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Rassegna stampa - Dicembre2000

Montalbano, il caso porno è tuo

Fra cassette hard e dischetti erotici si girano le nuove avventure del detective di Vigata. E intanto, Andrea Camilleri, il padre letterario, viene accusato di «falsa sicilianità».



«Scusassero, dov'è Tindari?»: se fossimo nella Sicilia caricaturale, omertosa descritta dai detrattori di Andrea Camilleri, nessuno ci risponderebbe. Ma non è così. Qui la gente parla e spiega. I personaggi del bestsellerista non sono mostriciattoli della falsa sicilianità, quella di cui viene accusato lo scrittore di Porto Empedocle (a pagina 287 le polemiche dell'ultima ora).

«Scusassero, dove si trova Tindari?»: non è un luogo, è un topos letterario, un verso di Quasimodo, l'ombra della Magna Grecia. Come Vigata, come Montelusa: esistono nella memoria di un romanziere, poco importa se non sono registrate nei fascicoli della commissione Antimafia. La letteratura non è sociologismo.

La terza serie televisiva di Montalbano inizia sulla coda di questa polemica acida (il primo ciak è partito da pochi giorni). Ne parla il regista, Alberto Sironi; ne parla, con gli occhi che ridono dolcemente, l'attore numero uno, Luca Zingaretti. Concordano: «Figuriamoci, ci mancava il giornalista o l'intellettuale di turno a far da killer contro un grande scrittore. C'era da aspettarselo. Il successo non perdona».

FICTION D'ESPORTAZIONE Venduta in 5 paesi e premiata ovunque Il costo 2 miliardi a puntata. Premi & soldi Oltre 10 riconoscimenti. Come acquirenti, le tv di Francia, Svezia, Spagna, Germania, Olanda. Passato e futuro Nel '99: Ladro di merendine e La voce del violino. Nel 2000: La forma dell'acqua e Cane di terracotta. Nel 2001: Gita a Tindari e Tocco d'artista. Il record Auditel Oltre 10 milioni di spettatori per Ladro di merendine. Per gli altri episodi: 6-8 milioni.

A Tindari dovevano andare gli anziani, e un po' antipatici, coniugi Griffo. E sono scomparsi. Inizia così il romanzo di Andrea Camilleri, La gita a Tindari, da cui ora si trae la terza serie per Raidue, assieme a un racconto allungato e letterariamente inquinato, Tocco d'artista, tratto dai mondadoriani Gli arancini di Montalbano. Peccato che il filmato, dove ci sono tre «ammazzatine», non registri l'ira ideologica del commissario, incupito dinanzi alla nomina di un suo ex compagno del Sessantotto a presidente di banca, uno di quelli che «saltabeccano da sinistra a destra», quelli che ai tempi rossi «avevano fatto soltanto teatro». Un passo che piace anche a Zingaretti, ma che non ci sarà nel film: «Inserirlo sarebbe stato fuorviante per un giallo». Ma intanto c'è questa scudisciata contro il trasformismo da maschere, o da acrobati.

L'indignazione è comunque nel dna di Montalbano, che si alza di cattivo umore e s'infila nella sua routine criminale rimanendo un uomo piantato per terra. La solita telefonata, il consueto «Montalbano, sono!», perentorio. Una controfucilata. Che Zingaretti, il commissario ormai famoso nel mondo, ha dimostrato di saper sparare. «Gli episodi precedenti hanno raggiunto punte Auditel di 10 milioni. E Ladro di merendine è stato premiato agli Mtw awards: è come se avesse vinto l'Oscar della tv» sottolinea Carlo Degli Esposti, produttore della serie record.

Nove settimane di scene, passerelle, recitazione, dialoghi, urla, sussurri, ag-guati, spiate. Per nove ore al giorno, come da contratto. Due romanzi intrecciati, poi divisi dal montaggio. Nel Tocco d'artista ricompare una vecchia e conturbante conoscenza di Montalbano: la sicilianissima professoressa Tropeano, l'attrice Bianca Maria D'Amato. Il pubblico tifa per lei, spera che scalzi la petulante (diciamolo!) e nordica Livia. Ma due labbra che si sfiorano non sono un preludio. D'Amato, napoletana di nascita, la rivedremo: è intensa, se ne sono accorti i fratelli Taviani.

L'Italia s'è desta. E punta l'indice su Camilleri Il bestsellerista nella bufera, fra critiche fredde al nuovo romanzo e accuse all'immagine stereotipata della «sua» Sicilia Nel mondo letterario l'invidia per chi vende troppo sarà anche «tanticchia», come direbbe il commissario Montalbano. Ma non è solo per questo peccato capitale che qualche voce comincia a cantare fuori dal coro, prendendo di mira il maggior fenomeno editoriale degli ultimi anni. «Camilleri, che noia»: suona davvero inequivocabile, per esempio, il titolo dell'articolo di Francesco Merlo apparso in prima pagina sul Corriere della sera dell'11 dicembre. Alla base c'è un'idea ingegnosa. Merlo paragona lo stile del papà di Montalbano a quello dell'ultima relazione della commissione Antimafia, «così piena di errori storici e di strafalcioni ambientali». L'accusa di fondo: Camilleri è un epigono consolatorio di Vitaliano Brancati e di Leonardo Sciascia. Della Sicilia ci dà un'immagine macchiettistica e compiaciuta, un falso storico che segna anche la sua sconfitta letteraria.

Merlo non è il primo a sostenere che il re del mercato librario italiano è nudo. Già su Panorama del 14 ottobre '99 la poetessa Patrizia Valduga, dopo aver parodiato in veneto lo stile di Camilleri, scriveva che il suo siciliano è «posticcio, è appiccicato con lo sputo, è un tacón senza il buso». Insomma, sotto il dialetto, niente.

Posizione troppo elitaria, da intellettuale nella torre d'avorio? Lo si potrebbe anche pensare, a fronte del consenso di pubblico che continua a premiare i libri di Camilleri e ha portato in cima alla classifica anche La scomparsa di Patò, edito un mese fa da Mondadori. Eppure, proprio quest'ultimo romanzo ha esposto più del solito lo scrittore siciliano agli strali della critica. Sulla Repubblica Stefano Giovanardi, pur fra omaggi un po' convenzionali all'abilità artigianale di Camilleri, gli rimprovera di buttare in barzelletta il male oscuro della Sicilia. E Claudio Marabini, sul Resto del Carlino, arriva a dire che nel mortorio del nuovo romanzo-dossier non scompare solo Patò, ma anche la letteratura. Che sia in atto una congiura?

«Per carità, niente di personale» sdrammatizza Merlo. «Non si può che provare simpatia per un signore che raggiunge il successo a 70 anni. Ma resta la critica di fondo. Nella retorica dilagante, la melensa "sicilitudine"di Camilleri vellica il senso comune, ci conforta in una pigrizia mentale che non aiuta la verità». Né lo stile. Nonostante lo scrittore dica di ispirarsi all'autore del Pasticciaccio, si può proprio dire che, nella Scomparsa di Patò, Gadda non ci cova.

Pausa mensa, vicino alla Torre dei marchesi. Zingaretti è nel suo camper. Ha di fronte un'insalata gigantesca, a lato il libro che sta leggendo: Viaggio al termine della notte di Louis-Ferdinand Céline. Spiega: «Dopo il Montalbano spiritoso, quello più cupo e introspettivo, ora si torna al primo, si torna all'uomo che ha il baricentro dell'esistenza in se stesso, che sceglie gli amici, che rifiuta la carriera, che pensa con la sua testa. Gli uomini vorrebbero assomigliare a lui, le donne averlo accanto. Buon segno in un periodo di farneticazioni e di superficialità».

La pausa-pranzo termina, si riprende a girare La gita. Zingaretti, vestito di nero, spalle larghe, sicure come il suo modo di ragionare, esce dalla sua vecchia Fiat Tipo: dieci persone gli sono dietro. La truccatrice si preoccupa che non prenda troppo sole, o che non sudi. Il dicembre a Donnalucata, grumo di case bianche vicino a Marina di Ragusa, respira la violenza dell'estate.

«Questo della Gita a Tindari è il Camilleri che si regge sulle figure di contorno» dice il regista Sironi «sulla realtà poetica che galleggia nel presente. Ma la vogliono capire gli intellettualini da strapazzo che questa è narrativa? Diceva Dashiell Hammet: "Se sento qualcuno parlare di realismo lo sbatto fuori!"». È un commissario meditabondo, ma anche strepitosamente allegro e tagliente. Che stavolta si trova alle prese con un caso legato alla pornografia: cassette hard, dischetti di computer con minute descrizioni di amplessi complicati. Montalbano indaga, la pornografia lo fa addormentare, tanta ginecologia lo stomaca. «Qui non c'è pornografia sociale, solo la storia minuta della gente. Camilleri lascia la mafia sullo sfondo, non la vuole spiegare, sa che è complessa» puntualizza Sironi.

La troupe si sposta: si va nella casa del commissario, quella che affaccia sul mare, e che mare! È in corso Aldo Moro 44, una Becker street di Sherlock Holmes. Moro: inevitabile il rimando all'affaire Moro scritto da Leonardo Sciascia. Oscuri misteri dell'Italia che non vuole spiegarsi, che s'intorcina nella dietrologia. Più avanti, piazzetta della Torre. Una costruzione bruttina, salvata da una scritta: «Amministrata dal 1672 dai marchesi di Santa Croce». In questi anfratti Montalbano misura la fedeltà a Livia.

In febbraio Zingaretti si toglierà il cappotto nero di Montalbano e andrà a Bu-dapest. Girerà, in tre mesi, la storia di Giorgio Perlasca, l'uomo che durante la guerra, spacciandosi per diplomatico spagnolo, salvò centinaia di ebrei (la vicenda è tratta dal libro-ricostruzione di Enrico Deaglio). Poi il Luca che piace alle donne («Ora lo so, ma ho sudato sette camicie quando non ero nessuno») si prenderà un periodo di riflessione. Due possibili obiettivi: una pièce teatrale o un figlio. Vuole stare vicino a sua moglie, Margherita D'Amico: nove mesi sul set più importante della sua vita.

ROBERTO BARBOLINI & PIER MARIO FASANOTTI - , 15.12.2000






Last modified Wednesday, July, 13, 2011