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Una favola



Solone si alzò e disse ai discepoli, i quali avevano con lui diviso il pasto, che si sarebbe allontanato per un'oretta. Vecchio e stanco, non mancava mai il quotidiano sonnellino pomeridiano. Da tempo non aveva più la logorante responsabilità dello Stato, ma da tutte le parti della Grecia molti gli venivano a domandare un consiglio, un parere, e lui non sapeva rifiutarsi. Dormì di un sonno profondo e, quando si svegliò, rimase stupito di non sentire le voci dei discepoli accalorati nelle consuete discussioni di politica e di filosofia. "Sono andati via tutti" gli comunicò un servo. Solone si meravigliò. Ebbe uno scatto d'orgoglio: che poteva esserci in quel momento in Atene di più importante del suo insegnamento? "Dove sono andati?" "A vedere una cosa dalle parti dei tempio di Dioniso" rispose il servo. Non seppe resistere alla curiosità e uscì di casa. Per strada, notò che tanta era la gente che faceva lo stesso suo percorso, gente animata, eccitata. Quando arrivò in una specie di spiazzo a ridosso del tempio, rimase deluso. I molti convenuti stavano in piedi davanti a un rozzo carro di legno, le cui stanghe erano poggiate su due pali infissi sul terreno, i buoi invece erano stati legati a un albero. Tutto qui? Per capirci di più si spostò lateralmente sino ad arrivare a fianco del carro: dietro di esso, seminascosto, un uomo piccolo, minuto, si stava svestendo lentamente, quasi officiasse un rito. D'un tratto, in uno spazio esiguo proprio di fronte al carretto, ricavato a fatica tra la gente, erano comparsi alcuni uomini coperti di stracci e divisi in due gruppi. Fingevano di essere dei prigionieri maltrattati che si lamentavano del loro destino e invocavano la salvezza, la libertà. Al culmine delle loro preghiere, l'uomo dietro il carro, ormai rivestito solo di pelli di leone, alzò a stento una clava enorme e prese a trascinarla con fatica su per una corta scaletta che arrivava all'altezza dei pianale. "Sono io, Eracle!" disse l'uomo apparendo ai finti prigionieri e alla folla. E agitò in aria la clava diventata, di colpo, senza peso. Solone rimase esterrefatto. Dove era andato a finire l'uomo mingherlino che aveva visto salire sul palco? Su quelle sconnesse tavole ora giganteggiava un essere sovrumano, gli occhi lampeggianti, la barba squassata da un vento d'ira, la voce metallica,. era Eracle riapparso, Eracle tale e quale Solone l'aveva immaginato. La folla, a vederlo e a sentirlo, si tratteneva a stento dal crollare in ginocchio. Poi Eracle, con un solo gesto ampio del braccio, liberò i prigionieri e disse loro parole di conforto: inspiegabilmente, anche Solone sentì che le parole dette da Eracle lo liberavano da altre catene, diverse, catene che stavano dentro di lui, nel più profondo, arrugginite ma saldissime fino a un momento prima. Si sentì così alleggerito da provare una sorta di capogiro. Sedette per terra coprendosi il volto col mantello, fino a quando una mano gli toccò leggermente la spalla, una voce devota lo chiamò. "Maestro! Non sapevo che anche voi eravate qua." Era Tisia, il più caro dei discepoli. "Volete che vi aiuti ad alzarvi?" Solone afferrò le mani del giovane, si rimise in piedi. "Anche voi avete visto, Maestro?" "Si." "Che ne pensate?" "Ne verrà un gran male" disse Solone pensieroso e turbato. Tisia non capì, ma rispettò il suo silenzio. "Come si chiama quell'uomo?" domandò Solone a un tratto. "Tespi. Ma quando sale sul carro preferisce essere detto upokrites, "Colui che dà le Risposte". "Quell'uomo ha il Potere" disse Solone. A sera, il vecchio statista si fece ricevere dall'Arconte Maggiore. Parlarono tutta la notte. Com'è a tutti noto, cinque giorni dopo quell'incontro notturno, il cadavere di Tespi venne ritrovato in fondo a un burrone, accanto le carcasse dei buoi e il carro sfasciato. Un incidente, dissero. Due giorni appresso la morte di Tespi, l'Arconte Maggiore emanò una Legge. In sostanza, essa obbligava tutti coloro che volessero apparire 'altro da sé' a indossare coturni e maschera: i coturni dovevano dimostrare che il loro ingigantirsi sul palco era semplicemente dovuto all'uso di scarpe di suola molto alta; la maschera, oltre a celare il cambiamento del volto dell'upokrites, era necessaria per spiegare razionalmente il tono bronzeo della voce. Così camuffato, Colui che dà le Risposte lentamente si dissolse per dar corpo all'Attore, a colui che aveva il compito di raccontare i sogni degli uomini, ma con parole non sue. Pochi seppero che, nel chiuso della sua stanza più chiusa, Solone aveva ottenuto una promessa solenne dagli Dei: mai più Colui che dà le Risposte sarebbe ricomparso sulla terra. E la promessa venne mantenuta, malgrado che agli Dei di Solone se ne fossero sostituiti altri e altri ancora. Molti secoli dopo, qualcuno che del teatro aveva fatto la sua ragione di vita intuì che l'attore, in origine, doveva essere stato qualcosa d'altro. Alcuni lo seguirono nella ricerca, ma tutti i tentativi di far riapparire tra noi Colui che dà le Risposte gloriosamente fallirono. Più degli altri vicino all'epifania arrivò un poeta di Francia, si chiamava A.A. ed era stato anche un attore. La luce accecante della rivelazione l'abbagliò ed egli non riuscì più a distinguere i quotidiani contorni della vita. Ritenuto folle, venne chiuso in un manicomio dove morì.

Questa favola un vecchio uomo di teatro la dedica ai giovani Attori convenuti quest'anno a San Miniato*: perché sappiano chi furono, chi potrebbero tornare ad essere.

Andrea Camilleri

*San Miniato: cittadina toscana dove ogni anno in giugno e luglio si tengono i corsi della Scuola Europea per l'Arte dell'Attore. http://www.teatrodipisa.pi.it/prima.htm

Il testo risale alla XIII edizione, quella cioè del 1997.

Segnalazione di Francesco Cordio



Last modified Wednesday, July, 13, 2011