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Una storia anche d'amore



Autore Francesco De Filippo
Prezzo Lire 24.000
Pagine 180
Data di pubblicazione 2001
Editore Rizzoli
Collana  



Sullo sfondo di una fiabesca storia d'amore, Francesco De Filippo costruisce il suo romanzo d'esordio descrivendo un microcosmo dominato da una umanità caricaturale, raccontata con delicati simboli neorealisti. Anita ama Teodoro per undici, interminabili anni, senza ottenere che l'oggetto delle sue attenzioni, perduto in un'isolante astrazione, si distragga dalla solitudine. Destatosi per un attimo, la amerà anch'egli sino a sposarla, fino al giorno in cui, debole nello spirito, la abbandonerà per tornare nel suo rifugio di spettri. Solo in fin di vita, tornerà alla ricerca del suo amore


Storie stralunate dietro il Vesuvio
Recensione di Andrea Camilleri (La Repubblica, 8.3.2001)

La Rizzoli ha annunziato qualche giorno fa la nascita di una nuova collana di narrativa, chiamata «Sintonie» e riservata a scrittori italiani esordienti o già sperimentati. Perché «Sintonie»? Dalla casa editrice spiegano il comune denominatore tra De Filippo, Ballestra, Beltrame, Colasanti, Picca, Casa, Demarchi, Severini e Permunian (questi i nomi degli autori in lista) individuandone la reciproca sintonia in alcuni punti essenziali, in primo luogo lo «stralunamento» (attenzione a non scrivere «straniamento» perché altrimenti ricadremmo in questioni vecchie e ormai francamente noiose), vale a dire che la realtà (di preferenza la realtà della provincia) è raccontata attraverso una loro personale lente deformante che può essere l'ironia, l'umorismo, l'oniricità, il fantastico. Tutti scrittori, dicono alla Rizzoli, che «prima ancora di avere un'idea della realtà, ne hanno il sentimento», e fanno nomi di padri ispiratori come Landolfi, Delfini e Zavattini. Per buon peso, aggiungono i nomi cinematografici di Fellini e Benigni e quello teatrale di Marco Paolini. Non sono indicazioni estremamente precise, ma servono a dare un'idea abbastanza chiara degli intenti. I quali intenti non possono che essere salutati con piacere e con speranza: tra cannibalismo, psicologia della nonna e ombelichismo come visione del mondo, francamente l'avvenire ci appariva alquanto grigio e sconsolato.
Il primo volume di «Sintonie» è da qualche giorno in libreria.
S'intitola “Una storia anche d'amore” ed è il romanzo d'esordio di Francesco De Filippo, quarantenne, napoletano, giornalista (Rizzoli, pagg.180, lire 24.000).
Romanzo che ci è subito apparso non come apripista, ma addirittura come alfiere del manipolo che lo seguirà, tanto le ragioni di «Sintonie» balzano con assoluta evidenza nel Dna di questo scrittore. Il racconto della trama (perché, se Dio vuole, una trama c'è) aiuterà a capire meglio di qualsiasi discorso. Tutto è ambientato a Maciullina, una località talmente immaginaria da essere collocata «sulle» spalle del Vesuvio, però dal lato opposto a quello delle solite cartoline.
Ora il lato opposto di una cartolina illustrata è lo spazio bianco riservato alle frasi di chi le invia: ebbene, è proprio su questo spazio che De Filippo scrive la storia di due abitanti di un paese destinato a non esser visibile, ma che lo diviene in virtù delle parole del, diciamo così, mittente.
Teodoro Faxa, natio di un paese vicino Comacchio, arriva a Maciullina nel 1948 dopo che un fratellastro del padre, Camillo, l'ha fatto imbarcare, per uno scherzo alla madre. Camillo, gran donnaiolo, non lo segue. Teodoro, a Maciullina, s'impiega e nell'ufficio conosce Anita Dolores del Gesù (il cui vero nome è Alice), napoletana, che era arrivata a Maciullina seguendo Augusto Diaz, siciliano di Caropepe, che l'aveva avuta undicenne. Poi il siciliano sparisce. La mattina del 2 gennaio del 1960, vale a dire undici anni, quattro mesi e ventiquattro giorni dall'averlo conosciuto e frequentato in ufficio, Anita dichiara a Teodoro il suo amore per lui. Teodoro non risponde alla dichiarazione di Anita. Dopo essere uscito dall'ufficio, passa all'emporio di Eduardo Matta, compra un giornale, si siede sulla solita panchina a leggerlo e poi torna a casa passando davanti al casino dove anni prima aveva avuto la sua prima e unica esperienza sessuale. Soltanto a notte tarda realizza quello che gli ha detto Anita e piomba nel panico. Si sveste e si riveste più volte non sapendo che fare e ignorando di star provocando un grave scompiglio. Infatti la sua ombra, proiettata sull'edificio di fronte, terrorizza un gruppo di uomini, giovani e anziani, usi a riunirsi sui tetti delle case vicine per masturbarsi guardando la bella Virginia Postiglione che si masturba a sua volta (credetemi: è una scena esilarante condotta con gusto e finezza di scrittura notevoli e rari).
Mentre Teodoro lentissimamente comincia a prendere coscienza dell'amore di Anita, lo zio Camillo capita improvviso a Maciullina, praticamente il tempo di portarsi a letto Anita e scomparire di nuovo. Due anni dopo la dichiarazione, Teodoro e Anita si danno il primo bacio, tre mesi appresso ballano insieme a una festa segretamente organizzata da Teodoro proprio per Anita, un anno più tardi fanno l'amore per la prima volta. Si sposeranno sette anni dopo la dichiarazione, ma il matrimonio durerà appena quattro anni e poi Anita, stanca dell'impenetrabilità di Teodoro, abbandona Maciullina. Solo allora Teodoro scoprirà d'amarla e tenterà con tutti i mezzi, dalla telepatia alla religione, di farla tornare. Inutilmente.
Teodoro forse muore nel 1972, «schiantato» nella locanda di Tonino di Stasio dopo aver saputo che Anita e lo zio Camillo erano stati insieme. Ho scritto che «forse muore» perché nessuno ne constata il decesso. Eduardo Matta, il proprietario dell'emporio, ritroverà per caso Anita nientemeno che a Madrid.
Questa è la storia, ma raccontandola mi accorgo di recarle un grave nocumento, costringendola in una sorta di linearità narrativa che non appartiene all'autore e che umilia lo svolgimento del racconto. E infatti: come far entrare in questo riassunto sommario personaggi minori che sono tutt'altro che minori, come Patrizio Borriello che comunica col mondo esterno con una sveglia gigante o come Aureliano Pisellino Esposito che va a finire in manicomio o come la prostituta Susy?
E poi rimangono fuori «fatti» fondamentali come l'arrivo nel 1960 in casa di Teodoro di una lavatrice scambiata prima per un'opera d'arte, riconosciuta come elettrodomestico solo l'anno dopo quando Teodoro vede Anita che estrae il bucato dalla propria lavatrice. Quella di proprietà di Teodoro verrà finalmente messa in funzione l'anno seguente proprio da Anita. E non si tratta, lo ripeto, di un avvenimento trascurabile. E altrettanto non trascurabile è la narrazione di come Teodoro si fabbrichi un suo personale profumo distillandolo da un pezzo di chiglia di una barca tirata in secco a Comacchio. Quel pezzo di legno se lo porterà appresso a Maciullina e quando anni dopo dovrà procurarsene un altro non esiterà ad aprire una falla nella chiglia di un pescatore, distillandone tanto da riempire una damigiana che dovrebbe durare un decennio. A questo punto mi accorgo che il mio è stato un atto di presunzione, che è molto difficile raccontarlo per filo e per segno, questo romanzo. Certo, un filo e un segno ci sono, eccome, ma il fatto è che personaggi e situazioni affiorano d'improvviso, si perdono, riaffiorano seguendo il flusso di un'assoluta felicità narrativa, per un estro inventivo che solo l'abilità e la misura dell'autore riescono a non far tracimare e anzi lo rendono, appunto, armonico.
Ma non bisogna lasciarsi ingannare dalle sparizioni e dalle riapparizioni che possono dare l'impressione di una accelerazione del tempo. Anzi. Direi che questo romanzo è un elogio della lentezza (non per il ritmo del racconto, beninteso) e non è un caso che ogni capitolo s'intitoli a una data tanto precisa quanto approssimativa («Pur avendone tanto di tempo, Teodoro Faxa lo ha sempre misurato con scrupolosa precisione. Anche l'autore si è attenuto a una stretta rigorosità: quella dell'approssimazione»: così scrive De Filippo nella sua nota a conclusione). Alla fine di questo romanzo vivido per scrittura, per tenuta costante di racconto, per inesauribilità dell'invenzione, mi è nata spontanea una domanda; premesso che De Filippo è il brillante storico di Maciullina, chi ne sono i padri fondatori? Di certo qualche sudamericano dovette approdare a quelle rive situate dall'altro lato della cartolina, tracciare le strade, tirare su le prime case e quindi imbarcarsi di nuovo lasciando il paese ai nativi. A mio parere, a Maciullina sbarcò anche un francese che di nome faceva Jacques Tati e vi si trovò così bene da incarnarsi in un tale che lì viveva e si chiamava Teodoro Faxa.



Last modified Wednesday, July, 13, 2011