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Umoresche



Autore Anton Čechov
Cura e traduzione Carla Muschio
Prezzo € 12,00
Pagine 228
Data di pubblicazione 8 novembre 2014
Editore Barta
Collana qzerty / qwerty



O del perché Andrea Camilleri, nel suo scritto introduttivo, dice che è un libro di divertentissima lettura e nello stesso tempo un fondamentale contributo per una migliore comprensione della complessità creativa di Čechov.


Chi conosce le opere maggiori di Anton Čechov forse si stupirà di trovare il nome del grande drammaturgo accostato a semplici racconti comici. L’«umoresca», difatti, è un termine mutuato dalla musica, ove indica una canzone simile allo «scherzo», e in letteratura indica una miniatura umoristica in prosa o in versi.
Le umoresche di Čechov, databili tra il 1880 e il 1886, nacquero quando il giovane Anton aveva appena raggiunto la famiglia a Mosca dalla nativa Taganrog: si era iscritto all’università e doveva mantenersi e, se possibile, aiutare anche i familiari, economicamente fragili. Il «la» glielo offrì un fratello illustratore, che lo introdusse nell’ambiente delle riviste umoristiche: Čechov provò a scrivere per esse, e scoprì che gli riusciva assai bene. Negli anni seguenti produsse così una notevole mole di racconti (e qualche disegnino), quasi tutti inediti per il pubblico italiano.

«Desidero spiegare come ho raccolto i testi qui presentati. Avrei potuto, con intento filologico, tradurre tutte le umoresche di Čechov inedite in Italia, fino all’ultima virgola, così da allargare al massimo la conoscenza di uno scrittore tanto amato. Ho deciso invece di trascurare anch’io, come ha fatto Čechov, quei testi che hanno perso di attualità in quanto riferiti a fatti di cronaca, personaggi, realtà che non si conoscono più. Ho escluso anche i racconti che mi apparivano troppo elementari, dilettanteschi. Cosa è rimasto? Un florilegio di testi divertenti, allegri, leggeri, sottratti alla malinconia del mondo» (Carla Muschio).

Anton Čechov (1860-1904), scrittore e drammaturgo. La sua produzione narrativa consiste di una straordinaria quantità di racconti, permeati da una peculiare, impalpabile atmosfera. Come drammaturgo, Čechov rinnovò radicalmente il teatro con lavori quali Lo zio Vania (1900), Le tre sorelle (1901), Il giardino dei ciliegi (1903).
«Sì, a dire la verità, è difficile inseguire l’umorismo! Certe volte cercando l’umorismo [...] senza volerlo sconfini nel campo del serio» (da una lettera all’editore N.A. Lejkin, 17 aprile 1883).
Carla Muschio, scrittrice, ha tradotto molti classici dal russo e dall’inglese. Questo non è il suo primo Čechov.
«C’era tanta neve. Acquistai per pochi rubli un CD intitolato Opere complete di Čechov da una delle bancarelle improvvisate che si trovano dappertutto a Mosca. Aprendo il disco scoprii che conteneva, oltre alle opere note, molti deliziosi testi umoristici rimasti miracolosamente inediti in Italia. Mi venne subito voglia di scegliere i più belli e di tradurli».



Lo sfaglio di Sharoff. Una premessa

Piotr Sharoff, grande regista russo che, giovanissimo, era stato prima allievo e poi assistente di Stanislavskij e di Nemirovic-Dancenko al Teatro d'Arte, più volte ebbe modo di raccontarmi come Čechov, al termine delle prove generali dei suoi spettacoli, spesso non si mostrasse pienamente soddisfatto delle regie di Stanislavskij.
A dirla così, sembra addirittura una bestemmia. Ma come?! La consacrata e celebrata coppia autore-regista, tramandata come esempio più unico che raro di collaborazione assoluta tra creatore e interprete, aveva delle crepe segrete?
Mi diceva Sharoff che a queste prove Čechov assisteva standosene seduto da solo in platea, mentre gli altri componenti della compagnia, che non partecipavano allo spettacolo, venivano relegati nel loggione. E da lì gli occhi di tutti puntavano non sul palcoscenico, ma sul solitario spettatore in platea che spesso si agitava sulla poltrona, sbuffava infastidito o faceva ripetuti cenni d'assenso con la testa o muoveva le mani in un silenzioso applauso.
E quando Stanislavskij, senza nemmeno levarsi l'abito di scena, si precipitava in sala per sentire il parere di Čechov, questi prima gli diceva i motivi di soddisfazione, che erano tanti, e poi i motivi di insoddisfazione, che erano sempre due e sempre gli stessi.
Il primo era per l'eccesso di realismo nella messinscena, per esempio quando seppe che le foglie che cadevano dagli alberi del Giardino dei ciliegi erano vere, andò letteralmente in bestia. Una spia del suo ideale scenico può intravvedersi nell'entusiasmo che invece dimostrò per la soluzione trovata per rendere una didascalia fondamentale che si trova sempre nel Giardino. La didascalia dice suppergiù: "si sente il rumore della corda del pozzo che si spezza". Ho detto che si tratta di una didascalia fondamentale perché da quel momento in poi la commedia svolta decisamente verso la sua conclusione. Ma attenzione: la scena rappresenta il salone della villa, oltre la vetrata del quale si vede il giardino col pozzo. Quindi quel rumore, realisticamente, non può essere udito dall'interno della villa. Di fronte a questo problema, dopo una serie di vani tentativi, Stanislavskij si arrese.
Fu Nemirovič-Dančenko a trovare la soluzione che tanto piacque a Čechov e che non aveva niente a che fare col realismo. Nemirovic-Dancenko fece ben tirare da un muro all'altro del retropalco otto corde di pianoforte, su quattro delle quali attaccò dei campanellini cinesi. Poi, al momento dovuto, le quattro corde coi campanellini furono fatte vibrare con uno strappo secco e deciso di mano mentre le altre quattro venivano contemporaneamente suonate con un arco da contrabbasso. Ne venne fuori un suono basso, cupo, percorso da un tintinnio, un suono profondo e misterioso.
Il secondo, e certo più grave, motivo di dissenso, riguardava l'interpretazione registica del testo che si può semplificare così: Čechov considerava come "commedie" le sue opere teatrali, mentre Stanislavskij le metteva in scena come fossero "drammi".
Čechov rimproverava al regista di costringere lo spettatore all'impossibilità di ridere o di sorridere in qualche momento della rappresentazione.
Confesso che, quando sentivo Sharoff ripetere che Čechov pensava che nelle sue maggiori opere teatrali ci fosse un qualcosa di divertente, rimanevo assai perplesso. Assistendo alle belle messinscene cechoviane di Visconti, Costa e Strehler non avevo mai sorriso, anzi. E, da regista, anche volendolo cercare col lumicino, non avrei saputo individuare uno spunto che muovesse al sorriso.
Che Čechov fosse capace di straordinari, irresistibili exploits comici era pacifico, sugli otto atti unici che scrisse prima delle grandi opere, la maggioranza rappresenta altissimi esempi di comicità pura e di tragicomicità.
Ma non mi pareva che l'autore avesse, come dire, travasato nelle opere maggiori l'ironia, se non la comicità, che anima i suoi lavori in un atto.
Così un giorno chiesi a Sharoff da che parte stesse lui: erano commedie o drammi? Non ebbe un attimo d'esitazione: "Sono commedie". E lo dimostrò splendidamente quando, ultraottantenne, mise in scena al romano Teatro della Cometa Zio Vanja. I maggiori critici di allora, Radice, Prosperi, De Feo, scrissero di essersi trovati di fronte a un "nuovo" Čechov. In realtà non c'era niente di nuovo se non il fatto che la lettura registica era in chiave di commedia. Momenti di alta tensione emotiva a causa di un dettaglio come un'intonazione, un gesto, una pausa, si scioglievano in una risata liberatoria.
Ma, badate bene che tutto era già nel testo, non si trattava di aggiunte esterne, registiche. Un fiume carsico che bastava poco per farlo tornare a scorrere all'aperto.
Da allora mi sono sempre domandato dove fosse situata la fonte originaria di quel fiume.
Non certo nella sua stessa narrativa conosciuta, costituita da racconti di altissimo, eccezionale livello stilistico e di straordinaria modernità che però nella quasi totalità dei casi sono improntati a un più o meno cupo pessimismo.
La risposta a quella mia vecchia e irrisolta domanda credo d'averla finalmente ricevuta.
Si trova tra le pagine di questa raccolta di scritti cechoviani, finora inedita in Italia, e che si intitola Umoresche. Che cosa siano queste umoresche lo spiega molto bene la traduttrice, la quale racconta anche le fatiche sostenute dagli studiosi russi per portare a termine la raccolta, trattandosi di composizioni brevi o brevissime (addirittura alcune sono didascalie a disegni del fratello o di altri) apparse su giornali umoristici e firmati dal giovane studente in medicina con diversi pseudonimi.
Lo trovo un libro di divertentissima lettura e nello stesso tempo un fondamentale contributo per una migliore comprensione della complessità creativa di Čechov.
Ci sono qua dentro soluzioni narrative di fulminea sinteticità che cortocircuitano la risata, come per esempio, Agenzia di annunci di Antoša C., o scritti decisamente comici come In stile americano, ma quello che più mi ha colpito, proprio per la domanda che mi portavo appresso, è la rivelazione della tecnica che l'autore mette in atto per ottenere un effetto umoristico.
Si tratta di inserire, all'interno di una certa situazione, un dettaglio minimo, uno scarto, uno sfaglio che mandi all'aria la situazione stessa virandola al ridicolo.
Porto un esempio, grossolano ma efficace, per chiarire quanto ho scritto. Nel componimento intitolato Del più e del meno una coppietta è seduta su una panchina del parco. Il giovane sta dichiarando il suo amore alla ragazza che arrossisce ma non gli risponde. Il che porta il giovane a espressioni sopra le righe come "o una vita con voi o il non essere assoluto" oppure "rispondete, altrimenti muoio!".
E quando la ragazza finalmente si decide a dirgli che anche lei l'ama e apre la rosea boccuccia, le scappa un improvviso e inatteso "ah!" di disgusto. Che ha visto? Lascio la parola a Čechov: "Sui nivei colletti del ragazzo, inseguendosi, corrono due enormi cimici"… Questa è la chiave dell'umorismo čechoviano.
[...]
Andrea Camilleri

(Il testo sopra riportato è stato pubblicato su La Repubblica, 9.11.2014)



I brani riportati nel seguito sono stati pubblicati su La Repubblica, 9.11.2014

Uno straordinario mezzogiorno di gelo.
Scintilla il sole in ogni cristallo di neve. Non tira vento, non c'è una nuvola.
Su una panchina del viale è seduta una coppietta.
«Io vi amo!», mormora lui. Sulle guance della ragazza si accendono amorini rosa.
«Vi amo!», procede lui… «La prima volta che vi vidi capii per cosa vivo, conobbi lo scopo della mia vita! O una vita con voi, o il non essere assoluto!
Mia cara! Mar'ja Ivanovna! Sì o no?
Manja! Mar'ja Ivanovna… vi amo… Manecka… rispondete, altrimenti muoio! Sì o no?».
Ella solleva i suoi grandi occhi e lo guarda. Vuole dirgli: «Sì».
Apre la boccuccia.
«Ah!», strilla.
Sui nivei colletti del ragazzo, inseguendosi, corrono due enormi cimici… Oh, che orrore!!…

«Mammina cara», scriveva un certo artista alla sua mamma, «vengo a trovarvi! Giovedì mattina avrò la fortuna di stringervi al mio petto traboccante d'amore! Per prolungare la dolcezza dell'incontro, porto con me… Chi?
Indovinatelo! Non lo indovinerete! Porto con me un miracolo di bellezza, una perla dell'arte mondiale! Vi porto (vedo il vostro sorriso) l'Apollo del Belvedere!…».
«Caro Kolecka», risponde la mammina, «sono molto contenta della tua visita.
Che Dio ti protegga! Tu vieni, ma non portare con te il signor Belvedere, già così non abbiamo abbastanza da mangiare!…».

A teatro danno l'Amleto.
«Ofelia!», urla Amleto.
«Oh, ninfa! Prega per i miei peccati…».
«Vi si è staccato il baffo di destra!», sussurra Ofelia.
«Prega per i miei peccati… Eh?».
«Vi si è staccato il baffo destro!».
«Mal-ledetti!… nelle tue sante preci…».

Napoleone I invita a un ballo di corte la marchesa de Chailly.
«Verrò con mio marito, Vostra Altezza!», dice madame de Chailly.
«Venite sola», risponde Napoleone. «La carne buona mi piace senza senape».

(da Del più e del meno. Poesia e prosa)

Ci riferiscono per vero che pochi giorni fa in un ospedale ebbe luogo il seguente doloroso evento. Il celebre chirurgo M., che doveva amputare ambedue le gambe a uno scambista delle ferrovie, per distrazione amputò una gamba a se stesso e l'altra all'infermiere che lo assisteva. È stata prestata assistenza medica ad entrambi.
(Il colmo della distrazione)

Ci scrivono che recentemente un dipendente del «Kieviano», tale T., leggendo i quotidiani moscoviti venne assalito dal dubbio ed effettuò una perquisizione in casa sua.
Pur non avendo trovato nulla di riprovevole, egli comunque si portò alla stazione di polizia.
(Il colmo della lealtà)

A un signore avevano rubato il cavallo.
L'indomani tutti i quotidiani pubblicarono il seguente annuncio: «Se non mi verrà restituito il cavallo, la necessità mi costringerà a ricorrere ai rimedi estremi cui ricorse mio padre in circostanze simili». La minaccia fece il suo effetto. Il ladro, non sapendo cosa temere, ma supponendo che si trattasse di qualcosa di particolarmente tremendo, si spaventò e di nascosto riportò il cavallo.
Quel signore, felice per il risultato, parlando con un conoscente ammise di essere molto contento di non aver dovuto seguire l'esempio di suo padre.
«Ma che aveva fatto vostro padre?», chiese quello.
«Mi domandate cosa fece mio padre?
Ecco, ve lo dirò… Quando in una locanda gli rubarono il cavallo, si mise la sella sulla schiena e tornò a casa a piedi. Vi giuro che avrei fatto lo stesso se il ladro non fosse stato così gentile e puntuale!».
(Una minaccia)

Domande
1) Come conoscere i pensieri di lei?
2) Dove può leggere un analfabeta?
3) La moglie mi ama?
4) Dove, pur muovendosi, uno è fermo?
Risposte (testo invertito)
1) Fatele una perquisizione.
2) Nei cuori.
3) La moglie di chi?
4) Al comando di polizia.
(Domande e risposte)

Caro signore! So tutto! Questa settimana ci sono stati sei incendi di grossa entità e quattro minori. Un giovanotto si è sparato a causa del suo amore passionale per una signorina e quella stessa signorina, saputo della sua morte, ha perso il senno. Si è impiccato il netturbino Guskin per abuso di alcol. Nel giorno di ieri è affondata una barca con a bordo due passeggeri e un bambino piccolo… Povero bimbo! All'«Arcadia» hanno forato la schiena a un mercante e per poco non gli hanno rotto l'osso del collo. Sono stati acciuffati quattro truffatori vestiti bene e ha deragliato un treno merci. Io so tutto, mio caro signore! Tanti casi fortunati corrispondono ad altrettanti soldi nelle vostre tasche e a me non avete dato neanche un copeco!… Una persona onesta non si comporta così!
Il vostro sarto Zmirlov
Comunicazione dell'Uomo Senza Milza
(Lettera a un giornalista)

Sono un agente di borsa. Ogni mattina mia moglie mi dà la borsa e mi manda al mercato a fare la spesa.
Sono un consigliere di palazzo. Ogni mattina prima di andare al mercato tengo consiglio con il portinaio nel cortile del mio palazzo sugli affari correnti.
Sono una guardia di quartiere perché guardo sempre il mio quartiere.
Sono un nobile della corte, è fuor di dubbio. La sera passeggio nella corte del mio condominio, d'estate mi piace dormire all'aperto nel cortile, faccio la corte alla figlia del portinaio e mi dicono sempre che i miei cani starebbero bene alla corte dei miracoli.
(Da I miei gradi e titoli)

Anton Čechov



Last modified Friday, November, 28, 2014