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Vento scomposto



Autore Simonetta  Agnello Hornby
Prezzo E 19,00
Pagine p. 416
Data di pubblicazione 2009
Editore Feltrinelli
Collana I Narratori


Steve Booth è un professionista severo e riservato: con il suo team si occupa di diritto di famiglia, infanzia abbandonata e ogni sorta di abuso. E quando un amico gli sottopone il caso del merchant banker Mike Pitt, accusato di aver abusato della figlia Lucy di quattro anni, Steve accetta con riluttanza… Agnello Hornby indaga con coraggio l’ambiguità insita in ogni accusa di abuso – la presunzione di colpevolezza così come la presunzione di innocenza – e porta alla luce i ragionamenti e le intime convinzioni di chi dalla società è incaricato di proteggere i minori e appurare la verità.

“Siamo una famiglia felice e normale.
Ha capito? Felice e normale.”

I coniugi Pitt si sono appena trasferiti nella loro nuova casa nell’elegante quartiere di Kensington. Mike lavora nella City come merchant banker, Jenny è consulente di una prestigiosa catena di negozi; hanno due figlie, Amy e Lucy. Una famiglia borghese, benestante, “normale”. E tuttavia qualcosa comincia a non funzionare quando la maestra della piccola Lucy legge nei comportamenti della bambina turbamento e disagio. Sembrerebbe soltanto una seccatura, invece per Mike Pitt è l’inizio di un incubo. Per uscire dal labirinto di accuse che lo mettono con le spalle al muro si rivolge a Steve Booth, avvocato specializzato in diritto di famiglia abituato a confrontarsi con la clientela disagiata e multietnica di Brixton. Mentre Jenny continua a ripetere che “Lucy sta benissimo” e crede fermamente nell’innocenza del marito – cosa che esaspera il clima di sospetto e l’ostilità dei servizi sociali –, Steve Booth e il suo studio devono muoversi in una ragnatela di accuse che si infittisce di giorno in giorno, in un gioco sempre più paradossale di ambiguità e ossessioni.
Romanzo giudiziario e di costume, thriller sociale e familiare in cui innocenza e colpevolezza si dividono la scena fino all’ultima pagina, Vento scomposto sorprende i lettori di Simonetta Agnello Hornby per il teatro contemporaneo della vicenda, una Londra di interni alto-borghesi e appartamenti di periferia, di aule di tribunale, parchi, strade e mercati.



Presentazione di Andrea Camilleri
(Roma, Libreria Feltrinelli, via Appia Nuova 427, 20 aprile 2009)

Questo terzo romanzo di Simonetta Agnello Hornby sorprenderà già a prima vista molto i lettori dei suoi precedenti libri, “La Mennulara” e “La Zia Marchesa”. Anzitutto, qui non siamo più in quella Sicilia dove la Agnello aveva impiantato lontane e vicine storie di poveri e di nobili, qui ci troviamo a Londra, oggi.
E il romanzo, avverte in nota l’autrice, è stato addirittura scritto prima in inglese e poi da lei stessa non tradotto, ma nuovamente riscritto nella nostra lingua.
Io non so perché l’autrice abbia avvertito il bisogno di ricorrere a questa procedura, ma credo che tutto sommato essa abbia finito col giovare al romanzo almeno per quello che riguarda la versione italiana. L’averlo pensato e l’averlo scritto in inglese credo che sia servito a definire con estrema chiarezza e lucidità non solo le situazioni e il carattere dei personaggi, in qualche modo distanti dalla cultura originaria dell’autrice, ma anche e soprattutto il particolarissimo clima di certi ambienti ben conosciuti in quanto l’autrice vi ha a lungo operato e continua ad operarvi. Infatti la Agnello, dal 1972, esercita a Londra la professione di avvocato specializzato al servizio delle comunità immigrate ed è stata anche presidente del tribunale dei minori.
Prima d’entrare in merito alla vicenda, vorrei dire alcune cose particolari di questo romanzo di non piccola mole. E soprattutto “non banale” come l’ha giudicato con magnanimità il recensore di un noto quotidiano, assegnandogli però un modesto voto, un 6, perché questo recensore ama giudicare e mandare come un maestro elementare.
I personaggi che l’autrice stessa elenca alla fine risultano essere ben 42, eppure Simonetta riesce a dipingerli così bene e a farli così agilmente muovere nel loro andare e venire tra le pagine del romanzo che il lettore potrà sempre seguire senza fatica gli intricati loro percorsi.
Nei romanzi precedenti, e soprattutto nella “Zia Marchesa”, c’erano meravigliose, indimenticabili pagine dedicate alla natura e al paesaggio siciliani, e un equivalente qui si ritrova nella minuziosa descrizione degli interni, dei luoghi, degli appartamenti dove i personaggi svolgono la loro vita privata o lavorativa.
Valga, per tutti, l’appartamento di Steve, l’avvocato che per me è il vero protagonista del romanzo. Non è una descrizione a sé stante, una digressione, ma un elemento non secondario che concorre a delineare e nello stesso tempo a chiarire, il carattere, e direi quasi il modo di pensare, del personaggio.
Ancora. Non contenta d’avere messo in moto i suoi 42 personaggi, la Agnello ce ne fa appena sfiorare altri che potrebbero a loro volta diventare personaggi a tutto tondo perché in pochissime righe lasciano intravvedere storie forse drammatiche e complesse. Per spiegarmi meglio, farò un esempio. Il coprotagonista, Mike Pitt, dirigente di una banca d’affari, si reca in una specie di friggitoria per comprare qualcosa da mangiare alla svelta. Nota che la ragazza che lo serve è ferita a un braccio. La ragazza segue il suo sguardo e spiega che si è trattato di una bruciatura. E subito dopo aggiunge: ”ma non sono stati i miei fratelli”. Questa excusatio non petita apre il sospetto che, se non questa volta, in altre occasioni i fratelli della ragazza, arabi credo, le abbiano inflitto punizioni severe. Mike qualche tempo dopo torna alla friggitoria, la ragazza non c’è, lui ne domanda a uno dei fratelli alla cassa e quello si limita a rispondere che ora la sorella sta bene. Questo episodio, che certamente serve a sottolineare, assieme a tanti altri, la multietnicità, la commistione di culture e di lingue, la dolente, minuta umanità delle Londra di oggi, lascia una sorta d’inquietudine sospesa nel lettore e implicitamente suggerisce quante situazioni di disagio o addirittura vere e proprie tragedie gravitino tutt’intorno inespresse.
E’ una tecnica narrativa assai intelligente che richiama un po’ certe particolari atmosfere della Highsmith.
In questo senso, la Agnello è straordinariamente e felicemente abile nel narrare, nei primi capitoli del romanzo, l’accumularsi di tanti piccoli segnali inquietanti attorno alla famiglia di Mike Pitt che essa prima non avverte e quando li avverte non riesce a spiegarseli o se li spiega in modo errato.
Ma così luna certa tensione cresce di pagina in pagina, non solo tra i membri della famiglia Pitt, ma anche nello stesso lettore che ne segue le vicende.
E qui sono costretto a dissentire ancora una volta dal citato recensore che ha classificato questo romanzo tra i legal thriller forse solo perché buona parte di esso si svolge tra studi d’avvocati e aule di tribunali.
Il romanzo di Simonetta Agnello, occorre allora precisarlo, non ha né l’andamento né le situazioni tipiche di un legal thriller e dimostra anche abbondantemente di non volerlo essere.
E’ un bello e serio romanzo tout court che non può essere fatto rientrare dentro i recinti del romanzo di genere.
Nella nota introduttiva, l’autrice c’informa di una legge inglese del 1989 con la quale si stabilì che il minore avesse diritto a un suo avvocato a spese dello stato e che i processi per i minori dovessero basarsi sulla collaborazione e non sull’antagonismo.
Salutata al suo apparire come un’autentica e positiva rivoluzione del sistema legale, la legge non tardò, all’atto pratico, a scoprire falle devastanti dovute soprattutto ai sistemi messi in atto dai servizi sociali che considerano, tra l’altro, le famiglie come oggetti e non come persone.
Il sospetto che una delle due figlie di un importante uomo d’affari, Mike Pitt, che si chiamano Amy la maggiore di sette anni e Lucy la minore di quattro anni e mezzo, sia stata abusata dal padre nasce per prima a un’insegnante dell’asilo comunale che Lucy frequenta vedendo alcuni suoi disegni. L’insegnante, mistress Dooms, si porta addirittura la bambina a casa all’insaputa dei genitori e, davanti a un suo amico, non solo le mette in mano carta e pennarelli, ma la fa giocare con delle bambole anatomiche. Convinta infine che i suoi sospetti abbiano un sicuro fondamento, avverte la direttrice la quale convoca, con una scusa, la madre della bambina, Jenny, una donna tanto elegante e fine quanto fragile e le lascia capire che c’è qualcosa che non funziona nella sua famiglia.
A farla breve, i Pitt sono costretti a rivolgersi a una psichiatra infantile, Melanie Cliff, a loro suggerita dal dottor Vita, medico di famiglia.
Il responso della Cliff è peggio di una doccia fredda per i Pitt: la psichiatra accusa senza mezzi termini Mike Pitt di avere abusato della figlia Lucy, pur senza penetrazione.
E qui ha origine una sorta di vortice tanto impetuoso e inesorabile quanto devastante per la famiglia Pitt. Che è costretta a ricorrere all’aiuto di un avvocato, Steve Booth appunto, che dispone di due solerti assistenti, Sharon e Pat.
La vicenda da qui in poi s’incentra sostanzialmente su ciò che accade prima e dopo le quattro udienze dedicate al caso. E questo fa emergere una kafkiana macchina stritolatrice dalla quale paiono essere costantemente assenti il buon senso e la logica mentre prevalgono la supponenza, l’incompetenza, l’aridità, il tornaconto.
L’atto d’accusa dell’autrice è molto forte, molto deciso, molto determinato e soprattutto molto documentato, sicchè non credo che ci sia lettore che non si lasci prendere da questa vicenda che di volta in volta appassiona, irrita, commuove.
E a questo punto, dopo aver dato a quest’ottimo, sorprendente e riuscitissimo romanzo il pieno riconoscimento che merita, non posso sottrarmi al dovere di fare un paragone tra ciò che accade in Inghilterra e ciò che accade in Italia.
Perché è il romanzo stesso che ti obbliga a riflettere sulla nostra realtà, il che non è merito da poco, merito che va ad aggiungersi alla qualità della scrittura e alla tenuta senza cadute della trama.
Prima di tutto salta agli occhi il fatto che lungo l’arco di tutta la vicenda le televisioni e i giornali sembrano che in Inghilterra ancora non siano stati inventati. La privacy è assoluta, blindata. Di quelle quattro sedute al tribunale non trapela nulla all’esterno, il palazzo di giustizia sembra essere un’astronave che ha perduto i contatti con la terra. Insomma, la cosiddetta opinione pubblica è completamente tagliata fuori.
La domanda che mi sono posta è questa: la vicenda del romanzo finisce bene per il padre della piccola, ma avrebbe avuto lo stesso esito se, come accade in Italia, il processo fosse stato oggetto di lunghi articoli di giornali, di trasmissioni televisive con dibattiti tra innocentisti e colpevolisti, di proiezioni d’immagini scioccanti, di interviste agli avvocati, agli psichiatri, e persino all’uomo della strada?
Mentre leggevo il romanzo non riuscivo a non pensare a due casi italiani. Uno, tutt’ora in corso, è quello del processo alle maestre di Rignano accusate di abusi sessuali su alcuni loro allievi ed esposte impietosamente alla luce dei riflettori.
L’altro, che risale ad alcuni anni fa, è quello di un professore di matematica accusato d’avere violentato la figlia di pochi mesi e sbattuto in galera e in prima pagina. “Sbatti il mostro in prima pagina”, come recita appunto il titolo di un film di Bellocchio.
Solo che quel povero padre non era un mostro, dopo pochi giorni si accertò che la bambina era gravissimamente ammalata, tanto che a nulla valsero le cure che le vennero apprestate.
Credo che il sistema inglese, così come la Agnello ce lo descrive, pecchi alquanto nella prima parte, nelle indagini preliminari, dalle quali, a quanto m’è parso di capire, l’avvocato difensore dell’accusato se non è escluso conta in realtà assai poco.
Da noi una certa quantità di garanzie vengono fornite all’imputato. Purtroppo invece, sempre da noi, il processo continua ad essere aspramente antagonistico.
E allora, cara Simonetta Agnello Hornby, grazie non solo per il tuo bel romanzo, ma anche per averci costretto a riflettere.



Last modified Saturday, September, 26, 2015