa” che pareva essere un punto senza ritorno, più che un problema dell’età, più che un problema dei suoi rapporti con i superiori, con Livia eccetera, il problema è con se stesso. Cioè tra il mestiere che fa, la sua coscienza e la legge che deve applicare, a questo punto Montalbano si trova in un episodio in cui c’è una fortissima frizione tra quello che è il suo dovere di poliziotto e quello che gli suggerisce il suo carattere umano, la sua coscienza. Questa, credo che sia evidente a tutti, è una strategia “autorale”, perché quando mi chiedono: come finisce Montalbano? Come finirà Montalbano?… a parte il fatto che c’è da domandarsi se finisce prima l’autore avendo l’età, felicemente, di quasi ottant’anni… (risate) Quindi per me il problema non si pone… però è una strategia di allontanamento. Una volta mi trovai a parlare con Manolo Vázquez Montalbán ché anche lui cercava una soluzione liberatoria per il suo Pepe Carvalho e tutti e due invidiammo… (sospirando) troppi morti… un altro autore morto, Jean-Claude Izzo, che aveva splendidamente concluso il suo personaggio gravemente feritosi dentro una barca, ma vuoi vedere che passava un motopeschereccio e lo salvava? (risate) Ecco! Ognuno va cercando una strategia… che porta male, perché i due autori sono morti e i personaggi so’ rimasti vivi.

Risate.

Sinibaldi: dunque la mia lettura di un Montalbano alle prese con la sua età ricade a Camilleri nello stesso vizio del “pro domo sua” cioè ognuno legge quello che trova di se stesso…

Camilleri: e certo!

Sinibaldi: quindi sono affari miei! (risate) Però ho notato che questo elemento dell’età lui la prova sempre quando parla con un ragazzo… io non voglio abusare di lei come lettore… però, legga, legga qui.

Camilleri: gli viene spontaneo perché quello è il termine di confronto, non è mai con una ragazza. Il confronto è con un ragazzo che può essere tuo figlio, può essere come sei stato tu… perché avviene ad una certa età una cosa agghiacciante, cioè ti rendi conto che quando eri giovane eri più intelligente di quello che sei adesso e questo turba veramente i sonni. In realtà lo si è stati, lo sfaldamento delle cellule cerebrali (ridendo) … vabbè, lasciamo perdere.

Risate.

Camilleri: allora, cosa vuole che legga?

Sinibaldi: c’è un pezzo bello… questo…

Camilleri: allora, sarebbe l’inizio del capitolo sei… io ti giuro su Dio che non so cosa sto leggendo… (risate) “Ci ha pensato macari lei?” “Io? Vedi, io sono arrivato sul posto che già da tempo c’erano i miei uomini. E quando hanno saputo dal padre che Susanna si metteva sempre il casco, l’hanno cercato, senza trovarlo, non solo lungo la trazzera, ma perfino tra i campi dietro i muretti”. “Io non ce li vedo i sequestratori che si portano in macchina Susanna che urla e si dimena col casco in testa”. “Manco io, se è per questo” disse Montalbano. “Ma lei non ha proprio nessuna idea su come sono andate le cose?” spiò Francesco, tra l’incredulo e lo speranzoso. “I picciotti d’oggi! Come sono pronti alla fiducia e come facciamo di tutto per disilluderli!” Pinsò il commissario. Per non fargli vidiri la commozione (ma non potiva trattarsi di un principio di rincoglionimento senile e non di una conseguenza della ferita?) si calò a taliare alcune carte dintra un cascione. Parlò solo quanno fu ben sicuri d’aviri la voci ferma.”. Gli viene questa cosa che viene anche alle persone di una certa età, cioè a dire, le lacrime in tasca. Lui in realtà è debilitato per la ferita quindi ha la commozione facile e se ne vergogna, cerca di nasconderla, però questo ragazzo, qui, è un suo alter ego. È come era lui in giovinezza, per questo lo vede con simpatia, rimane a parlare con lui, è uno che ha in mente di fare lo sbirro come ha fatto lui, e quindi c’è già un certo rapporto.

Sinibaldi: queste sono le parti che più mi hanno colpito, perché in questo confronto capisco meglio questi elementi in cui Montalbano si specchia in Francesco, Francesco è il fidanzato di Susanna che è la ragazza rapita… è uno di cui per un po’ si sospetta pure, no?! Bè, si sospetta di tutti… però lui è innocente… anche senza svelare di più…

De Cataldo: lo dice subito che è innocente.

Sinibaldi: vabbè, tutti dicono di essere innocenti. De Cataldo! mi meraviglia lei!

De Cataldo: guardi qui c’è l’autore!

Sinibaldi: lo chiediamo all’autore?! Pazzesco!!!

De Cataldo: l’autore ci fa capire, da come entra in scena Francesco, che il sospetto fa parte delle regole del gioco ma che non ci crede nessuno che sia il colpevole. Infatti noi non ci crediamo…

Sinibaldi: a me mi ha colpito perché ogni volta si misura un po’ con la ferita, dubita sempre che le sue cose, i suoi stati d’animo siano una conseguenza della ferita o no, insomma Montalbano si misura con questo tempo che passa. Quindi Camilleri, è un po’ la sua autocoscienza che sta diventando centrale nei romanzi. È il rapporto con se stesso, però questo passa attraverso tutte queste figure esterne, le autorità, i colleghi con cui i rapporti sono sempre più difficili…

Camilleri: lui è una spugna. È una spugna Montalbano, no?! Tutto quello che gli capita, che passa intorno a lui, non gli rimane indifferente. Lo colpisce qualsiasi cosa, lo colpisce una bella giornata di sole come lo colpisce la pioggia, ecco! Quindi le sue modificazioni avvengono perché attorno a lui le cose si modificano, come avviene in ciascuno di noi, cioè, se io ho avuto un merito nel creare questo personaggio è di avere fatto un personaggio che si sveglia con me la mattina: Come va? Bèh, oggi non è andata molto bene. Certe volte è noiosissima questa frequentazione. Io lo detesto, certe volte, Montalbano. Però non avendone fatto un personaggio non toccato dal tempo come Maigret, per esempio, per il quale, semmai, cambia il costume vero e proprio dalle cose di celluloide che portava all’inizio della sua carriera, finisce, poi, col portare degli abiti anche piuttosto eleganti anche se non se ne cura, però quello è l’unico segno del passare del tempo. Invece, quello che sempre mi ha colpito, commosso, è la figura del commissario de “La promessa” di Dürrenmatt, che fa una promessa a una madre e invecchia su quella che non riesce a mantenere ma è una sorta di ideale di poliziotto.

Sinibaldi: Montalbano fa una promessa, qui sul libro, alla madre, no!? …si ricorda? Alla madre…

De Cataldo: no! (fa cenno di tacere)

Sinibaldi: …non si può dire?! C’è qualcosa di delicato?

Risate.

De Cataldo: sei in una zona pericolosa!

Sinibaldi: ma quale dici, tu? No, no! Dico quella che gli chiede di fare il padrino… era una cosa delicata, vabbè lasciamo stare. Adesso faccio leggere un’ultima cosa a Camilleri, perché la soddisfazione di fare il regista di Camilleri è divertentissima. No, perché adesso ho capito il cuore del romanzo, secondo me è qua. Perché, qui c’è proprio la coscienza di Montalbano insomma… questa è bellissima!

Camilleri: Si mise in macchina per tornare a Marinella perso darrè un sò pinsèro. Ma potiva definirsi un pinsèro quella sorta di striatura confusa fatta di parole senza senso e d’immagini indefinibili che a tratti gli passava per il ciriveddro? Gli pareva che la so testa era addivintata come quanno, mentre si talia la televisione, lo schermo viene traversato da una striscia sabbiosa, a zig zag, una specie di fastiddiosa, nebulosa interferenza che t’impedisce di vidiri con chiarezza quello che stai taliando e nello stesso tempo ti suggerisce una visione splapita di un altro contemporaneo programma e tu ti trovi costretto a travagliare con le manopole e i pulsanti per capire la causa del disturbo e farlo scomparire. E tutto ‘nzemmula il commissario non seppe più indovi s’attrovava, non riconobbe più il paesaggio consueto della strata per Marinella. Le case erano diverse, i negozi erano diversi, le persone erano diverse. Gesù, indovi era andato a finire? Aviva certamente sbagliato, imboccato un’altra via. Ma com’era possibile se quella strata per anni l’aviva fatta minimo minimo dù volte al jorno?

Sinibaldi: questo è proprio lo smarrimento. Non so se la cosa di Dante, prima, era uno scherzo tra noi… ma insomma, anche qui c’è un uomo che perde la strada… per me il Montalbano di questo libro è soprattutto questo, poi, sì c’è la vicenda, il giallo di cui vi parlerà meglio De Cataldo, il noir che mette in gioco un sacco di cose: la famiglia, la politica con l’unità del mondo… una critica della società senza i toni saccenti. Camilleri ha sempre questo elemento di attenzione al resto, a quello che c’è intorno, però c’è soprattutto questo, a me sembra, questo personaggio che comincia a invecchiare, che comincia ad avere delle forme un po’ inconciliabili di scontro con quello che c’è intorno a sé, è difficile immaginare come si ricostruisca, ad esempio, il rapporto con i suoi colleghi, il rapporto tra lui e i suoi superiori e, poi, c’è molto lavoro sulla lingua. Non so se è una mia impressione, Camilleri, che lei lavori sulla lingua sempre di più nel creare questo elemento fluido… tra l’altro ho letto, poco tempo fa, una cosa che lei ha detto molte volte cioè che la sua lingua è nata dal fatto che lei ha sentito raccontate le stesse cose da suo padre? No, ecco, ora ricordo, lei ha letto le cose a suo padre…

Camilleri: volevo raccontare una cosa a mio padre che era accaduta in uno studio televisivo e gliela raccontai. Quando arrivò mia madre, mio padre disse: senti, Andrea m’ha raccontato… e cominciò a raccontare questa cosa e poi disse: no! Continua tu, che tu la racconti meglio. Allora mi sono cominciato a chiedere perché io la raccontavo meglio? Avevo capito che la storia l’avevo raccontata adoperando parole dialettali e parole italiane e mi sono chiesto, perché in quel punto ho adoperato parole dialettali? E perché in quel punto ho adoperato parole italiane, in lingua? Ecco! Questo è il principio del mio lavoro. Nell’introduzione che il Professor Nigro ha fatto al secondo Meridiano, uscito pochi giorni fa, che raccoglie il 90 per cento dei miei romanzi storici e civili, ha avuto una folgorante intuizione della quale gli do atto, ed è questa: se voi vedete questo libro come è scritto, e vedete la “Forma dell’acqua” vi accorgerete che c’è un’evoluzione, come diceva Sinibaldi, proprio molto forte nel senso della ricerca della lingua. Ricerca di un linguaggio, ricerca di una lingua che non è semplicemente la commistione iniziale dell’italiano con il dialetto. C’è un grande romanzo di Leonardo Sciascia che si chiama “Il Consiglio d’Egitto”. Il Consiglio d’Egitto è una grande mistificazione, nel seicento rischia di sobillare completamente quelle che sono i fatti nobiliari, le strutture nobiliari della Sicilia. A fare questa enorme mistificazione, impostura, è un abate, l’abate Vella. Che fa questa mistificazione per i fatti suoi, quest’abate Vella è aiutato da un frate maltese che si chiama Camilleri. Questo frate maltese che scrive questo codice in arabo in realtà si inventa una lingua che potrebbe essere arabo ma non lo è. Da questo momento in poi, Nigro, mi chiama il maltese… (risate) e non ha torto, perché molte delle parole che, io, ho trovato il coraggio di adoperare sono delle parole che possono forse esistere nel linguaggio dei pescatori del Mediterraneo, ma certo non esistono né nel dialetto siciliano e neppure nella lingua italiana.

De Cataldo: rimane ancora qualcosa da dire? Proviamoci. Io non sono mai obiettivo quando parlo di Camilleri, la cosa ha avuto anche una risonanza pubblica nel senso che, ed è notorio, per la prima volta nella mia vita ho fatto l’avvocato… nella trasmissione radiofonica Sumo facevo l’avvocato difensore di Camilleri, non mi pare che l’accusatore fosse particolarmente armato in quella circostanza, come dire, era molto ben disposto a invocare attenuanti generiche ma abbiamo strappato l’assoluzione piena e di questo sono molto fiero e orgoglioso, però, qui, sono saltato sulla sedia, perché Montalbano, in questo romanzo, mi fa una serie di cose che non aveva mai fatto e la cui mancanza caratterizzava la sua diversità dall’eroe medio del poliziesco contemporaneo, non solo di quello all’italiana, no! Per esempio… ehm… Pepe Carvalho parte depresso. E depresso resta per tutto l’arco della sua vicenda, delle sue narrazioni, con uno sprofondamento quando, nel ’92 per i lavori delle Olimpiadi, gli sventrano la parte vecchia di Barcellona e modificano la visuale traiettoria della città, visuale che per lui è una traiettoria esistenziale, un modo d’essere, di sentire le pietre della città e da questo momento Pepe Charvalho deve andare a trovarsi le sue avventure più riuscite in Argentina o da altre parti del mondo. Maigret, è curiosa questa cosa, va in pensione quando sventrano Les Halles a Parigi. Nell’ultimo romanzo di Maigret del ’72, “L’informatore”, si chiude proprio sulle Halles che vengono trasformate, muore il vecchio mercato per lasciare il posto a questa struttura da metropoli occidentale che ancora adesso c’è. Tutti i grandi investigatori, i grandi poliziotti se volete, ma specialmente quelli che oggi ne scrivono, i più giovani in Italia, sono accomunati da una serie di costanti. Sono quasi tutti con un passato politico, come quello che aveva Pepe Charvalho, e lamentosi su questo passato politico, cioè non gli hanno fatto fare la rivoluzione e loro ce lo ricordano in continuazione. Ad esempio, Fabio Montale, il protagonista di romanzi molto belli, di scrittura molto colorita, molto forte. Izzo è uno che ogni tanto ti piazza una tirata tipo perché il potere è cattivo e noi non ce l’abbiamo fatta a spuntarla… e così via per tutta una serie di eroi reduci o reducisti un po’ lontani dall’immagine reale ma anche dalla realtà del poliziotto o del carabiniere che abbiamo imparato a conoscere di recente a Napoli, Genova e in altri luoghi simili. Come diceva prima Camilleri, che si sveglia con lui tutte le mattine, Montalbano tutte le mattine si sveglia con la realtà italiana e svegliandosi con la realtà italiana, ed essendo immerso nella realtà italiana da quando è iniziata la serie, ha finito per passare, poi, un po’ questa realtà italiana anche all’altro ciclo, al ciclo dei romanzi civili, storici. Le due scritture, secondo me, nell’evoluzione complessiva di lingua, di cui si parlava prima, si sono un po’ accostate anche in un’evoluzione di sentire e di raccontare. Io so che Camilleri rivendica una primogenitura pirandelliana. Io, l’ho osservato e insisto in questo mio tic, in una derivazione verdiana. Mi spiego, parlo di vinti. Camilleri è un grande raccontatore di vinti e ci sono, secondo me, dei punti di contatto tra “Il re di Girgenti”, “La presa di Macallè” e quest’ultimo, “La pazienza del ragno”, che indicano una coloritura che va più sul nero, più sul tono cupo, della visione non solo di Montalbano del mondo, ma della visione di Camilleri. Io questo l’ho registrato, e ho registrato, accanto al nucleo quello del dramma esistenziale di Montalbano che tutte le notti a tri ori, ventisetti minuti e quaranta secondi sta in una condizione drammatica… (risate) Va bene che lo hanno ferito ma si sveglia, lui che è un uomo tosto e antipatico, uno che scaglia i portacenere contro quelli che gli danno fastidio, uno che organizza l’arresto fatto con un sorriso carogna a un testimone antipatico e insopportabile che viene fatto portare, con pubblico scandalo davanti a tutto il paese, in guardina per una mera, come dire, giustizia equilibrativa applicata qui, nel concreto, da Montalbano. Ecco fa delle cose… abbraccia Livia piangendo, piange addirittura, gli viene la lacrima e questo è un indizio interno ma anche un indizio esterno. Montalbano in questo romanzo, come il radicalizzarsi e l’indurirsi della scrittura in Camilleri nei romanzi, è uno che si è, abbondantemente, rotto le scatole del mondo circostante su punti, come dire, traccianti di riferimento estremamente precisi. Una delle bestie nere è la famosa legge “Cozzi-Pini” (risate) che continua a ritornare… In questi anni, Montalbano, è quello che ha colto e ha saputo raccontare meglio l’immagine sporcata del nostro Paese. Italiani brava gente, gli italiani accoglienti. Noi siamo un Paese che ammanetta delle persone che non hanno commesso nessun reato, perché fino a prova contraria cercare di entrare in un Paese visto che non esiste il reato di clandestinità e quindi reato non è, le carica su aerei e le manda in un paese che probabilmente non è il loro, sicuramente in un altro paese che gli accoglie, li mette in dei campi che noi non siamo assolutamente in grado di controllare. Il passo successivo potrebbe essere solo l’operazione “Condor”, quella con la quale prendevano in Argentina gli oppositori politici, li caricavano sugli aerei poi aprivano i portelloni sull’oceano e li buttavano giù. Insomma, voglio dire, dentro a quella che abbiamo chiamato depressione, ma che in realtà è una condizione ancora di combattimento, combattimento all’arma bianca, di Montalbano in tutta questa sua pazienza del ragno, della quale io ho pudore a svelarne anche i contornini, perché siamo in una investigazione estremamente sottile, nel senso che il lettore ha tutti gli elementi per arrivare ad intuire, più di quanto si deve intuire di solito in un romanzo poliziesco. Quindi bisogna stare zitti. Non bisogna dirvi niente, ve lo dovete leggere e dovete arrivare portati per mano verso la conclusione finale e verso la soluzione finale, cioè la scelta di Montalbano.

Sinibaldi: tu sei l’unico magistrato che ancora rispetta il segreto istruttorio.

Risate. (il Sommo se la ride alla grande)

De Cataldo: dipende da quanto offrono, si potrebbe rispondere…

Risate.

De Cataldo: a parte il segreto, c’è il rispetto nei confronti del lettore (Parole sante, NdT). A tutti sarà successo, praticando un po’ di scrittori, di lasciarsi scappare, in qualche recensione o in qualche intervista, qualcosa di più…”hai letto quel romanzo straordinario..” “si lo sto leggendo anch’io” “certo la morte del padre…” … silenzio … “come?! muore il padre???” “ah, perché, non c’eri ancor arrivato???” (risate) Si fa del male a qualcuno inconsapevolmente… e perché farlo, la vita è così breve (Parole santissime, NdT). Quindi, questo incupirsi, ispessirsi e incupirsi, della scrittura di Camilleri fa anche parte, in qualche modo, di un disegno, visto che stiamo parlando di aracnidi, di costruttori di tele e così via. Un altro dei miei pallini, delle mie fissazioni è che nell’evoluzione di Camilleri, intanto complimenti perché evolversi doppiata la boa del romanzo di formazione, ormai i romanzi di formazione si fanno anche a sessanta, sessantadue, sessantacinque anni quando un autore è già… insomma, complimenti, perché uno invece di adagiarsi su una formula va sempre a cercare strade nuove da qui la benefica confusione. Io credo che ci sia una strategia alla fine, al fondo di tutto questo. È vero che, Camilleri, abbia con grandissima sapienza utilizzato due armi poderose, due frecce incendiarie che ha nel suo arco e che ha saputo dosare agli inizi con grandissima sapienza, una è la conoscenza del carattere degli italiani da cui il carattere di Montalbano, i caratteri circostanti quello di Montalbano, un po’ maschere della commedia dell’arte, un po’ grandi maschere intercambiabili. È sempre in evoluzione, ma mai con la velocità evolutiva del carattere principale, quello di Montalbano. E un’altra è la commedia. Io penso che si possa dire, almeno io mi sento di dirlo come lettore retrospettivo di lunga data, non c’è nessuna possibilità di trascinare sul terreno del noir, del poliziesco, ma anche del romanzo storico, del romanzo di impegno civile, della ricostruzione del fatto nazionale, il pigro e maleducato lettore italiano finito nel fiction se non attraverso il gioco dei caratteri e il gioco della commedia. Noi per statuto sappiamo che in Italia alcune cose non si possono dire e non si possono fare. Se voi andate a proporre alla televisione italiana un film o una fiction che si occupa di terrorismo, senza parlare di oggi, oggi siamo ai telefoni pallidi… neanche a quelli bianchi….(risate) ma anche in anni passati, più recenti diciamo… ci sono alcune cose che spaventano. Bisogna avvicinarsi a queste cose che spaventano e che ci raccontano come poi siamo veramente, che ci fanno capire che cosa stiamo diventando. Bisogna avvicinarsi con molta cautela, bisogna prima, forse, guadagnare l’autorevolezza per potersi esprimere e, poi, potersi realmente esprimere, anche questo fa parte delle regole del gioco in Italia. Io, non so, a questo punto, quale sarà il futuro di Montalbano, però 8 è un numero ancora troppo lontano da 10 per poter considerare perfetta una sinfonia, una catena compositiva. Camilleri è meridionale, è meridionalissimo, quando, appunto, diceva prima che i due scrittori feriscono il loro personaggio ci lasciano le penne… qui sta benissimo alla fine Montalbano… (risate) in una forma assolutamente strepitosa e noi ce lo vogliamo conservare mooolto, mooolto a lungo. Però, in questo ultimo libro, c’è un carattere: l’erede, il giovane Francesco, che in qualunque serie televisiva che si rispetti avrebbe fatto scattare immediatamente una variazione di protagonista. Questo, Francesco, picciotto, qui esperimenta, con Montalbano che gli sta accanto e non può fare più di tanto per lui, una cocente delusione esistenziale, ed è un altro vinto, è un altro dei grandi vinti, che Camilleri racconta come la madre del bambino de “Il ladro di merendine” come il piccolino che viene portato via ne “L’odore della notte”… sono dei personaggi in cui non solo Camilleri non ha nessuna paura di giocare col patetico, ma non ha nessuna paura, per fortuna, di essere estremista della scrittura, cioè di alternare la calda e morbida presenza della commedia con degli autentici “sganassoni”. Sono delle variazioni di ritmo che continuano ad eccitare un lettore sempre più avido ma anche sempre più stanco di formule e di cose monotone. Insomma, questo ragazzo, e qui chiudo, che sperimenta questa sua terrificante delusione esistenziale, vedrete come, è l’ideale continuatore, accanto a Montalbano, delle avventure di un uomo stanco e sempre più incazzato, che ha bisogno, sì, di spiegare ai picciriddi come funzionano le cose, cercando di ingannarli il meno possibile, di non mentire ai giovani o meglio mentire il meno, ma che ha anche bisogno di qualcuno pulito, fresco, che gli dia una iniezione di vitalità. Quanto a Livia, secondo me, meno incombe con la sua materna presenza su Montlbano e meglio Montalbano si sente. Qui c’è una finissima… c’è un distacco finissimo in cui c’è un gioco di sguardi, attraverso il quale passa un gioco di sentimenti reciproci, che poi è veramente la vita quella che i grandi scrittori raccontano: io ti amo! Però se stanotte potessi dormire da solo non sarebbe male… ma da solo è, veramente senza nessun sottinteso… Ah! Tu mi mandi via? Ma, tutto sommato, se anch’io potessi avere nella mia vita un piccolo spazio tutto per me non sarebbe male… E questa, signori miei, è finezza. Veramente, grandissima finezza. E adesso… eheheh… adesso parla Camilleri.

Camilleri: parlerò per poco…

De Cataldo: se deve dire qualcosa di brutto guardi lui (indicando Sinibaldi)…

Camilleri: sì!

Risate.

Camilleri: il problema che io mi pongo, tranquillamente è quello della mia resistenza a Montalbano, non della resistenza del pubblico. Io non so come cavolo abbia fatto Simenon a resistere per 72 romanzi a Maigret, che è ‘na cosa da pazzi! Simenon era esagerato in tutto, nella sessualità, nella scrittura… quindi, lui, può reggere un personaggio per 72 romanzi. Io gia mi sento cominciare a mancare l’aria…. (risate) credo di avere trovato la strada di uscirne fuori da questo personaggio, ed è una lotta all’ultimo sangue tra me e lui. Non c’è altra possibilità! (risate) Veramente un regolamento di conti! E credo che ci arriverò, non sto scherzando…

De Cataldo: siamo preoccupati.

Camilleri: sto dicendo una cosa estremamente seria. Perché lui oramai non può più andare avanti, lui ha già passato un certo confine. Qui, il signor giudice vi potrebbe dire quanti reati commette per aggiustare la sua coscienza. In realtà è passato dall’altra parte, quindi la domanda: che ci sta ancora a fare lì? È più che logica. Più che giusta. È un cerchio che si sta chiudendo ma, torno a ripetere, un cerchio tra me e lui. Mi è venuta un’idea, della quale vado orgoglioso. È solo una battuta di un romanzo che sto cominciando a lavorare e che è il decimo però, attenzione del nono non vi parlo, che chiuderebbe la serie. È un inizio, cioè c’è il solito morto in mezzo alla strada, la strada è sbarrata dalla polizia, ma la polizia non può impedire alla gente che abita in quella strada di affacciarsi e assistere a ‘sta bellissima cosa. Montalbano, arriva in ritardo, parcheggia e si scatena questo dialogo aereo: “U cummisariu arrivò!” “U cummissariu, u cummissariu Montalbano!” “Cu??? Chiddru da tilivisioni?” “no! Chiddru vero!”… (risate) quindi il povero Montalbano comincia a pentirsi di raccontare a questo scribacchino delle storie che poi quello racconta a modo suo. Ecco, questo è l’inizio di questa lotta di cui parlavo. Francamente, la difficoltà di scrivere di Montalbano che si fa sempre più forte è dovuta alla facilità di scrivere di Montalbano… cioè, il buon Simenon, diceva che i suoi romanzi su Maigret erano romanzi che lui scriveva con i corrimano, no?! Si aggrappava così e in un mese fischiettando ne tirava fuori uno, mentre i romanzi romanzi, come lui li chiamava, gli costavano una certa faticaccia. Allora, dov’è che io mi creo delle difficoltà? Innanzi tutto nel linguaggio. Mentre prima avevo il pudore di non dare al lettore, oltre all’enigma che ogni giallo che si rispetti porta con se, di dargli anche la difficoltà di dire: oddio! Che ha scritto, che significa questa parola? Quindi c’era già una diversificazione da quello che era la mia scrittura dei romanzi storici e quella che era la più semplice scrittura dei romanzi di Montalbano. Ora questa differenza è quasi non avvertibile fra i due tipi di romanzi che scrivo, i romanzi romanzi per dirla alla Simenon e i romanzi con il corrimano del giallo, diciamo. Il quale giallo, tra l’altro, ha finito di essere giallo, sono definizioni che sussistono ma per pigrizia. In questi giorni mi sta capitando di leggere un libro di una che mette una depressione spaventosa, ed è la biografia anche molto buona di Primo Levi, è scritto da una inglese. Ad un certo punto, Primo Levi si vede rifiutare dalla Einaudi “Se questo è un uomo”, lo pubblicherà con una piccola casa editrice di Franco Antonicelli. Finalmente dopo anni la Mondadori cioè la Einaudi si decide a pubblicare. Poi quando scrive “La tregua” che viene accolta e la pubblicano perché in fondo è “Se questo è un uomo 2”, cioè a dire il seguito! Sennonchè sto povero disgraziato, arrivato ad un certo punto, gli viene in mente di scrivere una serie di racconti. Racconti di fantascienza che strammano, perdonatemi il verbo, la nobile casa editrice. Come facciamo a pubblicarlo? Quello è uno scrittore di documenti! Di esperienze vissute. Non possiamo mica pubblicargli dei racconti di fantascienza. Questo per dire come erano giudicate le cose anche in una casa editrice, con gente come Calvino, come la Ginzburg. Allora trovano una soluzione: per favore ci dia uno pseudonimo! E lui sceglie Damiano Malabaila. Il libro esce con Damiano Malabaila: “Storie naturali”. Pensate, costringono un autore a non firmare i suoi racconti, proprio perché non rientra nel genere. Dopodiché, Italo Calvino nel risvolto, fa un risvolto dove si capisce benissimo che l’autore è Primo Levi… (risate) ’na cosa da pazzi! A questo punto gli scrive un altro povero disgraziato, che si chiama Mario Rigoni Stern e che ha scritto un libro, “Il sergente nella neve”, e che ha scritto un altro libro, però questo di racconti… sugli urogalli!!! Sulle passeggiate nei boschi! Non possiamo pubblicarlo! È un autore di documenti, di storie vere, di storie vissute, come si fa? Allora Italo Calvino ha un’idea geniale: forse mettendo il “Il sergente degli Urogalli”?! …e finalmente gli pubblicano di malavoglia “Il bosco degli Urogalli”! Figuratevi, quando si tratta di gialli, giallo è e giallo deve restare, sono capaci di versare della vernice gialla su tutto… io ho scritto la biografia nel tentativo di capire i rapporti di Pirandello con suo padre: è un giallo! Qui Camilleri indaga… (risate…applausi) Bene, io non so che dirvi, vi devo ringraziare della vostra pazienza, che non è quella del ragno perché quella è nel caso preciso un po’ pericolosa, di avermi ascoltato e spero che questo libro abbia successo. Vorrei chiarire che cosa intendo per successo. Dopo avere scritto “Il giro di boa” io ho ricevuto diecine di lettere di insulti dai miei lettori… non vi dico le lettere di insulti dopo “La presa di Macallè”, lì assommano a centinaia… (risate) Un signore mi dice: lei non può dare le sue idee politiche a Montalbano, mi dispiace per lei ma Montalbano è diventato di tutti noi… (risate) che è la famosa risposta che il sindaco Rebecchini (sindaco di Roma dal ‘47 al ’56, NdT) diede a Charlie Chaplin quando quest’ultimo gli chiese: oh! Che bella chi l’ha fatta questa piazza? Riferendosi alla piazza del comune, e Rebecchini che non lo sapeva rispose: l’abbiamo fatta un po’ tutti noi! (risate)(P.zza del Campidoglio è di Michelangelo N.d.T.) Io mi rifiuto che Montalbano sia un po’ di tutti… leggetelo! Ma lo scrivo io. Montalbano è mio e me lo gestisco io, come si diceva una volta… (risate… applausi) In che senso dico il successo. Ho dovuto eccedere in depressione per evitare che si irrida un po’ troppo, forse ridendo meno riesco a spiegarmi meglio. Come si dice: ora vengo e mi spiego. Ecco! Già una volta ho detto e ripeto che anche davanti ad un romanzo bisogna usare il paracqua. Vedo che ci sono persone più giovani di me ma sicuramente ricorderanno tutti che ai bei tempi della televisione pubblica, solo quella… e te fermi! (risate) … c’era un signore in divisa da colonnello che si chiamava Bernacca che faceva le previsioni del tempo. E ci si credeva. Perché all’epoca si credeva a tutto quello che diceva la televisione. L’ha detto la televisione. Se Bernacca diceva: domenica piove! La gente non usciva da casa. Poi magari c’era un sole che spaccava le pietre… E io mi ricordo in Via Teulada che quando arrivava il colonnello alcuni operai gli facevano: Aaa colonne’…!? e il colonnello rifaceva la sua brava previsione. C’era un mio amico che non credeva, non a Bernacca per carità non aveva nulla contro di lui, ma era prudente e se Bernacca diceva che l’indomani ci sarebbe stato un sole che spaccava le pietre, diceva: “io pu’ sì o pu’ nno… il paracqua mo portu”… (risate) Ora, il mio invito è quello di portarvi sempre il paracqua, il paracqua della ragione. Cioè apritelo davanti alla televisione, davanti ai giornali, davanti ai venditori di fumo, apritelo anche davanti ai romanzi in maniera che poi a testa asciutta, riparata da quel paracqua, potete ragionare veramente di testa vostra… Grazie!

Applausi







Linda (Diligata pe' l'Urbe) - Libreria Il Seme via Monte Zebio 3 - giovedi 7 ottobre Roma



Last modified Wednesday, July, 13, 2011