I problemi della nuova poesia
discussi e affrontati dai giovani
Ciò che hanno indicato le opere vincenti le Olimpiadi.
Genova. Di una cosa sola ci
rammarichiamo pensando alla presentazione delle poesie e dei racconti vincitori
dei rispettivi concorsi delle Olimpiadi della Cultura: che la bellissima sala
del circolo Lumen non fosse abbastanza vasta da poter accogliere un pubblico
ancor maggiore di quello che l’ha letteralmente gremita. Ce ne rammarichiamo
perché la serata di giovedì è stata indubbiamente una delle più interessanti
e proficue di questo magnifico ciclo di manifestazioni; ed ha ampiamente
dimostrato come i problemi della poesia e della narrativa contemporanee siano
pienamente sentiti e acutamente seguiti da strati vastissimi di popolazione.
Una sala gremita, dicevamo, quando il professor Poggi – che presiedeva il
convegno – ha chiamato al tavolo della presidenza i critici De Benedetti e
Mucci, le scrittrici Sibilla Aleramo e Flora Volpini, il filosofo Galvano Della
Volpe e il poeta Mario Socrate; si trattava – come è noto – di presentare i
vincitori dei concorsi e discutere le loro posizioni e quelle degli altri
concorrenti.
Inquadrò il problema De Benedetti leggendo il comunicato della giuria
nazionale; per la poesia vi erano quattro primi classificati ex aequo: Gino
Baglio, di Alessandria, con “Un semplice nome”; Andrea Camilleri, di Porto
Empedocle, con “In morte di Garcia Lorca”; Giovanni Geppetti, di LIvorno,
con “Melissa” e Amina De Angelis, di Perugia, con “Purezza”. Per il
racconto vi erano due primi e un secondo classificato, che sono,
rispettivamente: Vittorio Passerini, di Ferrara, con “Non crescono fiori nella
bassa”; Gianfranco Bianchi, di Gardone, con “Di domenica non è sempre
festa”; Guido Rocca, di Milano, con “L’importanza di avere un cavallo”.
Una constatazione venne subito fatta dall’oratore: quasi tutti i partecipanti
avevano tratto i motivi della loro creazione dalla Resistenza, ma la grande
maggioranza non è andata oltre il fatto di cronaca, la rievocazione svincolata
da ogni riferimento alla realtà immediata attuale. In questa posizione c’è
– come poi risulterà ampiamente dalle dichiarazioni dei vincitori e dalla
discussione – un aspetto positivo ed uno negativo: il pericolo di restare in
una condizione sentimentale e d’altro canto la conferma che i giovani cercano
i motivi della loro arte in fatti di valore collettivo, generale.
Questo è appunto l’elemento principale emerso dalle sincere confessioni dei
giovani autori: quasi tutti hanno percorso una medesima strada; da una posizione
individualista, quasi autobiografica, sono stati strappati con la rivelazione
dell’esistenza di un altro mondo; un mondo che agita problemi immensi, che ha
immensi affanni, immense sofferenze, ideali di una grandezza infinita. Lo
scoprire questo mondo (e per alcuni la scoperta è stata un colpo di pistola che
uccide un sindacalista – ed è il caso di Camilleri – per altri il vedere la
lotta dei braccianti nella valle padana – ed è il caso di Passerini - ; per
altri ancora il vivere a contatto diretto con gli operai un’esistenza di
lavoro – ed è il caso di Bianchi – significa ad un certo momento accorgersi
che i nostri piccoli e chiusi problemi non dicono più nulla, non hanno una eco,
non recano un contributo alla lotta più grande che è la lotta di tutta
l’umanità.
Quasi tuti giovani, ripetiamo, hanno avuto questo momento di crisi, al quale
hanno reagito abbandonando il bagaglio del passato e cercando nuove strade; e
qui si pone un secondo problema, quello sottolineato da un altro dei vincitori,
Gino Baglio: trovare il linguaggio adatto.
La cultura italiana, a causa del fascismo e delle condizioni della sua vita, si
trova in ritardo di molti anni (quindici, almeno – come ha detto nel suo
intervento Velso Mucci) rispetto al cammino compiuto nel frattempo dalla
letteratura del mondo, ritardo il quale implica per noi lo scontare adesso
esperienze che per altri appartengono ormai al passato. Ed ancora una volta ci
si propone il duplice aspetto di questa situazione: alcuni tentano
disperatamente di mettersi al passo assimilando in breve tempo ciò che è
maturato attraverso anni (e si crea così in loro la indesiderata possibilità
di farsi epigoni di un mondo letterario superato) oppure la deliberata volontà
di ignorare tutte queste esperienze per non correre il rischio di lasciarsene
influenzare.
Questa seconda posizioni è stata criticata da Mario Socrate, il quale ha
rilevato che proprio il miglior modo di presentarsi indifesi alle eventuali
influenze di certe forme letterarie è quello di non volerle conoscere, mentre
solo conoscendole a fondo e accuratamente
è possibile superarle.
Le sincere confessioni dei giovani autori, il loro dichiarato desiderio di
esprimere fatti della vita di tutti i
giorni e di tutti gli uomini hanno indotto alcuni dei presenti a riproporre
il vecchio e ancora inesaurito
-apparentemente - problema: la poesia deve essere contenuto o forma?
Antichissimo dilemma, come
rilevò Galvano Della Volpe , accingendosi a rispondere, che .non può
essere esaurito in un dibattito, ma che tuttavia offre la possibIlità di fare
una constatazione: per la maggior parte dei giovani esso è
superato: l'estetica Crociana, l'arte
per l'arte, non convincono più le generazioni che si sono formate
attraverso sofferenze, attraverso
esperienze vissute di persona, sofferte nella carne.
La quasi totalità del giovani partecipanti ai concorsi di poesia e di racconto
hanno dimostrato di volgere la loro attenzione
verso i fatti concreti, verso le vicende che investono l'esistenza stessa degli
uomini. E' evidente comunque che la poesia
non può essere solo contenuto, ma
ha necessità di una forma che le dia dignità
d'arte: è insomma ancora una volta necessaria una sintesi. esattamente
quella che fu espressa da Carlo Marx fin dal lontano 1857: l'opera d'arte deve
trarre la sua origine dai fatti della società in cui nasce ma
deve essere opera d'arte.
La necessità di trovare un linguaggio
adatto alla nuova situazione della
nostra vita è stata sottolineata anche dal conclusivo intervento di Mario
Socrate: un nuovo linguaggio che risponde a nuove esigenze, soprattutto a quella
di parlare a tutti gli uomini, di imprimersi nella memoria di tutti gli uomini,
di dare perciò stesso un contributo alla soluzione dei problemi di tutti gli
uomini. E' quindi necessario, per superare forme ormai scontate o rivelatesi
insufficienti, riallacciarsi alla più sana tradizione poetica italiana, quella
poesia che - esprimendosi attraverso la rima - si fermava nei cuore e nella mente
di ognuno. Da tutto questo è facile trarre delle conclusioni
sull’orientamento delle nuove generazioni
di poeti e narratori italIani: aderire sempre più e sempre più
intensamente alla vita di tutti gli uomini trovando attraverso lo studio, la
ricerca, un linguaggio che sia di
tutti.
Kino Marzullo (da
l’Unità, 16 dicembre 1950)
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