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Ricordando Nino Cordio

Ricordo di Nino Cordio proiettato in video in occasione dell'inaugurazione della biblioteca intitolata al Maestro





Mi ricordo di aver conosciuto Nino Cordio molti anni fa e fui io ad andarlo a cercare, perché avevo visto una sua mostra ed ero rimasto estremamente colpito da questa mostra. Era fuori Roma e tornando a Roma capitò un’occasione propizia: l’Ente Turismo di Messina mi diede l’incarico, per il resto graditissimo, di fare una sorta di grossa pubblicazione sugli artisti siciliani, scrittori poeti drammaturghi e poi pittori, scultori eccetera…

Mentre, ovviamente, per uno scrittore ti compri i libri, per un poeta ti compri i libri, per scultori, pittori devi vedere le opere o almeno, nella peggiore delle ipotesi, reperire dei cataloghi. E fu compito graditissimo, questa sorta di pellegrinaggio, perché poi veniva fuori una sorta di orgoglio di Piccola Patria. Perché tu capisci, passare da Francesco Messina a un altro Siciliano di pari livello, e quindi… insomma, quanti siamo? È lo stesso che avveniva nella letteratura, nel campo della letteratura…

Bene, ricordo che Nino aveva un suo studio qui a Roma, ora non ricordo esattamente dove collocato ma era… ho una memoria… comunque di periferia, insomma… c’era sempre, attorno, un po’ di quel verde di cui lui necessitava, sicuramente. E lì capitò una di quelle cose che – avevo già una certa età, ero cinquantenne – una di quelle cose straordinarie e cioè del già conosciuto. Cioè a dire, quando tu cominci a parlare con una persona che non hai conosciuto mai prima e cominci a parlare con questa persona e ti rendi conto che l’hai conosciuto da sempre, che è un tuo amico d’infanzia, di una diversa infanzia, perché naturalmente c’era differenza di età, ma potevamo partire con una frase come “Ti ricordi quella volta che Giovanni…” un inesistente Giovanni, ma sarebbe stato possibilissimo dirlo, questo discorso. Dice: la comune ascendenza siciliana… sì, può giocare per un 30%, ma il resto del 70% è fatto di impalpabili giri del sangue, mio e suo, che si sono misteriosamente incrociati. Ecco. Diventammo quindi subito amici, proprio stranamente amici intimi. Ora, questa amicizia intima è continuata per tutta la vita senza una vera frequentazione. In sostanza, le volte che io ho parlato e sono stato con Nino Cordio sono ben poca cosa riguardo all'intensità del rapporto che si rinnovava ogni volta che ci incontravamo: questo è il lato misterioso di questo rapporto. E tutti e due avevamo questa voglia di riproporci reciprocamente questa intensità di sentimento. Ora, questo era già un bene prezioso.

Devo dire che Nino mi faceva gioia, anche questo voglio dirlo in modo non commemorativo, perché se Dio vuole, a parte il momentaneo e duraturo dolore di una perdita di presenza, rimangono le opere che sono la cosa fondamentale di un artista. Quindi Nino mi ha dato e continua a darmi gioia.

Mi è capitato di mettere su una casa, che era la vecchia casa di mia madre che era stata venduta, in Sicilia, e ricomprata, e “dovevo arredare”, come si usa dire. Nino mi aveva regalato un melograno, un’incisione, lo feci incorniciare, lo misi e non sono riuscito a metterci, dentro quella camera che è piuttosto grande, altro. Non perché non ci fosse lo spazio – lo spazio c’era eccome - ma il fatto è che quell’incisione di Nino riempiva la camera: ogni altra cosa sarebbe stata un “di più”, lui aveva già colmato quel bisogno, quella necessità che ogni stanza ha di avere qualche cosa che la renda viva. L’aveva resa talmente viva che sarebbe stato inopportuno aggiungerci altro.

Un’altra cosa che vorrei dire di Nino era la sua solarità. Uno dice… è una parola che può significare tutto e nulla. Ma la solarità di Nino si rifletteva totalmente nelle sue opere ed era per esempio data da due elementi fondamentali.

Uno era la lealtà, lealtà del rapporto col mondo, non solo con le persone ma col mondo, cioè il suo tentativo di vedere il mondo in un modo pacifico, in un modo leale, cioè il vedere non solo il dolore offeso, come direbbe Vittorini, del mondo, ma vederne anche il momento della felicità.

C’è una cosa che mi ha sempre colpito, l’ho scritto, non letterariamente, l’ho scritto per verità intima mia, cioè il fatto che io dico che lui coglie il quotidiano vivere del mondo come una nascita, con l’entusiasmo dell’aspettativa che ogni nascita dà. Certi suoi fiori sono nati sul momento e hanno questa forza dell’essere appena nati, e allora ti danno come una sorta di speranza, proprio, e forse Nino magari dentro di sé non aveva tutta questa speranza, la voleva dare, che è un altro discorso. Era qualità umana, questa.

E l’altro era il suo interesse per gli altri. Frequentando qualche artista, qualche scrittore, qualche poeta, frequentando fortunatamente poco quel mondo, ogni volta mi sono accorto di una specie di critica che ogni scrittore muove a un qualche collega. Difficile che in uno scrittore ci sia l’assoluta accettazione di un altro scrittore. Io non ho mai sentito dalla bocca di Nino uscire un giudizio acremente negativo nei riguardi di un suo collega, mai. Nino, se poteva, sceglieva un’altra possibilità, se poteva non ne parlava. Ecco: in che senso io dico lealtà verso il mondo? Proprio in questo senso. Se mai, gli potevi rimproverare, a Nino, una certa generosità verso gli altri, se un rimprovero si può fare a un uomo generoso.

C’era poi, e questa è una cosa sulla quale non finirò mai di insistere, il suo sorriso: e questo è un fatto importante. Nino aveva degli occhi che… per lui sarebbe stato difficilissimo dire una cosa per l’altra o mentire, con quegli occhi che si ritrovava, nel senso che erano uno specchio di quello che lui era. E questi occhi io non li ho mai visti intorbidire, devo dire che non glieli ho visti intorbidire neanche nel momento in cui era in clinica. E poi a questo sguardo si aggiungeva, certe volte, questo sorriso, bellissimo, in cui tutto il suo essere rientrava in armonia con se stesso. Era un sorriso, uno direbbe, aperto, ma quel sorriso era un varco, una fenditura attraverso la quale uno poteva interamente entrare in Nino, e possederlo, perché lui si offriva agli altri con lo stesso sorriso di un bambino.

Andrea Camilleri - Santa Ninfa, 28.4.2001 (Trascrizione a cura di Paola)



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