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Andrea Camilleri a tavola con Montalbano

Anche i personaggi mangiano. Eccome. C’è chi divora e chi si limita ad assaggiare, chi rifiuta e chi gradisce. Qualcuno è anoressico, qualcuno è bulimico, ognuno comunque mangia a suo modo. Anche Salvo Montalbano, il commissario creato da Andrea Camilleri si siede spesso a tavola.

Come mangiano i commissari?

Pigliò le pietanze, una bottiglia di vino, il pane, addrumò il televisore, s'assistimò a tavola. Gli piaceva mangiare da solo, godersi i bocconi in silenzio, fra i tanti legami che lo tenevano a Livia c’era magari questo, che quando mangiava non rapriva bocca. Pensò che in fatto di gusti egli era più vicino a Maigret che a Pepe Carvalho, il protagonista dei romanzi di Montalbán, il quale s'abbuffava di piatti che avrebbero dato foco alla panza di uno squalo.(da "Il cane di terracotta", Sellerio, 1996)

Aggettivazione imperfetta

Il tinnirume, foglie e cime di cucuzzeddra siciliana, quella lunga, liscia, di un bianco appena allordato di verde, era stato cotto a puntino, era diventato di una tenerezza, di una delicatezza che Montalbano trovò addirittura struggente. Ad ogni boccone sentiva che il suo stomaco si puliziava, diventava specchiato come aveva visto fare a certi fachiri in televisione. "Come lo trova?" spiò la signora Angelina. "Leggiadro" disse Montalbano. E alla sorpresa dei due vecchi arrossì, si spiegò. "Mi perdonino, certe volte patisco d'aggettivazione imperfetta". Le triglie di scoglio, bollite e condite con oglio, limone e pitrosino, avevano la stessa leggerezza del tinnirume. Solo alla frutta il preside ripigliò la questione che gli aveva posto Montalbano. (da "Il cane di terracotta", Sellerio, 1996)

Parmigiano sulle vongole

"Ecco l'antipasto". Montalbano gli fu grato, ancora qualche altra notizia e gli sarebbe passato il pititto. Poi arrivarono gli otto pezzi di nasello, porzione chiaramente per quattro pirsùne. Gridavano, i pezzi di nasello, la loro gioia per essere stati cucinati como Dio comanda. A nasata, il piatto faceva sentire la sua perfezione, ottenuta con la giusta quantità di pangrattato, col delicato equilibrio tra acciuga e uovo battuto. Portò alla bocca il primo boccone, non l'ingoiò subito. Lasciò che il gusto si diffondesse dolcemente e uniformemente su lingua e palato, che lingua e palato si rendessero pienamente conto del dono che veniva loro offerto. Ingoiò il boccone e davanti al tavolo si materializzò Mimì Augello. "Assèttati". Mimi Augello s'assittò. "Mangerei anch'io" disse. "Fai quello che vuoi. Ma non parlare, te lo dico come un fratello e nel tuo stesso interesse, non parlare per nessuna ragione al mondo. Se m'interrompi mentre sto mangiando questo nasello, sono capace di scannarti". " Mi porti spaghetti alle vongole" fece, per niente scantato, Mimi a Calogero che stava passando. "In bianco o col sugo?". "In bianco". In attesa, Augello s'impadronì del giornale del commissario e si mise a leggere. Gli spaghetti arrivarono quando per fortuna Montalbano aveva finito il nasello, perché Mimi cosparse abbondantemente il suo piatto di parmigiano. Gesù! Persino una jena ch'è una jena e si nutre di carogne avrebbe dato di stomaco all'idea di un piatto di pasta alle vongole col parmigiano sopra! (da "Il ladro di merendine", Sellerio, 1996)

Interferenze telefoniche

Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell'Aida. Canticchiandole, raprì la porta-finestra doppo avere addrumato la luce della verandina. Sì, la notte era frisca, ma avrebbe consentito la mangiata all'aperto. Conzò il tavolinetto, portò fora il piatto, il vino, il pane e s'assittò. Squillò il telefono. (da "La gita a Tindari", Sellerio, 2000) La cammarera Adelina gli aveva lasciato in frigo una vera squisitezza: la salsa corallina, fatta di uova d'aragosta e ricci di mare, per condire gli spaghetti. (…) L'acqua bolliva, calò la pasta. Squillò il telefono, ebbe un momento d'esitazione, incerto se rispondere o no. Temeva una telefonata lunga, che magari non era facilmente troncabile e che avrebbe messo a rischio il punto giusto di cottura della pasta. Sarebbe stata una catastrofe sprecare la salsa corallina con un piatto di pasta scotta. Decise di non rispondere. Anzi, per evitare che gli squilli gli turbassero la serenità di spirito indispensabile per gustare a fondo la salsetta, staccò la spina. (da La voce del violino, Sellerio, 1997)

Carne o pesce?

"Carne o pesce?" spiò Fazio sapendo quanto il suo superiore fosse di bocca difficile. Montalbano si tirò il paro e lo sparo, era cògnito che la signora Fazio, in cucina, sapeva dove mettere la mano. Ma era nata e cresciuta in un piccolissimo paìsi dell'interno, dove i pesci non erano stati mai di casa. "Carne, carne." La signora Fazio s’assuperò, la pasta ’ncasciata fece leccare le dita, il brusciuluni (un rollè con dentro ovo sodo, salame e pecorino a pezzetti) si volatilizzò, e dire che sarebbe stato bastevole a una ventina di persone. Il commissario aveva portato una cassetta con dodici bottiglie di vino bono, quello che faceva suo padre. Finita la cena e finite macari le dodici bottiglie, dato ch’era una bellissima serata di principio maggio decisero di fare una lunga passiata sul molo, fino a sotto il faro, per alleggerire tanticchia il carrico che ognuno di loro portava a bordo. (da "Un mese con Montalbano", Mondadori, 1998)

Gli arancini di Adelina

Gesù, gli arancini di Adelina! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta. Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si pripara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, Pi carità!), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini ‘na poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, Pi carità di Dio!). Il suco della carne s’ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s’assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell’altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d’oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta. E alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano! Montalbano non ebbe dubbio con chi cenare la notte di capodanno. Solo una domanda l’angustiò prima di pigliare sonno: i due delinquenti figli d’Adelina ce l'avrebbero fatta a restare in libertà fino al giorno appresso? (da "Gli arancini di Montalbano", Mondadori, 1999)




Last modified Wednesday, July, 13, 2011