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Montalbano in cucina

La Sicilia, le passioni, l’ironia, la cucina. Tutti elementi presenti nel mondo di Montalbano e del suo autore, a disegnare una nuova trama delle emozioni in quell’isola metafora del mondo come la definì una volta Leonardo Sciascia.

La passione per la cucina in Montalbano, ad esempio, è espressione della storia e della cultura siciliana, nella quale il cibo acquista una valenza affettiva molto forte, sinonimo di privazioni storiche ma anche materializzazione dell’amore, nella fattispecie materno, che nel cibo trova il suo prolungamento. Montalbano è spesso da solo, lontano dagli affetti, da Livia, la sua eterna donna genovese, vissuta quasi come una speranza, nella distanza, di una ricomposizione con le cose, con il mondo, con sé stesso.

Cibo come legame alla vita, ad una terra, ad una cultura, espressione di una affettività che trova nella visceralità della ingestione del cibo il proprio rituale di continuità, forse con la memoria o con il semplice piacere di gustare la vita in un sol boccone. In tutti i libri in cui è protagonista Montalbano, la cucina, siciliana, acquista un ruolo rilevante (grazie anche ai due personaggi Adelina, la cameriera, e Calogero, proprietario della trattoria omonima), perché il commissario è un buongustaio, ma anche perchè solo. Affettività, spesso convivialità, passionalità, comunicazione.


Riassaporiamo alcuni significativi passaggi tratti da alcuni libri di Camilleri, proponendovi nello stesso tempo una piccola raccolta di ricette di cucina siciliana.

Dal Cane di terracotta: "...nel forno troneggiava una teglia con quattro porzioni di pasta 'ncasciata, piatto degno dell’ Olimpo, se ne mangiò due porzioni" (pag.120); "...Montalbano trovò pronto in frigo il sugo di seppie, stretto e nero, come piaceva a lui. C'era o no sospetto d’origano ? L'odorò a lungo, prima di metterlo a scaldare..." (pag. 143), "Che mi hai accattato? Ci faccio la pasta con le sardi e pi secunnu purpi alla carrettiera" (pag. 234).

Da La gita a Tindari: "Appena aperto il frigorifero, la vide. La caponatina ! Sciavuròsa, colorita, abbondante, riempiva un piatto funnùto, una porzione per almeno quattro pirsone. Erano mesi che la cammarera Adelina non gliela faceva trovare. Il pane, nel sacco di plastica, era fresco, accattato nella matinata. Naturali, spontanee, gli acchianarono in bocca le note della marcia trionfale dell’Aida. Canticchiandole, raprì la porta-finestra doppo avere addrumato la luce della verandina. Sì, la notte era frisca, ma avrebbe consentito la mangiata all’aperto. Conzò il tavolinetto, portò fora il piatto, il vino, il pane e s'assittò." (pag. 219).

Da Il ladro di merendine: "Perché non resta a mangiare con me ? Montalbano si sentì impallidire lo stomaco. La signora Clementina era buona e cara, ma doveva nutrirsi a semolino e a patate bollite. Veramente avrei tanto da... Pina, la cammarera, è un’ottima cuoca, mi creda. Oggi ha preparato pasta alla Norma , sa, quella con le milinzane fritte e la ricotta salata. Gesù ! Fece Montalbano assettandosi. E per secondo uno stracotto. Gesù ! Ripetè Montalbano." (pag. 62)

Da Gli arancini di Montalbano: "Gesù, gli arancini di Adelina ! Li aveva assaggiati solo una volta: un ricordo che sicuramente gli era trasùto nel Dna, nel patrimonio genetico. Adelina ci metteva due jornate sane sane a pripararli. Ne sapeva, a memoria, la ricetta: Il giorno avanti si fa un aggrassato di vitellone e di maiale in parti uguali che deve còciri a foco lentissimo per ore e ore con cipolla, pummadoro, sedano, prezzemolo e basilico. Il giorno appresso si prìpara un risotto, quello che chiamano alla milanisa (senza zaffirano, pi carità !), lo si versa sopra a una tavola, ci si impastano le ova e lo si fa rifriddàre. Intanto si còcino i pisellini, si fa una besciamella, si riducono a pezzettini gna poco di fette di salame e si fa tutta una composta con la carne aggrassata, triturata a mano con la mezzaluna (nenti frullatore, pì carità di Dio !). Il suco della carne s'ammisca col risotto. A questo punto si piglia tanticchia di risotto, s'assistema nel palmo d'una mano fatta a conca, ci si mette dentro quanto un cucchiaio di composta e si copre con dell'altro riso a formare una bella palla. Ogni palla la si fa rotolare nella farina, poi si passa nel bianco d'ovo e nel pane grattato. Doppo, tutti gli arancini s'infilano in una padeddra d'oglio bollente e si fanno friggere fino a quando pigliano un colore d'oro vecchio. Si lasciano scolare sulla carta e alla fine, ringraziannu u Signiruzzu, si mangiano !" (pag. 329).





Last modified Wednesday, July, 13, 2011