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Rassegna stampa - Maggio 2002

Quando facevo Maigret

Anni '60, il futuro inventore di Montalbano è produttore alla Rai. Gli suggeriscono: portiamo sul piccolo schermo il commissario parigino. Ecco, nel suo racconto, come nacque una serie leggendaria.

Ma a chi lo dobbiamo, Maigret? Il successo di Maigret in Italia, s’intende. Alla Mondadori, certo, che per prima tradusse i gialli del commissario parigino. Adesso all’Adelphi, che lo ristampa come un classico. In mezzo, negli anni Sessanta, senza dubbio a Gino Cervi, protagonista di sedici episodi televisivi che inchiodarono il Paese davanti alla tivù come solo, a quei tempi, “Lascia o raddoppia” (e oggi quegli episodi, ristampati in cassetta e dvd dalla Elle U Multimedia si vendono alla grande, e se non li trovate in edicola potete sempre cercarli sul sito elleu.com). Ma qui siamo alla storia, storia nota. A scavare la storia, però, salta fuori il romanzo. Vero. E nel primo capitolo del romanzo si scopre che dietro alla fortuna esplosiva del commissario Maigret formato tivù c’è l’inventore dell’unico commissario italiano capace di tenergli testa per abilità investigativa, inclinazioni gastronomiche, successo di pubblico. Che dietro a Gino Cervi, insomma, c’è Andrea Camilleri, e se non è una coincidenza questa… Lui mette le mani avanti: ”All’epoca non mi passava neppure per l’anticamera del cervello di scrivere romanzi gialli. Non avevo la minima idea che un giorno avrei raccontato del commissario Montalbano”. All’epoca Camilleri faceva il produttore per la seconda rete della Rai, una Rai che adesso non si può neanche immaginare, dove uno come lui, “barando”, poteva mandare in onda roba impervia come “Finale di partita” di Samuel Beckett (in un ciclo dedicato al Teatro dell’Assurdo). In che senso, “barando”? “Bé, la mia idea era di portare in tivù drammi altrimenti incomprensibili usando, diciamo, un trucco. E il trucco era la scelta degli attori… In “Finale di Partita” i protagonisti erano Renato Rascel e Adolfo Celi, capisce?”. Ebbe ottocentomila spettatori, “una cosa incredibile. Ma già per la televisione cominciava a essere poco. Va bene, pazienza. Comunque quando mandavamo in onda Maigret, nei cinema furono costretti a mettere gli apparecchi tivù, e farlo vedere prima del film. Se no la gente stava a casa.” Camilleri rimette le mani avanti: ”L’idea di Maigret, però, non fu mia. Nacque a Diego Fabbri, a nessun altro se non a lui. E cominciò a parlarmene…”. Fabbri aveva scritto per il teatro un famoso “Processo a Gesù” (la prima fu al Piccolo di Milano), ma era uomo poliedrico di interessi. “Insisteva: ” Sarebbe straordinario…” tenga presente che faceva piovere sul bagnato. Io avevo cominciato a leggere Simenon da bambino, mi trovò entusiasta. Senza ancora parlarne a nessuno elaborammo una sorta di progetto. E’ chiaro che per il protagonista subito ci venne l’idea di Gino Cervi…”. Cervi era uno degli attori più popolari d’Italia, aveva fatto Peppone in Don Camillo, tantissimo teatro, “oltretutto era un uomo di una simpatia, di una comunicativa…”; accettò con entusiasmo la proposta. Era già così importante, per gli attori, la tivù? “Sì, sì, era molto importante. Specie in una serie. L’attore capiva che battendo un chiodo con insistenza si acquistava notorietà. Certo Cervi ce l’aveva già grandissima…”. Il primo ostacolo venne dalla signora Maigret. Cioè, Simenon non era d’accordo sulla scelta di Andreina Pagnani: ”Anche noi non avevamo pensato a lei, e non per un fatto di bravura di Andreina, ma perchè l’osservazione che poi ci fece Simenon noi la sapevamo già. Vale a dire: troppo bella. E vabbè, gli dicemmo, è ormai una signora di una certa età. Eh!, disse lui, ma Maigret si è sposato giovanissimo. Voi lo vedete che si sposa una bellissima ragazza come la signora Pagnani? Non rientra nel personaggio”. A volere Andreina era Cervi, che faceva compagnia con lei. “Quando gli esponemmo le nostre ragioni”, ricorda Camilleri, “Gino rispose con una battuta dei Sei personaggi in cerca d’autore. Rispose testualmente: ”Ma si rimedia col trucco”, proprio come citazione. Era un’attrice, Andreina: nel momento che la invecchiammo molto e mandammo le foto a Simenon… vabbè, disse. Però era entusiasta di Cervi”. Sul set come andò? ”Io ho fatto tanta televisione. Raramente sono stato così a lungo in un clima di totale rilassamento, era un piacere andare in studio. Sì, c’era una grande intesa, dovuta prima di tutto alla simpatia umana di Cervi, che non drammatizzava mai nessuna situazione. E poi alla grande abilità di Mario Landi (il regista, ndr), su questo non c’è il minimo dubbio. Ho letto che secondo Simenon Cervi è stato il Maigret migliore. Lo credo anch’io…”. Perché? “Quello che li accomunava immediatamente: Gino non scherzava sulla buona tavola. Poi c’era… un comune senso del buon senso, che Maigret ha e che Cervi aveva a livelli notevolissimi. E poi…”. Camilleri parla a voce lenta, bassa, arrochita. S’interrompe spesso, tira gran boccate di sigaretta. Rievoca assaporando. Ma adesso la pausa è più lunga del solito, una vera degustazione. ”Ecco, Cervi era un modernissimo attore all’antica. Cioè a dire: modernissimo nella dizione, nel muoversi, ma andava a suggeritore. Gli attori d’oggi non ci vanno più, a suggeritore; imparano la parte a memoria. Abituato com’era al suggeritore, Cervi questa memoria non l’aveva. Solo che il suggeritore non si può adoperare, in televisione, perché si sente…”. E allora? “ Allora si inventò il gobbo. Un gobbo a manovella, non uno di questi gobbi elettronici di cui le annunciatrici dispongono adesso, che possono fare l’aria disinvolta. Sul gobbo manuale, il suggeritore trascriveva le ultime due parole della battuta precedente e poi tutta la battuta di Gino. Gino difficilmente durante le lunghe prove apriva il copione…”. Durante le lunghe prove, il copione l’apriva il suggeritore. Un suggeritore ad personam, perché gli altri la loro parte la imparavano. “Però lui, abilmente, aveva chiesto a me, e naturalmente ottenuto da me, che il gobbo cosiddetto entrasse negli ultimi due o tre giorni in sala prova. In maniera, siccome era a mano, che il suggeritore graduasse il giro di manovella secondo la lunghezza della battuta… Allora, tante di queste cose che hanno fatto il personaggio esemplare, il calcare la pipa, la lentezza di alcuni gesti che danno l’idea di un sottopensiero profondissimo di Maigret, sono in realtà dovute al fatto che lui doveva leggere la battuta!”. Camilleri ride, s’accende l’ennesima sigaretta: ”Ricordo un giorno che la mamma di Mario Landi stette male e lui dovette partire. Io ero un regista, e Mario mi disse: ”Mi fai un favore? C’è una scena che bisogna girare subito. Sostituiscimi tu.”. Era una scena lunga, si girava solo quella lì. E’ stata una prova del fuoco, come regista televisivo, è stato un incubo.” Perché? “Si trattava di un interrogatorio che Maigret faceva a un portinaio, cosa eccezionale perché di solito sono sempre portinaie, sono tutte femmine. Il portinaio, nel caso specifico, era quel grande attore goldoniano che fu Cesco Baseggio. E Cesco era abituato ancor peggio di Gino ad andare a suggeritore. Ma non era abituato al gobbo, cosa che invece Gino aveva imparato…”. Quindi? “Quindi il problema tecnico di dover mettere due gobbi e far sì che le camere fossero messe in direzione tale da non avere salti di campo o occhi storti e fare un dialogo in cui i due si guardassero di tanto in tanto in faccia fu un problema che io avrei dovuto vincere l’Oscar per la regia con quella sola scena di dieci minuti, cose da impazzire. Venne benissimo, perché giustamente il portiere sembrava reticente, e Gino molto pensoso sulle reticenze del portiere. Venne esemplare. Solo che era il risultato di un disastro”. Ci fu un momento che il disastro si profilò davvero, e irrimediabile. “Un giorno Gino, stavamo girando, continuava a toccarsi dietro. “Che c’hai, Gino?” “C’ho un dolore qua dietro, non è niente”. Invece era un infarto in corso. L’indomani ci vedemmo persi, con lui ricoverato. Mario e io ci eravamo detti: lasciamolo in pace- invece ci chiamò lui: ”Venite con un registratore”. E andammo con un registratore. “Ho pensato come risolvere il problema”, disse Gino. “Nel caso che io muoia. Se voi registrate ora questa battuta, dovete metterla fuori campo, però si può concludere la puntata”. Ci aveva pensato, poveraccio. E infatti, toccandoci, facendo scaramanzia, la registrammo. Non ce ne fu bisogno.”. Lei ha detto che, all’epoca di Maigret, non ci pensava neppure, a Montalbano. Poi però qualcosa di Maigret ce l’ha messa, nel suo commissario. Magari inconsciamente… “No, no, anche coscientemente. Coscientemente proprio. Cercando di differenziarlo, certo, se no sarebbe stata una ripetizione”. E Cervi? S’è ricordato pure di Cervi? “Eh, devo dire… per esempio, c’è un punto, in un mio libro, che il commissario Montalbano si fa ‘na mangiata terribile e poi dice alla sua donna che ha mangiato solo un panino. Ecco, quella l’ho presa para para da Gino Cervi. Ci eravamo fatti, io e lui, una mangiata di quelle proprio da star male. Dopo di che lui telefonò a sua moglie e disse che aveva mangiato un panino con Camilleri, che era una bugia infame, perché la signora si preoccupava degli eccessi mangiatori di Gino… ma c’è qualcos’altro di Gino, in Montalbano. A volte mi vengono in mente certe sue reazioni davanti ai personaggi che mi divertivano. Certe occhiate, certi movimenti… E vedo che Montalbano magari fa lo stesso, così, spontaneamente."

M.G.Minetti - Specchio, supplemento de La Stampa, 25.5.2002






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