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Senza Patricio



Autore Walter Veltroni
Prezzo E 9,50
Pagine 124
Data di pubblicazione 2004
Editore Rizzoli
Collana


 

Un giorno, camminando per Buenos Aires, Walter Veltroni ha visto una scritta su un muro. Quattro semplici parole tracciate con la vernice: Patricio te amo. Papá. È insolito vedere un graffito dedicato da un padre a un figlio e Veltroni ha immaginato una serie di storie che possono aver prodotto quel gesto. Sono storie che parlano di un passato insanguinato, di oppressione e di torture, ma anche di miti popolari come il calcio e il tango. Sono racconti sulle angosce e sulle aspirazioni degli uomini e delle donne del nostro tempo: il bisogno di agire contro le ingiustizie, l'ansia di dare un senso tutto umano all'esistenza o di trovare un Dio in nome del quale lavorare per aiutare gli uomini. Soprattutto, un tributo all'amore che lega i padri e i figli.

Veltroni e «Senza Patricio», presentazione in teatro

Martedì 25.9.2004 a Roma alle 18, al Teatro Argentina presentazione del libro di Walter Veltroni «Senza Patricio», edito da Rizzoli. Intervengono con l'autore: Gianni Amelio, Andrea Camilleri, Melania Mazzucco, Vincenzo Mollica. Letture di Luca Zingaretti.



Quando Veltroni è arrivato (in ritardo, giustificato dal fatto che veniva da casa di Simona Torretta) sul palco avevano già preso posto Andrea Camilleri, Luca Zingaretti, Gianni Amelio, Milena Mazzucco presentati magistralmente da un sempre più simpatico Vincenzo Mollica. E, ovviamente, nella prima fila, dopo le 10 di posti riservati, c'eravamo NOI: Lorenzo, Bruno e Linda :-DDDDD

Mollica: Buonasera! Walter Veltroni…..il Sindaco Walter Veltroni è andato dalla famiglia Torretta, sta tornado. E' già ripartito da Cinecittà e, quindi, ci porterà delle notizie fresche. Presenterò le persone che racconteranno “Senza Patricio”, il libro di Walter Veltroni, che ha già superato le 50milacopie….invito ad entrare in scena: Andrea Camilleri.

Applausi.

Mollica: ….Melania Mazzucco.

Applausi.

Mollica: ….il regista Gianni Amelio.

Applausi.

Mollica: questa sera sentiremo i commenti al racconto che faranno i nostri ospiti sul libro di Walter Veltroni. Cominciamo con un attore che ci leggerà, nel corso della serata, alcuni frammenti di: “Senza Patricio”. Luca Zingaretti.

Applausi.

Zingaretti: “Quelle torri cadute, quei morti di ogni religione uccisi da parte e in nome di un Dio trasformato in assassino, sono la realizzazione di tutte le nostre paure. Straziati da una diversità ingovernabile, che ci atterrisce, imprigionati in magnifici templi della modernità che si fondono come il burro, obbligati a vedere in televisione i saltatori a testa in giù costretti a scegliere tra bruciare e schiantarsi. Tutte le paure, tutte in una volta. “Ora costruiranno Babele.”A cosa ti riferivi, Patricio? Gli parlai, quella notte! Tu volevi dire che Dio aveva distrutto Babele perché amava la differenza, la distinzione come antidoto alla superbia dell'unicità. Gli uomini erano andati nella piana di Sennaar mossi da ciò che si dissero l'un l'altro: “Venite, costruiamoci una città e una torre, la cui cima tocchi il cielo e facciamoci un nome, per non disperderci su tutta la terra”. Citasti Hegel, Patricio, quando diceva che la costruzione comune, da parte degli uomini, di quella torre, diveniva “al contempo il fine e il contenuto dell'opera stessa”. È la torre alta e magnifica il senso che postula e richiede unicità. Ma a Dio non piacque. Non si infuriò, come qualche volta gli capitava, semplicemente disse: “Scendiamo dunque e confondiamo la loro lingua, perché non comprendano più l'uno la lingua dell'altro”. “Per questo la si chiamò Babele, perché là il Signore confuse la lingua di tutta la terra e di là il Signore si disperse su tutta la terra”. È questo ciò di cui hai paura, Patricio? Non si mettono sullo stesso piano vittime e assassini, ciascuno ha il ruolo che ha scelto o che gli è toccato. Ma tu hai paura che qualcuno voglia ricostruire la torre. Voglia fare appello agli uomini in nome della unicità del proprio linguaggio, della propria religione o civiltà che considera superiore, della propria potenza che unifica. Vedi la nuova Babele come l'esito di un tempo di conflitti sanguinosi, perché gli uomini sono divisi e riunirli tutti attorno ad una sola religione o a una sola civiltà, significa negare la confusione delle lingue”. Che sembra, alla tua strana religiosità, un grande dono di Dio. Per questo sei partito. Volevi cercarle e conoscerle, quelle diversità. E volevi trovare il senso della tua vita ricca e vuota. ”Io vado via” dicesti. E io Patricio, l'avrei detto con te. Avrei voluto vedere i tuoi oceani e dormire condividendo le tue stelle. Avrei voluto sentire i silenzi che hai vissuto e le strade e diverse preghiere che hai frequentato. Non avevi scelto di nascere, ma hai scelto di vivere. Il primo un dono, o una maledizione non voluta. La seconda è una strategia, un'esperienza, un viaggio. Quel: “Io vado via!” era il manifesto del tuo viaggio, la bussola della tua vita. Non so nulla di te in questi anni. So solo di quella lettera, in cui ci scrivesti che giravi il mondo “inseguendo l'estate”, che non volevi incontrare l'inverno. Forse tu sei stato ciò che io non sono stato. Non perché io ti ho regalato ciò che potevo. Ma perché tu hai preso ciò che potevi. Ieri hai telefonato, oggi torni. Non sappiamo come metterci in casa, come vestirci. Sei stato uno dei nostri vuoti argentini. Ma un bel vuoto pieno di senso. E ora torni. Ti aspetto come tu aspettavi me da bambino. Come colui che sa, colui che ha conosciuto e vissuto e capito. Per questo voglio che tu veda la scritta che ho fatto la sera della tua partenza. Disperato e solo. Avevo scritto: “Patricio, te amo! Papà.” Sperando ti fermassi e tornassi indietro…..sbagliavo, non capivo. Ora, tu che conosci l'estate riscaldaci……

Applausi.

Mollica: Zingaretti!……Melania Mazzucco.

Mazzucco: rompo il ghiaccio io. Voglio parlare di un'idea che ho avuto leggendo il libro. L'interpretazione che mi piace provare a dare. Mi piacerebbe poi chiedere cosa ne pensa l'autore. Del libro si possono dire molte cose. Questo libro è un libro di racconti, a me è sembrato che sia soprattutto una lettera. E cercherò di dirvi in poche parole perché. Chi ha già letto il libro lo sa, per gli altri va detto che tutti i racconti sono legati da una scritta sul muro che l'autore dice di aver visto in un giorno qualunque della sua vita, in Argentina. La scritta, come ci ha già detto Luca Zingaretti, è: Patricio, te amo! Papà. Intorno a questa variazione sulle possibilità di un padre di scrivere una dichiarazione d'amore al figlio sono scritti tutti i racconti. Nel primo racconto si parla di un aereo postale, la funzione di questo aereo è una delle immagini chiave del libro. Un aereo che porta le lettere. Un aereo che porta le parole. Un aereo che scrive lettere, in un certo senso scrivere è come volare, dice l'autore. Questa e la bella immagine chiave del libro. Mi hanno insegnato a guardare sempre quali sono le epigrafi dei libri e quali sono le dediche. Io non so nulla della storia personale dell'autore, che conosco ovviamente nel ruolo pubblico come tutti noi lo conosciamo. Ci sono, però, dei nomi femminili. Questo libro è dedicato a Martina e Vittoria, non so chi siano, però leggendo il libro mi sono fatta l'idea, e credo di non sbagliare, che si tratti delle figlie dell'autore. E allora ho pensato che leggendo tutti i racconti che parlano della paternità, la paternità declinata in molti modi…..cioè… la paternità del primo racconto è una paternità di elezione. Il figlio eletto è questo Patricio, scomparso. La seconda paternità, il secondo racconto, è la paternità negata, rubata, del figlio perduto. Il bambino sottratto alla madre e al padre alla nascita. La terza, quella del racconto di cui abbiamo sentito un brano, è, forse, la paternità vissuta, quella di un figlio che poi cresce. Il figlio cresciuto che se ne va e ci abbandona. Il quarto racconto è quello della paternità, forse, goduta del figlio amato. Un padre in adorazione del proprio figlio che ha potuto crescere e vivere giorno per giorno. E nel quinto racconto, invece, accade qualcosa, tutti questi racconti sono in prima persona. Il padre parla. Il padre scrive la scritta sul muro a Patricio, al figlio. Nel quinto racconto, che è la storia di una paternità assente, c'è un padre che non c'è e c'è un figlio che cresce senza, accade qualcosa. Nella sintassi, nella scelta della grammatica spesso vi sono le chiavi, le soluzioni, le verità di un libro. Ecco, in questo quinto racconto l'autore, che ha sempre scritto in prima persona, scrive in terza persona. E' come se non volesse assumersi la funzione, la voce, del padre assente, ma non ne assume però neanche la voce del figlio, non parla neanche il figlio. Il figlio è oggettivato. In questo slittamento della grammatica è come se si potesse leggere una sorta di riposizionamento dello scrittore. Qui si tratta di uno scrittore che ha scritto già altri libri ovviamente, ha scritto dei saggi, ha scritto una biografia che è stata presentata qui lo scorso anno….ma scrivere dei racconti significa fare qualcosa di completamente diverso……….

Applausi per l'arrivo del Sindaco.

Mazzucco.: ……..ecco dicevo che scrivere un libro di racconti e esordire nella narrativa significa fare una cosa completamente diversa, significa esporsi e mettere a nudo qualcosa di sé che a volte neanche si consoce. “Scrivere romanzi, scrivere dei racconti, è come fare una specie di striptease. Nel senso che non si ha niente di bello da mostrare se non il proprio fantasma e le proprie ossessioni”. E questo è ciò che fa sempre chiunque si esponga scrivendo. Scrivendo senza scrivere di se. Immaginando, dando corpo alla propria fantasia, creando dei personaggi. Quindi, scrivere, esordire in questo modo significa riposizionarsi in un mondo. Ecco, io, ho pensato che il passaggio, dalla prima alla terza persona, significa sapere, definitivamente, di essere un padre e nello stesso tempo rifiutare anche di essere un padre assente ed è per questo che a me sembra che questo libro, ancora più che un libro di racconti, è una lettera. Una lettera alle proprie figlie. Allora mi sono data questa interpretazione, che in realtà, è vero che il libro parte dall'idea della scritta sul muro: Patricio, te amo. Papà. Ma che prima di tutto sia, invece, il libro stesso la scritta sul muro. Quindi un atto d'amore di un padre, di un autore padre, alle proprie figlie. …per questo vi dicevo che leggendo il libro, io, sento che i due nomi femminili sono le due figlie dell'autore e che il libro è la scritta sul muro alle figlie, però questa volta presenti e vissute.

Applausi.


Veltroni: bèh!…sono splendide notizie, perché le due Simona sono in partenza…sono già partite da Baghdad, arriveranno a Roma tra quattro cinque ore….applausi…. …sono stato a casa della famiglia Torretta dove con mia moglie, con Flavia, siamo già stati un'altra volta. Io ci sono stato molte altre volte. E' bellissimo vedere l'esplosione di una gioia, di una gioia che non è dissimile, può sembrare paradossale, al modo in cui questa famiglia incredibile ha vissuto la pena di questo sequestro, quasi un mese. È stato il sette di settembre quando c'è stato il rapimento, io ero a Milano quel giorno a presentare il libro…è strano la presentazione a Milano, il rapimento…la presentazione a Roma, la liberazione….nessuno si faccia idee su Roma Milano...risate tra il pubblico….applausi… sono tornato di corsa a Roma dopo aver parlato al telefono con la signora Torretta, poco dopo la notizia, e la prima cosa che la signora m'ha detto quando sono arrivato a casa sua alle 10 e mezza di sera: Sindaco perché si è disturbato. È una famiglia meravigliosa che non ha mai perduto la serenità. Ho parlato con loro il giorno in cui è arrivata la notizia…la notizia brutta di quegli annunci di assassinio sul sito web. Non hanno mai perduto la serenità, non hanno mai perduto la fiducia, non hanno mai perduto persino il sorriso… e quando parlavamo di quello che avremmo fatto quando Simona sarebbe tornata…insomma…c'era in loro una grande speranza. C'era una grande convinzione che alla fine questa cosa si sarebbe risolta come si è risolta…e penso di poter dire che per una volta ha funzionato tutto. Il Paese ha dato una prova di serietà, di unità, tutti hanno lavorato bene con le parole e con i silenzi. Stamattina, quando dal Governo mi hanno detto che oggi probabilmente sarebbe stata la giornata giusta…era difficile sperare che fosse tanto giusta per la liberazione…però la cosa bella è che questi quattro ragazzi, sono state liberate le due Simona ma sono stati liberati anche i due ragazzi iracheni…..applausi…. …Questi ragazzi sono stati liberati e torneranno a fare, lì o in qualche altra parte del mondo, perché tanto nessuno le convincerà del contrario, quel meraviglioso lavoro che hanno fatto e che è stato stare vicino alle persone che soffrono in una zona di guerra. Né le due Simona né gli altri due smetteranno di farlo….applausi…

Mollica: …di nuovo un frammento che ci leggerà ora Zingaretti….

Applausi.

Zingaretti: Patricio era arrivato a Buenos Aires con il gruppo di giovani piloti che Tonio Saint-Exupèry aveva scelto per la grande missione in America Latina. Era un lavoro difficile e meraviglioso, pericoloso ed emozionante. Era ben pagato, trecentomila franchi all'anno. Ma Patricio volava per volare. Lo avrebbe fatto gratis o avrebbe pagato per farlo. Era un poeta e un acrobata, era un clown e un professore. Giocava con quelle macchine come un bambino con una palla. Ed era felice come nessuno ho visto mai. I nostri aerei volavano incontro alla notte. Per risparmiare tempo bisognava utilizzare tutto il tempo. Patricio era innamorato dei voli notturni. Mai uno era uguale all'altro. Al ritorno, dopo avere slacciato il berretto e bevuto la birra, si fermava alla base. Ecco, quelli sono stati i momenti più belli della mia vita. Io, meccanico factotum, potevo stare seduto con lui al fresco della notte e sentire i suoi fantastici racconti. Patricio amava i dettagli e io lo seguivo senza perdere una parola o un'espressione. Ho volato anch'io, con lui, in quelle notti sulle Ande o sull'Amazzonia. Anche io ho visto la Terra del Fuoco, ho sentito il freddo del ghiaccio di Punta Arenas. Anche io ho visto, come Patricio, sorvolando il Cile, la pioggia cadere tanto da far fiorire il deserto, da riempire le dune di colori meravigliosi. Ho tremato con Patricio quando i lampi si abbattevano vicino al suo abitacolo, quando la pioggia batteva forte contro i vetri, quando il vento sembrava spezzare la lamiera. Patricio raccontava, la notte si faceva più fredda, la birra finiva, le luci della pista si esaurivano. Aspettavamo il buio. Non per interrompere, per continuare. Era in quel momento che Patricio smetteva di descrivere i luoghi e passava alle persone. Il buio rendeva più facile raccontare la volta che atterrò in un campo perché aveva visto una contadina che lo salutava e glie era sembrata, dall'alto, bellissima. È in quel buio, con le sue parole, che Patricio mi faceva immaginare il sistema delle piccole luci, strade e case illuminate, che spezzavano la sua notte e guidavano la sua rotta. Ma quello che a Patricio piaceva di più era sapere che nella sua pancia di essere volante c'erano parole, solo parole. “Capisci, papà, la meraviglia della mia vita! Io volo, sfido la notte, derido i venti e i lampi, gioco a carte con la morte per portare parole. La posta è un bacio, un pianto, una sorpresa, una tragedia. Qualcuno, grazie a me, saprà di un padre che è morto o di un figlio che è nato. Qualcuno, grazie a me, saprà che nel suo paese l'inverno è finito o una casa è stata abbattuta. Questa è una nazione di immigrati e la posta è una radice dell'esistenza che vola. Quel timbro sulla busta è il ricordo del luogo dal quale si è partiti e nel quale si spera di tornare vincitori. Ogni lettera è una carezza e una stilettata, ed io, Patricio, porto l'una e l'altra. Senza di me sarebbero anime perdute, senza ieri. Ma qualcuno, grazie a me, conosce parole che non conosceva. Conosce persino quadri, storie che non conosceva. Io porto con me il senso del mondo. E lo faccio volando. E mi pagano. Non è incredibile?” Ho vissuto così cinque anni. Dal giorno dell'assunzione al giorno in cui aspettare per la prima volta mi costo, mi diventò odioso. Avevo preparato tutto, quella sera, come sempre. Le luci erano disposte, la birra nel ghiaccio, il tavolo e le sedie pronte per ospitare i dialoghi notturni. Guardavo il cielo, quella sera c'erano poche stelle. E troppe nuvole. Aspettavo che Patricio ne bucasse una. Non successe. Le luci cominciarono ad affievolirsi e il ghiaccio a squagliarsi. Non è mai più tornato, da allora. E nessuno ha mai trovato nulla, né l'aereo, né un segno di lui. Portava parole e il cielo muto lo ha inghiottito. Le nuvole non lo hanno più lasciato, innamorate di lui. Il vento ci gioca, leggero. Ma Patricio tornerà. E, come mi promise una notte, quando il buio ci aveva cancellato: “Una notte, quando meno te lo aspetti, atterro e invece di scendere ti faccio un po' di posto e ripartiamo insieme. Preparati. Preparati a volare con me”. Io sono stato sempre pronto, in questi cinquant'anni. La base del campo volo è ancora in piedi, monumento al mito dell'Aeroposta Argentina. Anche il campo volo è rimasto lì, diventando un parco. E io la sera, quando è bello e si può volare, prendo la sedia, mi siedo e guardo. Guardo il cielo, guardo le nuvole, guardo la terra e guardo la vecchia base. Con gli occhi cerco le parole grandi e ormai scolorite che scrissi sul muro esterno durante l'attesa di quella notte. Le scrissi con la vernice blu con la quale, insieme, avevamo battezzato con il suo numero preferito, l'undici, il Latè 28 che usava per i voli notturni. Volevo che vedesse bene quelle quattro parole “Patricio, te amo. Papà”. Volevo lo convincessero a tornare. Perché dipende solo da lui, sciagurato ragazzo. Chissà in quale posto del mondo, del tempo, della storia si è fermato. Chissà cosa ne è delle lettere che aveva con sé. Quanti amori sono rimasti sospesi, quante amicizie si sono disperse, quante storie e favole sono rimaste nel vento. Ma Patricio tornerà. Io lo so. E lo aspetto. Su questa sedia, al vento caldo, in una notte di stelle argentine.

Applausi.

Mollica: Gianni Amelio.

Amelio: io mi domando che cosa ci faccio qui. Nel senso che, si sa, salvo poche eccezioni, i registi non leggono o almeno leggono solo i libri di cui hanno i diritti…risate…perché hanno sempre paura che un altro glieli rubi…se viene l'idea di fare un film da un romanzo… Io però, te amo Patricio, l'ho già fatto o almeno l'ho sognato. E forse è un film ancora più realizzato, è forse l'unico film bello che ho fatto nella vita. Non so se Veltroni conosce parte della mia vita o la mia vita al di fuori di quella piccola parte, che conoscono un po' tutti…quattro, cinque film che ho fatto. Però se, Veltroni, non conosce quello che è il mio passato devo intuire davvero che l'invito suo, stasera, a me, di venire qua ha qualcosa di … di …di emozionante, di magico e mi fa un po' paura, Walter. Perché sono Patricio e sono anche il padre di Patricio. Mio padre mi ha lasciato a un anno per andare in Argentina. Ha vissuto a Buenos Aires. Io ho centinaia di lettere che ha scritto a mia madre….e ho le lettere che mia madre ha scritto a lui in risposta. E c'era un momento in cui lui non si esprimeva più in dialetto e non si esprimeva in italiano, perché l'italiano non lo conosceva. Si esprimeva in una lingua strana che è questo miscuglio di parole, io ad esempio mi aspettavo: te quero e invece: te amo. Quindi sembra quasi che l'italiano sia incorporato dentro una lingua straniera e viceversa. Tu non hai mai letto una lettera di mio padre, perché è impossibile che tu abbia letto una lettera di mio padre….ma c'è scritto: Nino, te amo. Papà.

Applausi.

Amelio: non vorrei parlare del libro perché l'ho letto tre volte e tre volte ho dovuto interromperlo e ricominciarlo…per tante ragioni molto personali. Melania Mazzucco, prima, diceva di questo passaggio significativo dalla prima persona alla terza persona nella quinta storia. Io ti prometto che scriverò una sesta storia in prima persona per raccontarti di quanto sono stato Patricio e di quanto sono stato anche il padre di Patricio…..questa non so se è una promessa o una minaccia che ti faccio, però è qualcosa che mi tocca talmente da vicino che devo farlo. Il tuo libro è bello perché semina delle cose che vanno raccolte: è una pianta di altri libri. È come se tu non ti fermassi. Cioè, io, non credo che tu abbia chiuso il libro dicendo: adesso basta perché non voglio più raccontare un altro Patricio. Tu ti sei fermato perché eri colmo di emozione, tu non potevi andare avanti ed è come se avessi lasciato il testimone a qualcun altro…io prendo questo testimone se non ti dispiace…

Applausi.


Mollica: Zingaretti ci legge il terzo frammento.

Zingaretti: Forse Patricio non sbaglierà il rigore. È lì, davanti al portiere, che lo guarda come una gazzella guarda un leone. Il pubblico tace, sono tutti dalla sua parte. C'è un silenzio irreale, come un tempo sospeso. E mi sembrano mesi, anni quelli che Patricio sta impegnando per decifrare l'intelligenza, l'astuzia, la velocità del suo avversario. Uno contro uno. Uno vincerà, uno perderà. È il capitolo conclusivo di un lungo romanzo. Un campionato, un racconto di vita, una epopea, una saga con centinai di personaggi. È il rigore decisivo di una finale. Qualcosa che assomiglia a un orgasmo o a un ultimo respiro. Tutto in un momento. Tutto, in questa storia di destini, si deciderà in base a uno strano incrocio di talento e dinamica. Ma sarà decisivo anche lo stato del piccolo numero uno, la sua stanchezza, la velocità sei suoi riflessi, l'elasticità con la quale farà leva sulla pianta dei piedi per tuffarsi. Li scruto, i due ragazzi. Sono quattordicenni bene in carne. Strano, di questi tempi. Qui a Buenos Aires, alla Boca, non c'è molto da mangiare e non ce n'è per tutti. La guerra è stata lontana da noi anche se tutti, qui, avevano un parente con il fucile in mano. E i figli dei tedeschi arrivati qui a i primi del Novecento si sentono nemici dei figli dei polacchi che hanno fatto lo stesso viaggio, forse insieme. Qui c'è una guerra bonsai, fatta di sguardi cattivi e di dicerie, fatta di nemici di riporto. Comunque da mangiare ce n'è poco anche se la signora Peròn garantisce che prima o poi tutto cambierà e tutti saremo ricchi e felici e la signora Peròn non sa e non può mentire. Il mio negozio di barbiere è luogo di pellegrinaggio degli uomini del Barrio che vogliono sapere tutto di Patricio, che si preoccupano se ha l'influenza o se lo vedono di cattivo umore al bar. Per noi della Boca il calcio è tutto. Anche perché non abbiamo altro. E io, francamente, ho lasciato il sussidiario e ho sostituito la penna con le forbici perché pensavo che studiare fosse inutile. L'importante è avere un lavoro, tanto il mondo lo cambiano in pochi. E allora lasciamoglielo fare. A ognuno il suo. Il presidente e la signora Evita pensano a noi e noi, così, possiamo pensare al lavoro, alla famiglia e al calcio. L'ordine d'importanza dei tre fattori è casuale, ognuno li mette nella sequenza che crede. Al campo, ogni sabato, c'è il quartiere intero. Tutti hanno addosso qualcosa di blu, tutti sentono l'orgoglio per il primo posto in classifica di quella squadra di bambini cresciuti. Sono la proiezione dei loro sogni, quello che avrebbero voluto essere e non sono. Ma se giocano bene e vincono i padri sono certi dipenda dal loro sangue, dalla bontà dell'educazione garantita, da un talento atavico che solo la durezza dei tempi vissuti ha impedito loro di esprimere in gioventù. Quei ragazzi vendicano fallimenti, riscattano amarezze e delusioni, riempiono solitudini. Ma i ragazzi riscattano anche il nome del Barrio. Siamo poveri, ma siamo forti. Forti dove ci è concesso di esserlo, dove non disturbiamo. Ma siamo i migliori, abbiamo finalmente un motivo di orgoglio. Le nostre case, le nostre strade sono fatiscenti ma i nostri ragazzi sono campioni. A una a una hanno battuto tutte le squadre della città. Ora, in finale, incontrano l'avversario più duro. Come in una favola o in una leggenda noi, i più poveri, dobbiamo vedercela con i più ricchi della capitale federale. Ora, non che sia difficile avere più soldi di noi, ma averne più di tutti non è facile. E in questo, sicuramente, loro sono campioni. Ma sul campo è un'altra storia. Loro erano ricchi ma anche forti. Nessuno segnò, quel giorno al campetto. Patricio provò e riprovò ma il portiere parava tutto. Era un ragazzino con l'aria vispa, lo sguardo intelligente. Sapeva piazzarsi e suppliva con la fantasia e la velocità a doti fisiche non eccelse, si chiamava Osvaldo e ricordo anche il cognome perché i genitori ricchi lo gridavano a ogni parata spettacolare: “Bravo, Soriano”. Ma all'ultimo minuto, come in una leggenda, Patricio scartò con una finta da maestro il suo marcatore e si avviò verso il centro dell'area. Il pubblico impazziva a vedere quella corsa perfetta e lo spingeva in avanti con le sue grida. Patricio guardò il suo rivale Osvaldo e tirò un pallonetto che lo scavalcò mentre lui era uscito dai pali. Seguii con lo sguardo la traiettoria, estenuante, del pallone partito dal piede di Patricio che, sfiorava la testa del portiere, si stava per insaccare. Eravamo campioni, un minuto, un secondo e saremmo impazziti di gioia. Ma il loro capitano, uno altro e sfrontato, si era precipitato sulla linea di porta. E parò, quasi umiliando Osvaldo, quel tiro d'angelo. Il fischio dell'arbitro lacerò le grida di disappunto e le rassicurò. Patricio capì che tutto era sulle sue spalle. Si voltò, con il suo sguardo di paura, per cercare i miei occhi. Lo rassicurai e sorrisi. Il silenzio fu irreale. Per la nostra piccola vita era un momento terribilmente importante. Era il momento dell'orgoglio e del riscatto. La storia dei nonni emigranti, la solitudine di suo padre, questa piccola rivoluzione sociale possibile, tutto addosso al mio angelo con la brillantina. Sistemò il pallone, lentamente. Guardò Osvaldo. E Osvaldo guardò lui. Nessuno sfidava l'altro, erano compagni, in quel momento, di una terribile prova gladiatoria. Osvaldo non innervosì Patricio. Era un ragazzo corretto. Sapeva del talento del mio puntero, ma sapeva anche della propria fantasia. Patricio partì, con la sua corsa leggera. Dio mio, segna. Ti prego, fallo. Fu in quel momento, nel tempo precedente il calcio al pallone, proprio mentre Osvaldo stava decidendo da che parte tuffarsi, che io capii quanto avessi chiesto a quella creatura. Fu in quel momento, proprio in quel momento, che decisi una cosa, come un lampo nel cervello. Qualunque fosse l'esito di quel rigore e di quella partita e di quella giornata e della gioia e del dolore di tutti, avrei la notte stessa preso la vernice più colorata che esisteva e avrei scelto il muro più centrale della Boca. Fu mentre il piede di Patrio colpiva il pallone che decisi quelle parole che ancora oggi si possono vedere sul muro dell'ufficio postale. Le parole vere di quel giorno magico. “Patricio, te amo. Papà”.

Applausi.


Mollica: la parola ad Andrea Camilleri.

Camilleri: grazie! Io, mi ero preparato uno scritto, delle pagine, invece ho deciso di non leggerle. Perché mi è bastato il modo con il quale Luca ha letto alcune pagine di “Senza Patricio”….poi vi dirò perché. Mi sono molto divertito quando è venuta fuori la notizia che Walter Veltroni esordiva nella prosa, con un romanzo pubblicato da Rizzoli, perché si è scatenata una sorta di dietrologia che è veramente il segno dei tempi nei quali viviamo. Ma come, Veltroni scrive un libro ambientato in Argentina?! Allora lascia perdere l'Africa??….risate… …e un altro, ancora più imbecille: no, no! È tutta una finta. Lui ha scritto un libro fingendosi narratore, in maniera di poter poi tornare in politica e mentre i suoi avversari leggono il libro lui da dietro zac!….risate….apllausi. senza rendersi conto che, Veltroni con “Senza Patricio”, non ha fatto altro che cedere, fortunatamente per lui e per noi, ad una tentazione narrativa che già c'era…c'era nei libri precedenti e che ogni tanto veniva fuori. Veltroni, aspettava l'occasione buona. Come voi sapete l'occasione fa l'uomo ladro…ma troppe occasioni fanno il poeta Montale. Oppure, l'occasione di questa scritta sul muro fa il narratore Veltroni. Perche, quanta gente passa davanti al muro vede quella scritta e non ci fa caso? Quanti ci fanno caso? Quanti, facendoci caso non avvertono l'anomalia di quello scritto? Quanti l'avvertono l'anomalia? Quanti sono disposti a ragionarci sopra? E quanti, i pochissimi, sono in grado di rispondere con parole a quelle parole? Questa è stata l'occasione di Veltroni. Veltroni, scrive cinque storie, dice lui, su questo tema. Sarebbe il tema, diciamo, dell'assenza in un certo senso, se non fosse poi contraddetto da quello splendido racconto, chiamiamolo così, del calcio. Allora vi faccio notare che queste cinque storie non hanno titolo. Si distinguono l'una dall'altra perché sono numerate in numeri romani dall'uno al cinque. Questo per uno che scrive libri qualche cosa deve pur significare. E infatti significa! Perché il primo racconto…nella prima storia la frase viene scritta da uno che è padre di elezione. Non è il vero padre. Ed è una sorta di preludio all'apparizione, all'epifania, del vero Patricio, del figlio vero….che compariva da lì a qualche racconto. Perché neanche nell'altro racconto compare, è solo un nome, un disegno, una data di nascita. È nel terzo che compare il figlio. Allora io ho cominciato a chiedermi, soprattutto quando mi sono trovato in quello splendido momento, torno a ripetere, del calciatore candito, come direbbe Montale, nell'eternità di chi sta per segnare il calcio di rigore, nello scambio di sguardi con il padre…. Mi sono chiesto: che c'accucchia questo racconto qua dentro? È un racconto…tutto il resto è terribile: gente che è sparita, gente che vuole evitare l'inverno o forse vuole evitare l'inferno della nostra quotidiana esistenza…. In questo, invece, credetemi, ho cominciato ad andare indietro. Ho detto: perché mi è venuto di chiamare preludio il primo di questi racconti? E perché poi, come ha notato Melania, l'ultimo racconto è in terza persona? Tutti gli altri sono in prima persona. All'improvviso hai questo giro in terza persona…e non solo è il giro della terza persona, cambia perfino il colore della vernice, che da blu diventa rossa. E a scrivere quella frase perché venga fotografata, e quindi mediata in qualche modo, è il figlio, non è il padre. Perché si concluda un certo ciclo. Mi sono detto: ma questo è un canone inverso! Allora ho capito che non avevo letto un libro di racconti, avevo ascoltato e letto una sinfonia, con i soli vari movimenti, scritta non con note musicali ma con le parole…è certo che la lettura di Luca gliene abbia dato conto, perché non si tratta di una scrittura poetica, abbandonata alla memoria…che è, lo sapete, il rifugio di chi non sa raccontare. Invece qui la scrittura è densa. È presente. Qui è serenamente commossa quando deve esserlo…ecco…c'è una gran cosa… che non diventa solo il rapporto tra padre e figlio, tra figlio e padre, cioè si chiude in questo ambito familiare, ma è una sinfonia per voci soliste e coro. Perché la presenza del coro, l'umanità del quartiere della Boca, la morte della madre di Patricio buttata giù dall'aereo, i desaparesidos…. L'umanità di volta in volta gioiosa o dolorante, è sempre presente e fa da basso continuo a queste voci soliste…non è facile per un narratore esordiente. E quindi, io, non posso fare altro che, da narratore vecchio, dargli il benvenuto….proprio perché se l'è guadagnato sul campo! Grazie…..

Applausi.

Mollica: prima di dare la parola a Walter Veltroni che concluderà questa serata dedicata al suo racconto, cominciata dalla lettura di Zingaretti, volevo dire una cosa. Io non ho assolutamente il compito ne il dovere di raccontare nulla sul libro. Ho fatto sempre il cronista e continuo a farlo anche in questo caso, però mi è sempre piaciuto il fatto che ci mettesse dell'arte, della passione, delle emozioni in tutto quello che combinasse Veltroni. In particolare mi è venuto in mente, proprio mentre sentivo i vostri interventi, un ricordo di una persona che stimava molto Walter e che lo considerava un amico: Federico Fellini. Mi è venuto in mente che una volta lui ebbe un'occasione editoriale che considerava importante, cioè veniva pubblicato in Italia un libro a cui teneva molto. Lui detestava i critici che pensavano ai suoi film solo esclusivamente o per la parte scandalistica o per quanto riguardava, poi, l'aspetto della trasgressione….piuttosto, tutte le implicazioni psicanalitiche che lui amava molto, non amava quelle scritte dai critici, tanto per essere chiari. Lui amava che il suo cinema venisse letto in maniera pittorica. E allora il fatto che venisse stampato un libro che proprio documentava questo aspetto della sua arte lo incuriosiva molto. L'occasione volle anche che a scrivere l'introduzione di questo libro fosse Georges Simenon che era un grande amico di Fellini. Il quale scrisse tre pagine veramente molto belle. Che sono quelle, poi, che venivano citate nel libro dell'Adelphi dedicato al carteggio tra Simenon e Fellini….erano quelle più citate insomma. Allora, dopo aver letto le tre paginette di Simenon, Fellini, prese qualche giorno di tempo per scrivere la sua introduzione, quello che doveva essere il suo scritto che precedeva le fotografie. Si presentò qualche giorno dopo, lui mi ha raccontato, con una pagina bianca dove c'era scritta soltanto mezza riga e su questa mezza riga credo ci sia quello che più somigli a quello che ha scritto Veltroni: “l'unico vero realista è il visionario.”. …..la parola a Walter Veltroni.

Applausi.

Veltroni: certo questo 28 settembre è un giorno, almeno per quanto mi riguarda, da incastonare, da mettere da parte e serbarlo per il futuro. Lo è in primo luogo per la liberazione delle ragazze. Tutti noi abbiamo molto partecipato emotivamente come da tempo non ci capitava, abbiamo partecipato emotivamente a…a una sensazione di vuoto, poi tornerò per un attimo su questo tema del vuoto, la sensazione di vuoto che dava questa immagine di due ragazze, tre più un ragazzo iracheno, che stavano nelle mani di persone sconosciute: banditi, terroristi, assassini, decapitatori. Non si sapeva chi potesse essere ad averle in mano. L'idea della sottrazione, quindi, delle persone sottratte, fatte sparire. Il rapimento è questo è una specie di sfilare dal contesto della vita degli esseri umani. E poi veramente mi sono molto affezionato a questa famiglia. Sono invidioso della loro serenità, del loro sorriso, della loro …persino allegria. Tutte le volte che sono stato da loro c'era una ragione di allegria, di speranza, di fiducia. Mai una rabbia, un'inquietudine che andasse oltre. Una famiglia popolare romana, una di quelle belle famiglie …il papà non c'è più da qualche anno… la mamma, le due sorelle: Daniela e Laura. Una si è laureata con una tesi su Catullo e lavora in un call-center, risponde al telefono. L'altra che vuole fare fotografia, la madre che lavora al Ministero del Tesoro. Una famiglia meravigliosa con una speciale serenità. La cosa che più mi faceva soffrire era pensare che potesse essere spezzata da qualcosa di tragico. Oggi mi sembra come se si sia ricomposta una cosa giusta, una serenità da regalare a questa famiglia. Per me oggi, come credo per tutti voi, è una bellissima giornata. E poi è una bellissima giornata per stasera, lo è per la vostra presenza, per la presenza di tante persone che riesco a scorgere nello spazio degli occhi consentito dalla luce del palco. Molte delle persone alla quale voglio bene. E lo è per le parole che ho ascoltato. Le mie parole sono molto più belle dette da Luca. Bisogna che lo prenotiamo….(sorridendo)… tutti i giudizi sono fortemente condizionati dalla bellezza della lettura di Luca che, oltre ad essere un grande attore, è una persona abbastanza particolare…….applausi…. …mi fa piacere perché io, in almeno due casi su quattro, non sapevo quale fosse il giudizio sul libro. E quindi ho ascoltato metà dell'intervento di Melania di cui non sapevo il giudizio. Ed è un giudizio che mi fa molto piacere perché i suoi libri, non solo i suoi libri, ma anche le cose che scrive, sono la testimonianza di un vero talento. Il suo libro “Vita” che l'anno scorso ha vinto il premio strega e veramente un grandissimo libro…straordinario…bravissima….applausi… Vincenzo…. È….Vincenzo Mollica credo sia stato l'unico essere umano, e questo nella vita è come andare sulla luna, che sia stato riprodotto in un fumetto di topolino…risate…

Mollica: (sorridendo) sono Vincenzo Paperika….

Veltroni: Vincenzo Paperika…è l'unico! Non c'è riuscito nessuno, presidenti…governanti…nessuno! Solo Vincenzo Mollica. Perchè in effetti, Vincenzo sa che il mio punto di vista è un grandissimo complimento, Vincenzo è un personaggio da fumetto, ma da fumetto di Walt Disney, nel senso che è una persona intensa e buona. Quando qualcuno dice: ma, Mollica non critica!…. Non gli viene. Se una cosa non gli piace, non ne parla. Nel suo silenzio c'è il suo modo di dire non mi è piaciuto. Non credo gli venga di dire che quella cosa è brutta, come spesso si fa, per la goduria di dire che quella cosa fa schifo. Lui no! Lui è una persona colta e trasversale. Può attraversare, diciamo, con la soave leggerezza di un personaggio dei cartoni animati, qualsiasi genere di produzione culturale e giornalistica. Gianni Amelio, ha raccontato una cosa che assolutamente non sapevo. E una delle due persone delle quali sapevo il giudizio perché quando ci siamo sentiti, mi aveva detto che gli era piaciuto. Ma non sapevo nulla della storia che ha raccontato che, in effetti, ha qualcosa, al tempo stesso, di magico e di conferma del fatto che tra noi e l'Argentina c'è una specie di braccio steso lungo il mare. È come se ogni tanto si allontana e ogni tanto si avvicina, ci tocchiamo, siamo vicini gli uni agli altri. Non sapevo di queste parole scritte alla fine di una lettera. Però sapevo che Gianni Amelio su questo tema ha girato più volte. Girato nel senso letterale del termine, nel senso che una parte della sua cinematografia è giocata su questo tema, anche l'ultimo film. Anche i film precedenti. Questo tema del rapporto con l'infanzia, della ricerca, del viaggio, del rapporto padre/figlio, è qualcosa di molto vissuto in uno dei cinema, credo, più…. più belli e più intensi che il cinema italiano abbia prodotto nel corso di questi anni. Ti sono particolarmente grato anche per questo impegno a scrivere “Senza Patricio”, che è un impegno che prendo alla lettera. E….e Andrea, le cui parole sono…Andrea, è una delle altre persone di cui non sapevo il giudizio. Ci siamo sentiti prima che il libro uscisse, mi ha detto: dammelo, fammi vedere. Poi non ci siamo più sentiti volutamente fino a questo momento. Andrea, sai che ho visto che facevi una parte come attore….(soridendo) …l'altro ieri mi hanno fatto vedere in qualche dvd qualcosa di un film italiano in cui tu facevi anche una parte come attore…. Andrea è persona che attraversa tutto. Andrea è stato un grande dirigente della RAI, di quella Rai in cui si poteva essere dirigente essendo Andrea Camilleri……applausi…. La stessa Rai in cui sono passati: Umberto Eco, Furio Colombo e tanti altri. È un grandissimo scrittore. È veramente un grandissimo scrittore. Tanto grande da inventare una neolingua. Non so se l'espressione vi piace, so che contestano, ma c'è gente che parla con le sue parole. Parole che hanno viaggiato attraverso questo signore (indicando Zingaretti) che è qui alla mia sinistra. Andrea è anche una persona che ha una grandissima passione civile e sociale. Tutte queste cose insieme in una persona sola sono rare, e le parole che ha detto sono parole, per me, di grande conforto, anche se devo dire che, probabilmente, finisce qui, per quanto mi riguarda. Cioè, non è che io penso di scrivere altre cose…. è esattamente come Andrea ha detto cioè: a me è capitato. Come mi era capitato con Luca Flores, che proprio in questo teatro presentammo un anno e mezzo fa. In quel caso, avevo sentito un brano di musica e quel brano di musica mi aveva portato nella vita di questo ragazzo, nell'incredibile vita di questo ragazzo. Assolutamente per caso. Se questo brano di musica fosse stato scritto da qualcun altro non ne sarebbe venuto fuori un libro, come è stato: Il disco del mondo (vita breve di Luca Flores musicista). In questo caso, la scritta. Evidentemente questa scritta…mi ero preparato qualcosa da dire, però stasera, quando è arrivata la notizia delle due Simona ho lasciato tutto in ufficio, per cui non ho nessuno appunto. La cosa che mi ero preparato, che volevo dire…è chiaro che questa scritta è arrivata da qualche parte dove c'è un forellino, dove c'è un buco nel quale o entra o esce qualcosa. Devo dire, sinceramente, che questo buco è, inevitabilmente, legato all'assenza. Ognuno di noi c'ha il suo piccolo buco che viene da lontano o può essere recente. Io non l'ho mai vissuto con angoscia. Non sono mai andato da uno psicanalista, l'ho sempre vissuto con grande serenità il fatto di non avere avuto mio padre da subito. Mio padre è morto quando io avevo un anno e lui ne aveva trentotto. Non l'ho vissuto molto bene, sì! Cioè, mi dava un po' fastidio quando andavo a scuola. All'uscita della scuola c'erano le mamme e i papà che aspettavano e io invece trovavo mia madre, il sabato, con il vassoio con le paste. L'unica cosa che ha un po' cambiato questo rapporto nell'assenza è stato quando sono diventato padre. E mi sono accorto di non avere parametri. Di non avere dentro di me quel noveau, diciamo così, per usare una brutta espressione, che è dato dal giusto equilibrio tra l'essere vicini e al tempo stesso esprimere un'autorità. Tra il saper dire di sì e il saper dire di no.Tra il saper essere amico e compagno ma anche il saper essere padre. Ho cercato mio padre, l'ho cercato in diverse fasi della mia vita, ma, ripeto, con assoluta serenità. Ho cercato di sapere chi fosse. Perché, appunto, non avevo niente. Solo recentemente, questo c'è nel libro nella parte finale dell'ultimo racconto, mi sono improvvisamente reso conto che non avevo neanche una foto insieme a mio padre. Mio fratello sì, qualcuna, in braccio a mio padre…io…io, no. Evidentemente mio padre si è ammalato poco dopo che io sono nato, quindi, a tutto pensavano …tutto si poteva fare fuorché una foto con me. Però questa cosa di fatto è l'unica cosa che veramente mi dà fastidio, è l'unica cosa che mi dà fastidio perché è la prova, la testimonianza di un'assenza. Nel caso di Luca Flores…..Luca Flores si sentiva responsabile della morte della madre, in qualche misura. E quando i suoi fratelli sono andati a casa sua quando, diciamo così, lui aveva interrotto la sua vita, trovarono una foto nella quale c'era la madre con loro due, con Luca e la sorella, bambini, con due salopette uguali, sulle gambe della mamma. La foto era stata tagliata. Luca l'aveva tagliata, aveva tolto la parte che riguardava lui ed era rimasta solo la madre e la sorella, come per punirsi. Ecco, a me è sembrato che l'assenza di una fotografia fosse una, assolutamente involontaria, punizione. Fosse la testimonianza di un'assenza. Qualche anno fa, quando facevo un altro mestiere scrissi a degli amici di mio padre per chiedergli se mi raccontavano delle cose di mio padre e mi sono arrivate delle lettere molto belle che hanno cominciato a definire un po' il quadro. Alcune delle cose che sono nell'ultimo racconto sono cose vere, le uniche citazioni autobiografiche, diciamo così, sono racchiuse dentro il racconto che non per caso, come Melania e Andrea hanno osservato, è scritto in terza persona. In qualche modo per segnare un tentativo di distacco, non so quanto riuscito. È vero che io mi mettevo i vestiti di mio padre. Mi mettevo davanti allo specchio e l'immaginavo, è vero che guardavo il suo orologio; è vero che guardavo la sua tessera di quando faceva il cronista alle olimpiadi del '52; il suo ultimo pacchetto di sigarette; il suo portafoglio. Tante altre cose. E quella era la mia fisicità, il mio rapporto, il mio contatto. È vero che aspettavo mia madre che salisse con l'ascensore e scommettevo seduto sui gradini del pianerottolo. Scommettevo con me stesso che se l'ascensore, abitavamo al quinto piano, si fermava al secondo piano avevo perso, se continuava a salire c'era questa attesa che, forse, sarebbe arrivato al piano giusto. È evidente che questa scritta, questo: “Patricio, te amo. Papà.”, è arrivata dentro questo buco, questo foro……però, poi, ho cercato di razionalizzarlo perché mi sembrava, come ha detto Andrea, del tutto inutile e anche presuntuoso fare un libro in cui si parlasse di se stesso: chissenefrega! è capitato a me, in fondo, capita a tante altre persone. La cosa che mi ha colpito è che tante persone mi hanno scritto, dopo l'uscita del libro, con un tema analogo. Quante lettere ho ricevuto. Quante persone mi hanno telefonato. Sempre in torno a questo che, evidentemente, è un nodo di fondo, la razionalizzazione la faccio adesso, non l'ho fatta in partenza. Scrivendo mi sono accorto che, in fondo, questa scritta, questo tema, stava dentro altri grandi temi. Un tema che riguarda l'insicurezza. Un tema che riguarda la leggerezza. Un tema che riguarda il tempo. L'insicurezza: noi viviamo in un tempo non sicuro. Oggi, se stessimo parlando senza la bella notizia che abbiamo dietro le spalle, saremo più preoccupati. Oggi pomeriggio ho visto sul sito di Repubblica, che consulto frequentemente e trovo delle informazioni molto utili, ho visto le foto che ha fatto un fotografo del New York Time che è riuscito ad entrare nella scuola di Beslan. Ha fatto delle foto ai disegni che i bambini hanno fatto mentre c'era il sequestro: l'uomo nero. Noi abbiamo visto, tutti quanti abbiamo visto probabilmente, non so più dire se l'abisso o l'orrore. Prché l'orrore è stato Auschwitz e speravamo di non vederne più. Adesso vediamo le teste decapitate, abbiamo visto, anche, donne che si fanno esplodere in mezzo ai bambini che semplicemente andavano a scuola e non erano colpevoli di niente. La nostra vita è cambiata, noi siamo molto più insicuri di prima. Ogni mattina, noi non siamo sicuri che sarà una giornata tranquilla. L'abbiamo metabolizzato dentro di noi, quasi naturalmente metabolizzato. Abbiamo la sensazione di camminare sulle sabbie mobili. Probabilmente, questo potrà essere il giorno che si rimarrà avvinghiati alle sabbie mobili. Non siamo più sicuri di quello di cui intere generazioni sono state sicure e, per me, è la grande novità, proprio in rapporto col mondo, con la vita che il mondo ha in questo momento. La certezza che domani sarà meglio di ieri. Molti delle generazioni che sono qui, hanno vissuto la guerra, tragedie, ma quando si è aperta la finestra sul quel 25 aprile del '45 si vedeva il sole. Si è cominciato a lavorare ci si è rimboccati le maniche e si è fatto un Paese, un mondo, una vita, con la certezza che sarebbe stato migliore. Adesso non abbiamo più questa certezza e questo dal punto di vista del nostro rapporto con la vita è qualcosa di preoccupante. Persino la scienza. C'è, ad un certo punto del libro il racconto al quale Andrea ha fatto riferimento, anche la scienza, prima ci dava solo notizie positive. Quando ero ragazzo: la poliomielite. È arrivato il vaccino Sabin e la poliomielite: sconfitta. L'uomo arrivava sulla luna. Adesso la scienza, porta sempre con se notizie a doppia faccia. La clonazione. Sì, io faccio delle terapie, uso delle cellule staminali e curo delle malattie. Sì, va bene, ottimo! Dall'altra parte però c'è chi crea pecore, annuncia di creare esseri umani o replicanti. La scienza ha dentro di sé questo doppio carattere, ormai ha perso quella meravigliosa capacità di un futuro migliore che ha avuto per molto tempo. All'insicurezza si salda un altro tema che cerca di stare dentro il libro. È il tema della leggerezza. Nel senso che Calvino attribuiva a questa parola, cioè come valore. Noi paradossalmente viviamo, pensiamo all'universo televisivo, viviamo un universo leggero e volgare e dunque pesante. La leggerezza di Audrey Hepburn ma anche di Vittorio De Sica, non c'è in questo nessun rimpianto del passato potrei fare anche esempi di leggerezza più recente, dicevo, questo appare assolutamente rivoluzionato. Questo tema, di cui ho detto, è pesante. Io, credo che ci sia un valore, cito un'espressione convenzionale per capirci, il valore rivoluzionario della leggerezza. Laddove la leggerezza, naturalmente, rimanda a qualcosa di non futile di non gratuito. Noi lo vediamo. Prendiamo il cinema, a cui molti di noi qui sono appassionati, è molto difficile ormai vedere un balletto al cinema, un tempo c'era Fred Astair, Gene kelly e tanti altri, quella era una forma di leggerezza che rimandava a un'idea positiva del rapporto col futuro. Adesso, non c'è più. È molto difficile ridere al cinema. Ieri sera ho visto una bellissima intervista a Tiziano Terzani, in televisione. Tiziano Terzani ad un certo punto raccontava come in una comunità indiana la giornata cominciasse con una gran risata, come si riunissero tutti e cominciassero a ridere, pensando che questo potesse aiutare la giornata ad essere migliore, io non so se questa sia la scelta da fare, però, registro che di gente che abbia voglia di far ridere c'è ne è sempre di meno. Di gente che ci riesca ce ne è ancora di meno di quella che cerca di farlo. Il tutto però contribuisce, dal mio punto di vista, a considerare delle perle rare tutto ciò che ha questo dono della leggerezza. Che dentro di se, forse, è anche eleganza, ma non necessariamente: è leggerezza. È capacità di stare sulla superficie delle cose, non perché sia superficiale, ma perché sia l'espressione di quello che c'è sotto. La sterza cosa è il rapporto con il tempo, in fondo il libro è tutto giocato in questa dimensione del tempo sospeso. Come il calcio di rigore, come il padre di Patricio che cambia scuola, dalle elementari in poi, in base all'età che avrebbe avuto il figlio, alla ricerca di questo figlio perduto. La ricerca del tempo sospeso sono le due chiavi del libro, almeno quello che io ho razionalizzato alla fine dello scritto. La ricerca come grande elemento dinamico, cito spesso una frase molto bella di Galeano sull'utopia che dice: “L'utopia è una cosa strana è come un punto dell'orizzonte più ti avvicini più si allontana”, ma a che cosa serve l'utopia? Serve, appunto, a farti camminare. E questa è una grande verità. Allora la ricerca, la ricerca dell'estate, la ricerca del figlio, la ricerca del senso è qualcosa di molto dinamico, è qualcosa che rompe questa sensazione di cupezza, questa sensazione di insicurezza e forse è anche qualcosa che corrisponde ad un bisogno di leggerezza, però dall'altra parte c'è un rapporto con il tempo, con il tempo sospeso che, secondo me, è anche questo qualcosa che noi viviamo. I rapimenti cosa sono? Tempo sospeso. Il rapimento ha un suo calendario. Un mese non è settembre o ottobre, è un mese. Quanto sono stati i bambini a Beslan? Quanto è durata alle torri gemelle? Tutto questo lo vediamo in diretta. Quando abbiamo presentato il libro di Olga…Olga D'Antona che è qui, abbiamo detto un po' la stessa cosa, c'è una grande diversità, c'è un'immagine del terrorismo dei nostri anni e c'è un'immagine del terrorismo di oggi. Le immagini del terrorismo dei nostri anni, compresa l'immagine che tutti noi portiamo negli occhi della borsa di Massimo D'Antona per terra, che fu lo strumento con il quale massimo D'Antona si oppose agli assassini, le abbiamo sempre viste dopo. Abbiamo sempre visto delle fotografie scattate o delle immagini girate dagli operatori dopo. Ora vediamo tutto durante. Vediamo Beslan. Cè chi persino vede le decapitazioni in televisione, oramai ne circolano in tutti i modi. Noi viviamo una sorta di contemporaneità dell'orrore. Noi non siamo, non possiamo, esserne abituati. Allora, forse, questo tempo sospeso è anche un modo un po' per riprenderci da questa doppia morsa, da una parte la contemporaneità dell'orrore e dall'altra la bulimia del tempo nel quale viviamo. Corriamo tutti come matti. Abbiamo inventato tutte le tecnologie che servono per risparmiare tempo: lavatrici, computer, telefonini. Abbiamo tutti una macchina, tutto per risparmiare tempo, corriamo come dei matti e nessuno sa per andare dove. Ma visto dall'alto è un grande brulichio di movimento legato al tipo di organizzazione della nostra vita. Allora, e concludo altrimenti prendo troppo tempo, penso che questo libro abbia, almeno per quanto mi riguarda, abbia dentro di se una sorta di serenità. Io oggi sono una persona molto più serena di quanto fossi prima. Faccio un lavoro durissimo ma meraviglioso. Un lavoro fatto in rapporto con l'umanità. Non è un bel discorso, una bella intervista, un bell'articolo, è: la famiglia Torretta, i ragazzi malati di spina bifida di cui abbiamo parlato oggi pomeriggio, sono i vagoni della metropolitana che serviranno meglio le persone che vanno a lavorare la mattina, è la mamma che mi ha scritto oggi perché suo figlio è malato. E questa cosa qui è una cosa meravigliosa perché è la dimensione più grande nella quale si possono trasformare le cose nelle quali si crede, gli ideali nei quali si è consacrati, scusate l'espressione apparentemente retorica ma assolutamente rispondente alla verità, nel quale si è consacrata la propria vita con la realtà. Tu pensi che la gente non debba dormire per strada? Puoi aumentare i posti per dormire per la gente che non ha un tetto da mettere sopra la testa. E si può continuare per molto, tutto è possibile. Come sottolineava Andrea, e devo dire che anch'io ne sono rimasto stupito, cosa significa dire che con questo libro ho abbandonato l'Africa per l'Argentina? …che diavolo c'entra? (sorridendo)…. Sabato andiamo in Africa per aprire queste due scuole in Mozambico con i soldi raccolti dai ragazzi delle scuole romane, non è che se uno ama l'Argentina non ama l'Africa e viceversa. Questo ha soprattutto una lettura politica perché c'è sempre qualcuno che è più furbo degli altri e dice: “in realtà ha scritto questo libro ma sta pensando…eccetera”. Un libro è: come una rosa è una rosa, un libro è un libro. Almeno per quanto mi riguarda questo libro è una testimonianza di serenità. Lo dico con imbarazzo, perché di solito succede sempre qualcosa che spezzi le serenità. In questo momento sono una persona molto serena e, quindi, faccio i conti con questi temi con uno sguardo molto molto innocente, diciamo così, di chi vuole semplicemente raccontare e non vuole raccontando sottrarre nulla al suo dovere, perché il lavoro che io faccio è anche un grande dovere. Se io non fossi andato a casa Torretta, prima di venire qui, mi sarei sentito male. Perché il mio dovere era di stare in primo luogo lì. È stata questa la ragione del mio ritardo del quale vi chiedo veramente scusa, non è usuale presentarsi in una circostanza di questo genere in ritardo. Il Libro ha questo senso, questa ragione e spero possa essere utile. È un libro un po' malinconico, in effetti, ma credo che alla fine la lettura sia serena e comunque valgono tutte le cose belle che ho sentito questa sera a renderlo ancora più sereno… non per scrivere un altro libro vi assicuro…….

Risate….applausi.

Linda (Diligata pe' l'Urbe)
Foto/Audio by Lorenzo

V I D E O

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In teatro risuona l’annuncio: «Sono già in volo»

Il sindaco alla presentazione del suo libro “Senza Patricio”: letteratura e realtà si mescolano, «un’esplosione di gioia»

La lettertura e la realtà si prendono per mano. E la presentazione di un libro (il libro scritto da Walter Veltroni) diventa una sorta di misuratissima celebrazione, senza un filo di retorica, del lieto fine di una brutta storia. «Le due Simona sono state liberate», annuncia il sindaco al Teatro Argentina. Qui si festeggia il suo talento letterario in «Senza Patricio» ma i pensieri, a cominciare da quelli di Veltroni, sono anche rivolti altrove in un misto di commozione e di sollievo. «Patricio tornerà», recita l’attore Luca Zingaretti citando un passo del libro. Fuori dalla letteratura, sono tornate le due Simona. «Sono già in volo - dice Veltroni - e fra qualche ora saranno a Roma. In futuro, torneranno a fare quello che hanno sempre fatto: stare vicine alla gente che soffre, in qualche parte del mondo». Un libro incentrato sul tema dell’assenza e del vuoto diventa quasi naturalmente uno spartito adatto per un giorno come questo. Nel quale il rapimento - che è «tempo sospeso», come dice Veltroni - viene riempito da «un’esplosione di gioia»: quella che Veltroni ha appena vissuto a casa di Simona Torretta, nel salotto di una «bella famiglia popolare romana che in tutta questa vicenda ha sempre mostrato serenità e speranza. Sono quattro ragazze, più la mamma. Una delle figlie si è laureata con una tesi su Catullo e lavora in un call center. Io invidio la loro allegria e la loro serenità». Ora Veltroni è molto politico: «Per una volta, nel nostro Paese ha funzionato tutto. Tutti hanno dato prova di serenità e di unità. Sia con le parole sia con i silenzi. Stamattina, dal governo, mi hanno detto che oggi sarebbe stata la giornata giusta. Ed è proprio così. Sono state liberate le Simone ma anche i due iracheni». Nelle prime file, oltre a Raffaella Carrà in minigonna, ai fratelli Taviani, a Enzo Siciliano e via dicendo, c’è Paolo Bonolis. «Quello di Veltroni è un libro toccante, un libro bellissimo», dice. E a fine serata ripeterà il concetto anche all’autore, promettendogli: «Walter, ti scriverò un biglietto con le mie riflessioni su ”Senza Patricio”». Andrea Camilleri, che è uno dei presentatori insieme a Melania Mazzucco, Gianni Amelio e Vincenzo Mollica, sostiene addirittura che «quella di Veltroni non è una semplice raccolta di racconti. E’ una sinfonia per voci e coro». Intanto, letteratura e realtà continuano a mescolarsi. Racconta Veltroni: «Quando rapirono le sue Simona ero a Milano a presentare il mio libro. Ora che le hanno liberate sono qui a Roma a presentare il mio libro». E aggiunge sorridendo: «Oddio, nessuno si faccia strane idee su Milano e Roma». Ossia che la capitale lombarda è un luogo infausto, mentre l’Urbe porta fortuna. Non è giornata per queste facezie. Ma per continui rimandi, sì. «Siamo contemporanei impauriti che vivono alla giornata», si legge a pagina 66 del libro. La morale dei fatti capitati alle due Simona e di quelli che continuamente ci fanno vivere «l’orrore della contemporaneità» - osserva Veltroni al Teatro Argentina - è che «ogni mattina ci svegliamo insicuri. Abbiamo la sensazione di camminare nelle sabbie mobili. E temiamo che ci inghiottano da un momento all’altro». Però Patricio è tornato. E non solo lui.

MARIO AJELLO - Mercoledì 29 Settembre 2004 Chiudi



Last modified Wednesday, July, 13, 2011